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(un amico)
Tutti, in vita, affrontiamo la morte, senza mai farne esperienza diretta. Perdiamo persone vicine, leggiamo di persone lontane. A me è toccato in sorte, in questi ultimi anni, di accompagnare mio padre e mia madre fino alla fine. Percorsi faticosi, ma vissuti con dignità, coraggio e amore.
Non scriverò di questo, ma di come si possa comunque parlare della morte senza usare la prima persona, ricadendo, cioè, nella semplice riduzione di un pensiero empirico. La morte è il finale di tutti i giochi, il momento ultimo di ogni vita ed è questo il punto.
Platone, Cartesio, Montaigne, Locke, Schopenhauer, Derrida, Jankélévitch e molti altri hanno scritto testi mirabili in materia.
Di recente la mia attenzione è caduta su un filosofo contemporaneo e vivente, Shelly Kagan, professore alla Yale University, che ha rilasciato sul sito della celebre Università americana, in open access, il suo Corso, intitolato semplicemente Death. Dalle 26 lezioni (lectures) fruibili anche in formato video, disponibili, in parte, anche su YouTube, è nato il saggio, disponibile in italiano, Sul Morire. Lezioni di filosofia sulla vita e la sua fine (Mondadori, 2019).
Di seguito trovate la sintesi del percorso approntato intorno al tema della morte da Shelly Kagan durante le sue lezioni e nel suo libro. Una lunga sintesi (forse incompleta, forse utile per approfondire il tema dell’eutanasia legale) che voglio dedicare, in sordina, a un giovane e talentuoso liutaio di Milano, Stefano Bertoli, che se n’è andato troppo presto, lasciando in dono a chi l’ha conosciuto lo splendido ricordo di un ragazzo libero, sorridente, che ha creduto nella vita.
Sul Morire. Lezioni di filosofia sulla vita e la sua fine
Sommario:
I. Pensare la morte
Affrontare il tema della morte significa pensare il fenomeno della morte (nessuna metafisica è possibile, diceva Jankélévitch) e chiedersi chi siamo noi, che cosa accade dopo, se la morte è un male o sopravviviamo in qualche modo.
Non è un pensiero semplice ed è circondato da numerose credenze. Le più diffuse? Per esempio, che abbiamo un’anima o che la morte sia un mistero; che l’immortalità sia meravigliosa e il suicidio non abbia senso. Ma sono vere?
II. Dualismo versus fisicismo
Per parlare della morte bisogna partire da noi, sostiene Kagan. Se esiste davvero una vita dopo la morte, deve necessariamente avere una relazione con il modo in cui siamo fatti e con l’esistenza (o meno) di una parte di noi che sopravvive. Se, invece, nulla di noi continuasse a vivere il problema diventerebbe irrilevante. In caso contrario bisogna capire la natura di questa persistenza, della permanenza, cioè, della nostra identità personale nel tempo. Cosa ci serve per sopravvivere? Il corpo no, visto che perisce irrimediabilmente. Allora che cosa?
Esistono principalmente due modi di rispondere, che definiscono come sono fatte le persone: 1) ognuno di noi è il frutto di una combinazione fra un corpo e qualcos’altro: una mente, concepita come separata, un’anima cioè, distinta dal corpo; 2) le persone sono semplicemente oggetti materiali. La prima è la posizione cosiddetta “dualista“, la seconda è denominata “fisicista“.
Entrambe accettano l’esistenza del corpo, ma non quella dell’anima. Soltanto per i dualisti esiste una mente, ovvero una sostanza immateriale, un’anima, che interagisce col corpo e che sopravvive alla sua morte, momento di rottura tra le due parti. La persona è la sua anima e questa sopravvive (non ha altra possibilità che sopravvivere!) alla morte. Per i fisicisti, invece, la persona è soltanto un corpo. La sua mente è l’insieme delle capacità che può esprimere con il corpo: pensare, comunicare, decidere, creare, innamorarsi ecc. La mente, però, non si colloca oltre il corpo e quando questo smette di funzionare, anche la mente viene distrutta. Per i dualisti la mente è un’anima, un oggetto immateriale, per i fisicisti una capacità del corpo.