Scappo dalla città (per trovare lavoro). Ma dove?

Così OECD misura i livelli di disoccupazione nei Paesi più industrializzati. Giovani italiani, neet, magari di Campania o Sicilia, la Danimarca non è poi così male: pensateci. (In verde i Paesi che stanno meglio di noi…)

2008 2009 2010 2010 2011 2011
Q2 Q3 Q4 Q1 Jan Feb Mar Apr May
OECD – Total 6.1 8.4 8.6 8.6 8.6 8.5 8.2 8.3 8.2 8.1 8.1 8.1
Major Seven 5.9 8.1 8.2 8.3 8.2 8.1 7.7 7.8 7.7 7.6 7.7 7.7
European Union 7.1 9.0 9.7 9.7 9.7 9.6 9.4 9.5 9.4 9.4 9.3 9.3
Euro area 7.7 9.6 10.2 10.2 10.2 10.1 10.0 10.0 10.0 9.9 9.9 9.9
              
Australia 4.2 5.6 5.2 5.2 5.2 5.2 5.0 5.0 5.0 4.9 4.9 4.9
Austria 3.8 4.8 4.4 4.5 4.4 4.2 4.5 4.5 4.6 4.4 4.2 4.3
Belgium 7.0 7.9 8.3 8.4 8.3 7.9 7.2 7.4 7.1 7.1 7.2 7.3
Canada 6.1 8.3 8.0 8.0 8.0 7.7 7.7 7.8 7.8 7.7 7.6 7.4
Chile 7.8 10.8 8.2 8.5 8.0 7.1 7.3 7.3 7.3 7.0 7.2
Czech Republic 4.4 6.7 7.3 7.3 7.1 7.1 6.9 7.0 6.9 6.7 6.6 6.5
Denmark 3.3 6.0 7.4 7.5 7.4 7.6 7.6 7.7 7.6 7.6 7.3 7.4
Estonia 5.6 13.8 16.8 18.0 16.0 14.4 13.8 13.8 13.8 13.8
Finland 6.4 8.2 8.4 8.5 8.3 8.1 8.0 8.0 8.0 8.0 7.9 7.8
France 7.8 9.5 9.8 9.8 9.8 9.7 9.7 9.7 9.7 9.6 9.6 9.5
Germany 7.6 7.7 7.1 7.2 7.0 6.7 6.3 6.4 6.3 6.2 6.1 6.0
Greece 7.7 9.5 12.6 12.2 13.0 14.1 15.0 15.0 15.0 15.0
Hungary 7.8 10.0 11.2 11.3 11.1 11.0 11.0 11.5 10.9 10.6 10.3 10.0
Iceland 3.0 7.2 7.5 6.9 7.8 8.5 7.4
Ireland 6.3 11.9 13.7 13.5 13.7 14.4 14.3 14.4 14.3 14.1 14.0 14.0
Israel 6.1 7.5 6.7 6.5 6.6 6.5 6.0
Italy 6.8 7.8 8.4 8.5 8.3 8.4 8.2 8.2 8.1 8.2 8.0 8.1
Japan 4.0 5.1 5.1 5.1 5.0 5.0 4.7 4.9 4.6 4.6 4.7 4.5
Korea 3.2 3.6 3.7 3.5 3.6 3.4 3.9 3.6 4.0 4.0 3.6 3.3
Luxembourg 4.9 5.1 4.5 4.5 4.4 4.5 4.3 4.3 4.3 4.3 4.3 4.5
Mexico 4.0 5.5 5.4 5.5 5.2 5.4 5.1 5.1 5.2 4.9 5.2
Netherlands 3.1 3.7 4.5 4.5 4.5 4.4 4.3 4.3 4.3 4.2 4.2 4.2
New Zealand 4.2 6.1 6.5 6.9 6.4 6.7 6.6
Norway 2.5 3.2 3.5 3.6 3.5 3.5 3.3 3.3 3.2 3.3 3.4
Poland 7.2 8.2 9.6 9.7 9.5 9.6 9.3 9.4 9.3 9.2 9.2 9.2
Portugal 8.5 10.6 12.0 12.0 12.2 12.3 12.4 12.4 12.4 12.4 12.4 12.4
Slovak Republic 9.5 12.0 14.4 14.5 14.3 14.1 13.5 13.6 13.5 13.4 13.4 13.3
Slovenia 4.4 5.9 7.3 7.3 7.3 7.8 8.1 8.1 8.1 8.2 8.3 8.3
Spain 11.4 18.0 20.1 20.0 20.5 20.5 20.6 20.4 20.6 20.7 20.7 20.9
Sweden 6.2 8.3 8.4 8.6 8.3 7.9 7.7 7.9 7.6 7.7 7.5 7.7
Switzerland 3.2 4.1 4.2 4.1 4.5 3.9 3.9
Turkey 9.7 12.5 10.6 10.7 10.5 9.9 9.2 9.5 9.1 9.0
United Kingdom 5.7 7.6 7.8 7.8 7.7 7.8 7.7 7.7 7.7 7.6
United States 5.8 9.3 9.6 9.6 9.6 9.6 8.9 9.0 8.9 8.8 9.0 9.1

