ABC del lavoro freelance per giovanissime partite IVA

Oggi sono al JobMeeting di  Milano per parlare di “Partita IVA, tutto quello che i neolaureati dovrebbero sapere“. Ho accettato volentieri l’invito della Repubblica degli Stagisti, per un’iniziativa gratuita dedicata ai giovanissimi e ai neolaureati. Come scrive Eleonora Voltolina nell’articolo “Sempre più numerosi i giovani che aprono la partita Iva: i consigli dell’esperto Dario Banfi a tutti gli aspiranti freelance” un numero sempre più consistente di laureati a un anno dalla fine degli studi ha aperto una partita Iva: è un dato che fa capire quanto il lavoro autonomo, spontaneo o spintaneo che sia, stia diventando comune per i giovani che si affacciano al mondo del lavoro. Chi li orienta? Oggi ci provo, alle ore 16.00 presso i Career Lab del Jobmeeting di Milano al Pelota Jaialai Spazio Funzionale in via Palermo 10 (zona Brera).

Mi passi gli appunti via FTP?

Pubblicata da Linda Gratton della London Business School sul suo blog The Future of Work, questa immagine mi fa particolare impressione e sentire anche un po’ vecchio. Ho terminato l’Università nel 1996, non da molto dunque :-) ma non ricordo un solo portatile in aula in quegli anni. Forse perché era più produttivo guardare le compagne di banco che chattare su Facebook per trovare l’amore della vita, forse perché i portatili costavano un occhio della testa. Quello che mi chiedo è chi sia la vera appendice? Il computer per il corpo che apprende, o il braccio e la mente che lo governa per le macchine che hanno invaso gli spazi dell’apprendimento?

University of Missouri

La rivoluzione industriale del nostro tempo

Tra un’ora sarò al Museo del 900 in Piazza Duomo a Milano a parlare con Paolo Perulli, Gad Lerner e Cristina Tajani (assessore al lavoro del Comune di Milano) del libro che ho scritto con Sergio Bologna. Non ho idea di quali spazi e tempi ci saranno. Mi piace ascoltare più che parlare, ma se avessi modo, questo è più o meno quello che mi piacerebbe dire.

La rivoluzione industriale del nostro tempo

Scrive Sara Horowitz della Freelancers Union su The Atlantic che “The Freelance Surge is the Industrial Revolution of our Time”, l’emergere del fenomeno freelance è la rivoluzione industriale del nostro tempo. Io ne sono pienamente convinto. Ne scrivo su un blog personale (questo) da sei anni, tre prima di quando Il Corriere della Sera si è accorto che esistono le partite IVA, ma ben dieci dopo un lavoro di Sergio Bologna e Andrea Fumagalli che portarono agli onori della cronaca della ricerca sociale il “lavoro professionale autonomo di seconda generazione”.

Questo significa che non è una novità. Oggi tutti sanno chi è un freelance, forse non hanno ben chiaro come faccia a guadagnarsi da vivere. C’è molta luce sul fatto che NON siano lavoratori dipendenti, molta ombra sulla loro posizione sociale. Nell’identificarsi non hanno problemi, ce l’hanno nelle rivendicazioni. La coscienza di che cosa significhi essere freelance si acquisisce in fretta: vi leggo, per esempio, la definizione di una giovanissima 26enne, trovata su un blog:

“Ma chi è oggi un freelance? È un lavoratore che non ha padroni e che di volta in volta lavora per chi gli commissiona un progetto. Un freelance è un esperto che sa fare molto bene il proprio lavoro e che ha alcuni skill specifici in cui è specializzato e continuamente aggiornato. Cosa, invece, non è un freelance? Non è un tizio che si può permettere di lavorare meno, da casa, non è un mezzo lavoratore. Non è un fannullone che pur di lavorare dal divano ha rinunciato a un lavoro cosiddetto normale”.

C’è tutta l’antropologia del freelance e qualche pregiudizio che lo circonda. Ha dimenticato lo stereotipo dell’evasore, quello che piace di più… Più complesso è, invece, capire le relazioni che il lavoro autonomo ha con la cultura e lo stato sociale. Che diritti hanno? Sono professionisti o ciarlatani? È un’élite o sono intellettuali proletaroidi?