Fonte: OECD, 12 luglio 2011

I giovani e i nuovi confini del lavoro

A distanza di qualche settimana pubblico un mio intervento tenuto a Palazzo Re Enzo il 17 giugno nelle giornate ACLI di Bologna durante il seminario rivolto ai giovani dal titolo “Il lavoro nelle sfide globali. Identità Mobilità, radicamento.” Il testo, un po’ lunghetto, non era pensato per Internet. Spero la lettura sia utile comunque.

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Giovani, nuovi confini del lavoro e la parte migliore del nostro Paese
di Dario Banfi

“Non ci sono più i giovani di una volta”, lamenta qualcuno. E se a trent’anni protesti contro la precarietà rischi perfino di essere indicato da un ministro della Repubblica come “il peggio dell’Italia”. In realtà si potrebbe rispondere con una provocazione, dicendo che sì, tutto questo è vero, ma è maledettamente vero perché “non c’è più il futuro di una volta”, come si legge su qualche muro nella periferia di Milano.

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Un Welfare spaccato in due: il 43% è senza sussidi di disoccupazione

Sono quasi cento anni che esiste, l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria fu istituita nel 1919, poi aggiustata nel 1936 con la Legge 1155. A partire dal 1988 l’indennità venne calcolata in percentuale sulla retribuzione (7,5%) poi il tasso di sostituzione è stato ripetutamente modificato (15% nel 1991; 25% nel 1993; 27% nel 1994; 30% nel 1996; 40% nel 2001; 50% nel 2005; 60% nel 2008). La platea di chi beneficia di questa protezione non è mai cambiata e corrisponde in sostanza al lavoratore standard (con eccezione degli apprendisti, in deroga però dal 2009) che rispetta due requisiti: 2 anni di assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione e 52 settimane di contribuzione nel biennio precedente lo stato di disoccupazione.

Se un lavoratore non è dipendente a tempo indeterminato, ma ha comunque versato contributi di eguale entità, niente. Zero sussidi. Per la mobilità il cerchio si restringe ulteriormente, non essendo prevista per somministrati, contratti di inserimento, apprendisti, e tutto il lavoro temporaneo. Per freelance e indipendenti, manco un biglietto pagato per fare il giro sulla giostra. Se non riesci a produrre reddito, arrangiati, affari tuoi.

La UIL ha dichiarato, analizzando le Comunicazioni Obbligatorie degli ultimi due anni (2008-2010), che il 73% dei posti attivati sono lavori a termine. Ora è sempre più chiaro come il Welfare del nostro Paese segua questa tendenza evolutiva: più garanzie ai garantiti, allo sbaraglio gli altri (che aumentano anche di numero) e per tutelare i primi è necessario allargare le maglie della flessibilità. E’ un accordo quadro sindacale a livello nazionale che nessuno avrà mai il coraggio di dichiarare, ma che a mio avviso esiste ed è a fondamento del Patto del ’93.

Oggi ne paghiamo le conseguenze. Mentre nel sistema europeo si cerca di allargare le potezioni dello Stato Sociale (si pensi al progetto tedesco associato all’Hartz IV, par alcuni versi fallimentare, ma pur sempre un tentativo) in Italia si restringono i margini del sostegno al reddito. La Fondazione De Benedetti (Tito Boeri & Co.) ha calcolato che il 43% degli italiani quando si parla di sussidio di disoccupazione, nel caso dovesse accadere di rimanere senza lavoro, si prenderebbe un calcio in culo.

P.S: Se interessa approfondire il tema dei sussidi per la disoccupazione si legga questo bel rapporto costruito da Veneto Lavoro: “Chi percepisce l’indennità di disoccupazione? Tassi di copertura e selettività dei requisiti richiesti” (.PDF)

Alla fine chi paga la Cig?

Per mantenere vivo il rapporto di lavoro dipendente nelle aziende in crisi interviene la Cassa Integrazione. Fin qui è cosa nota. Ma chi ci mette i soldi? Vale la pena di ricordarlo, soprattutto ai freelance senza lavoro, ai disoccupati e comunque in generale a chi sta per un verso o per l’altro fuori dalle imprese.

La Cassa Integrazione in deroga è per il 70% a carico della fiscalità generale, per il 30% a carico delle risorse regionali a valere sul PON-FSE, finalizzate a finanziare le politiche attive.

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Anni luce

In Germania si sta discutendo in questi giorni di una questione assai delicata: fino a che anni devono essere considerati i figli come soggetti da tutelare quando un genitore perde il lavoro. In alcuni Paesi nordici dicono 12 anni, l’età in cui, secondo la psicopedagogia, sono in grado di rimanere a casa da soli. Ora in Germania si discute pubblicamente proprio di questo. Per chi non sapesse, esiste in questo Paese una forma di sussidio di disoccupazione universale (che riguarda circa 6,5 milioni di persone) denominato Hartz IV (o come lo chiamo io arzfiar), che deve garantire “un’esistenza digitosa a chi non  ha un lavoro“. Ha, però, ha una pecca: è troppo debole. La Corte Costituzionale tedesca si è infatti espressa su questa Legge: se il disoccupato ha dei figli, questi devono essere calcolati nel computo per il sussidio. Senza contate che se hai anche un affitto da pagare e perdi il posto, ci pensa lo Stato.

Roba da non credere.

Disoccupazione al 12%?

È la provocazione della CGIL, che inserisce nel calcolo dei senza lavoro anche quelli che non lo cercano più. Può sembrare una sottogliezza (che tra l’altro sottolineammo già tre anni fa!!!), ma ha una valenza reale molto forte. Il calcolo Istat può farci dire che siamo “meno peggiori” di altri Paesi, nei fatti però le cose vanno talmente male che aumenta il numero di chi si chiama addirittura fuori dal gioco occupazione/disoccupazione. Semplicemente ricade nel mondo degli inattivi, di chi non cerca più neppure una soluzione.

In download due documenti di IRES/CGIL: “Le tendenze dell’occupazione al secondo trimestre 2009” (.PDF) e Materiali aggiuntivi (.PDF).

Feelings, wo-o-o feelings

Prendo spunto dalla recente pubblicazione da parte del Ministero del Lavoro di alcuni dati macroeconomici sul mercato del lavoro, tratti da indagini ISAE sulle famiglie, per fare un piccolo gioco grafico, incrociando valori che attestano la fiducia nel futuro e l’alternarsi dei Governi in Italia negli ultimi 14 anni.

Previsioni sulla disoccupazione
Previsioni sulla disoccupazione - ISAE
Fonte ISAE/Ministero del Lavoro – Elaborazione Humanitech.it
Fiducia complessiva
Fiducia complessiva del Paese e Governi
Fonte ISAE/Ministero del Lavoro – Elaborazione Humanitech.it.