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Riscatto della Laurea, quattro anni fa accadde l’inverso

Il tentativo del ministro Sacconi di raccimolare denari dall’INPS, aumentando di fatto l’età pensionabile di chi aveva riscattato anni di studi e laurea, è naufragato. Sentita puzza di bruciato sul fronte della leggitimità costituzionale, si è subito fatto dietrofront. In pochi ricordano, però, che soltanto pochi anni fa accadde esattamente il contrario. Non passò molto sotto osservazione, ma nel 2007 con la Finanziaria di centrosinistra si abbassarono i costi per il riscatto per renderlo più appetibile, eliminando gli interessi sulla rateizzazione. Il testo della modifica è nell’Art. 77 del D.Lgs 247/2007 che riporto:

[…] Gli oneri da riscatto per periodi in relazione ai quali trova applicazione il sistema retributivo ovvero contributivo possono essere versati ai regimi previdenziali di appartenenza in unica soluzione ovvero in 120 rate mensili senza l’applicazione di interessi per la rateizzazione. Tale disposizione si applica esclusivamente alle domande presentate a decorrere dal 1º gennaio 2008 […]

[…] La facoltà di riscatto è ammessa anche per i soggetti non iscritti ad alcuna forma obbligatoria di previdenza che non abbiano iniziato l’attività lavorativa. In tale caso, il contributo è versato all’INPS in apposita evidenza contabile separata e viene rivalutato secondo le regole del sistema contributivo, con riferimento alla data della domanda. Il montante maturato è trasferito, a domanda dell’interessato, presso la gestione previdenziale nella quale sia o sia stato iscritto. L’onere dei periodi di riscatto è costituito dal versamento di un contributo, per ogni anno da riscattare, pari al livello minimo imponibile annuo di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 2 agosto 1990, n. 233, moltiplicato per l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche dell’assicurazione generale obbligatoria per i lavoratori dipendenti. Il contributo è fiscalmente deducibile dall’interessato; il contributo è altresì detraibile dall’imposta dovuta dai soggetti di cui l’interessato risulti fiscalmente a carico nella misura del 19 per cento dell’importo stesso […]

Voi direte allora meglio la Sinistra? Beh, dipende. Nello stesso D.Lgs, per esempio, si mise mano alla rimodulazione delle aliquote previdenziali a carico dei freelance italiani, alzandole senza ragione alcuna, giusto per fare casssa su chi non era rappresentato da poteri forti. Una vera rapina che non dava nulla in cambio, nessun diritto aggiunto o migliore assistenza o previdenza.

Come si vede i tempi e i protagonisti cambiano, ma il vizio è il solito: pescare risorse là dove si pensa che ci siano minori proteste sociali, o un bacino di voti meno significativo. Partite IVA e laureati (e anche medici e paramedici direi, dopo le vicende di questi giorni) oggi, però, contano eccome negli equilibri politici e il caso delle amministrative di Milano lo dimostra chiaramente. Senza tornare indietro di quattro anni, possibile che la lezione (per non dire batosta) di pochi mesi fa sia già stata dimenticata dal Governo?

P.S. Approfondimento tecnico: per sapere come riscattare oggi il Corso di Laurea, leggi questo documento dell’INPS.

Stage, cambiano finalmente le regole

La nostra Repubblica degli stagisti, come l’ha chiamata Eleonora Voltolina, finalmente introduce delle modifiche allo statuto che regola i tirocini formativi. Le revisioni (DDL 2887/2011) in corso alla Manovra Finanziaria (DL 138/2011) non toccano quanto stabilito del Decreto Legge del 13 agosto e che sostiene (art. 11):

[…] Fatta eccezione per i disabili, gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcolisti e i condannati ammessi a misure alternative di detenzione, i tirocini formativi e di orientamento non curriculari non possono avere una durata superiore a sei mesi, proroghe comprese, e possono essere promossi unicamente a favore di neo-diplomati o neo-laureati entro e non oltre dodici mesi dal conseguimento dei relativo titolo di studio.