Lascio a voi commentare, due dati però sono inequivocabili:

  1. la fiducia e le attese occupazionali sono legate all’operato del Governo e lo dimostrano le discontinuità delle curve in occasione dei cambi a Palazzo Chigi: questo significa che non tutto è imputabile a fattori esterni, macroeconomici;
  2. ci troviamo ai livelli tra i più bassi degli ultimi 14 anni per fiducia complessiva nella politica e tra i più alti per attese di restare senza lavoro.

Interessi di lobby in atti d’ufficio

La riforma degli ammortizzatori sociali è tutta da seguire. Potrà sembrare pallosa e riservata agli addetti ai lavori, intrisa di linguaggio da sindacalisti e politici senza pelo sullo stomaco, ma semplificando molto, è una questione che riguarda tutti, perché definisce lo Stato Sociale inteso come struttura organica di tutele e di incentivi per la valorizzazione della forza lavoro italiana. Quello che sta accadendo, invece, è la solita storia: incapacità di immaginare uno Stato di tutti; interessi di lobby in atti d’ufficio; una riformicchia senza palle a servizio della politica più che degli interessi del Paese.

Personalmente consiglio di seguire la vincenda: dall’impianto dato alla Riforma si potranno capire almeno tre cose:

  • quale idea del mercato del lavoro ha questo Governo e il trattamento riservato al mondo del lavoro temporaneo;
  • quale idea delle tutele da offrire ai lavoratori ha messo in campo;
  • quale idea di Stato Sociale stanno portando avanti a Palazzo e se questa sia effettivamente pensata per rilanciare il Paese in un momento di transizione che non interessa soltanto il lavoro dipendente a tempo indeterminato. 

Si potrà capire quale futuro ci stanno costruendo i professionisti della politica. I giornali di oggi sono ricchi di approfondimenti sul tema – vista anche l’uscita recente di Franceschini sull’assegno mensile per i disoccupati (roba che in Europa – sob! – esiste da anni).

Ho raccolto gli articoli odierni in un unico file .PDF (2.5 MB). A mio avviso spiccano due valutazioni a caldo in questa rassegna, a firma di soggetti del tutto estranei tra di loro:

Quando è la politca a decidere a chi dare a e a chi no, i beneficiari sono sempre i lavoratori delle grandi aziende, la cui ristrutturazione o chiusura fa notizia, al contrario di quanto accada per milioni di microimprese che alimentano la nostra struttura produttiva. […] questo ‘qualcosa in più’ non sarà certo riservato né ai lavoratori delle piccole imprese nè ai quattro e più milioni di lavoratori temporanei presenti oggi in Italia“. (Tito Boeri)

Dobbiamo redistribuire le risorse fra lavoratori e pensionati, affrontando quei paradossi che il nostro Paese si rifiuta di vedere. In Italia abbiamo due gestioni Inps che che sono largamente in attivo. Una è quella delle prestazioni temporanee, che eroga assegni ai nuclei familiari, disoccupazione volontaria, cassa integrazione ordinaria, indennità di malattia e di maternità. Questa gestione riporta un avanzo ogni anno di 6,5 miliardi. Poi c’è quella dei parasubordinati, dove confluiscono i contributi dei co.co.pro e di altri lavoratori precari. Anche questa gestione ha un attivo di 6 miliardi. Il paradosso è che queste risorse sono utilizzate per coprire i buchi delle gestioni previdenziali principali. I soldi versati dai lavoratori più deboli vengono destinati alle categorie di lavoratori più tutelate o bruciati sui falò delle pensioni. Se noi spendessimo quei soldi per le finalità per le quali sono stati effettivamente versati il problema delle risorse sarebbe risolto. Ma è una cosa che la sinistra si guarda bene dal dire e la destra si guarda bene da fare“. (Giuliano Cazzola)