Che significa basta con lo sfruttamento selvaggio: questo sarà limitato al primo anno di ingresso nel mercato del lavoro :-)

La Regione Toscana è contraria alla modifica, non tanto nel contenuto, ma nella formula: dovrebbe spettare agli Enti locali la regolazione di queste forma mista di formazione/lavoro. E visto che aveva in cantiere un proprio disegno di legge regionale farà ricorso alla Corte Costituzionale in merito all’attribuzione delle competenze regolative.

Per Alessandro De Nicola, presidente della Adam Smith Society, le ragioni per opporsi al cambiamento sono invece altre, come scrive sul Sole 24 Ore:

Il tutto viene giustificato con lo slogan «bisogna stanare gli sfruttatori di stagisti»: ma che significa? Che “stanando” gli sfruttatori appariranno gli angeli del posto fisso? Beato chi ci crede.

Ammirevole la replica compassata di Eleonora Voltolina (io l’avrei mandato semplicemente a quel paese), che condivido:

Le aziende hanno avuto, hanno e avranno sempre bisogno di giovani. Limitando il bacino dei potenziali stagisti non si limita la possibilità per i giovani di trovare un lavoro: perché l’agenzia pubblicitaria avrà sempre lo spot da consegnare entro la prossima settimana, la casa editrice le bozze da mandare in tipografia alla fine del mese, l’agenzia di consulenza la consegna urgente del report, e il reparto marketing della multinazionale dovrà presentare il business plan per la riunione semestrale.

Concordo con Eleonora: il mercato del lavoro giovanile, drogato dalla gratuità e da stage fasulli, deve trovare un freno. L’idea di limitare lo stage al primo anno post studi non mi pare del tutto errata. Vediamo. Il problema permane, invece, su quanto potrebbe avvenire dopo, o in sostituzione agli stage, e che con buona probabilità potrebbe essere l’impiego dei contratti di apprendistato, sui quali però abbiamo molte perplessità.

I giovani e i nuovi confini del lavoro

A distanza di qualche settimana pubblico un mio intervento tenuto a Palazzo Re Enzo il 17 giugno nelle giornate ACLI di Bologna durante il seminario rivolto ai giovani dal titolo “Il lavoro nelle sfide globali. Identità Mobilità, radicamento.” Il testo, un po’ lunghetto, non era pensato per Internet. Spero la lettura sia utile comunque.

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Giovani, nuovi confini del lavoro e la parte migliore del nostro Paese
di Dario Banfi

“Non ci sono più i giovani di una volta”, lamenta qualcuno. E se a trent’anni protesti contro la precarietà rischi perfino di essere indicato da un ministro della Repubblica come “il peggio dell’Italia”. In realtà si potrebbe rispondere con una provocazione, dicendo che sì, tutto questo è vero, ma è maledettamente vero perché “non c’è più il futuro di una volta”, come si legge su qualche muro nella periferia di Milano.

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Il lavoro nelle sfide globali

Venerdì 17 a Bologna, ore 15.30 a Palazzo RE, ne parlo insieme ad Alessandro Rosina, docente alla Cattolica.

Ci vediamo?

L’evento è organizzato dalle ACLI e vedrà la partecipazione di giovani di tutto il mondo, da Argentina, Belgio, Brasile, Francia, Germania, Gran Bretagna, Lussemburgo, Olanda e Svizzera. Una bella iniziativa aperta a tutti e pensata in particolare per i giovani. qui tutti i dettagli

ACLI BOLOGNA

La presentazione del convegno – a cura delle ACLI

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Vasi comunicanti tra presente e futuro

Il candidato trovi le ragioni alla base del servizio giornalistico AGenerazione a perdere“, di Michele Buono e Piero Riccardi realizzato per REPORT, che descrive quale futuro non abbiano i giovani italiani, leggendo il documento B, “ISTAT – Rapporto annuale – La situazione del Paese nel 2010” (da pagina 105 in poi), che descrive la crescita senza freno di lavoro atipico, inattività, scoraggiamento, mancato impiego di figure sovraistruite, uso prevalente di politiche passive del lavoro, descrescita del valore generale del lavoro e della qualità dell’occupazione.

  A – Generazione a perdere   B – Rapporto ISTAT 2011  
  REPORT Generazione a perdere   Rapporto ISTAT 2011