22-23 settembre, appuntamento ad Alessandria

Una delle ultime volte che sono stato ospite (a Bolzano) di un coworking per parlare del mondo dei freelance qualcuno [cfr. vignetta sotto] ha trovato il modo di scherzarci sopra ed è giusto così. Non è mai troppo tardi per imparare da chi ci ha preceduto e conosce il mestiere :-)

Coworking o Cow Working? La vignetta di Rudi (Rodolfo Zancan) architetto/vignettista di Bolzano

La vita del freelance è complicata, certamente, ed esposta al rischio, ma offre anche spunti di libertà, il piacere di incrociare esperienze diverse e soprattutto una grande e costante voglia di crescere, cambiare e sperimentare, mettendo creatività, quando è possibile, e voglia di divertirsi.

Se però fino a pochi anni fa essere indipendenti significava vivere e “mungere il mercato” da soli, oggi le cose stanno cambiando sia sotto il profilo della rappresentanza politico-sindacale sia nella scelta dei luoghi da frequentare come spazi di condivisione e lavoro.

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Una vera riforma del lavoro deve sganciare i diritti dalla subordinazione

Articolo tratto dal sito Quinto Stato e pubblicato oggi anche sul Manifesto.

Una vera riforma del lavoro deve sganciare i diritti dalla subordinazione

di Roberto Ciccarelli

“Quando si parla di professioni ordinistiche e non ordinistiche, di partite Iva o lavoro autonomo – afferma Dario Banfi, membro dell’Associazione dei consulenti del terziario Avanzato (Acta), e autore con Sergio Bologna di Vita da freelance – si pensa solo a persone che pagano le tasse. Quando invece si parla del loro lavoro, allora vengono fatte sparire dal tavolo».

Cosa effettivamente accaduta al tavolo della «verbalizzazione» tra Governo-Confindustria-Sindacati dove mancava all’appello un terzo della forza-lavoro attiva in Italia. Al suo posto c’era il suo fantasma, quello delle «finte partite Iva». «Nessuno nega l’esistenza di questi abusi – continua Banfi – ma così si rischia di non distinguere il lavoro autonomo reale da quello subordinato. I veri consulenti rischiano di perdere il posto dopo sei mesi».

Basterà l’intervento dell’ispettorato del lavoro per risolvere la piaga delle “false partite Iva”?

Non credo. È uno spauracchio che non basterà a far desistere dalle assunzioni irregolari. Il percorso è molto più complesso di una semplice data sul calendario. Intanto mettano più soldi sulle ispezioni. E poi permettano un patrocinio gratuito nei contenziosi, non importa se lo fa un sindacato o un’associazione. La verità è che nessuno ha una risposta, perché il problema non se lo sono nemmeno posti.

Per quale ragione?
L’unico interesse è rimarcare l’esistenza di un’irregolarità, non di sostenere il lavoro indipendente. È un’impostazione molto tradizionale che non intacca la struttura del mercato del lavoro che, a parte la modifica dell’articolo 18, resterà simile a quella attuale.

Qual è l’idea ispiratrice di questa politica?
L’ideal tipo del lavoratore che fa capo al dipendente a tempo indeterminato. Tutto quanto ruota intorno a questa impostazione, anche quando gli si vuole togliere qualcosa. Si modificano gli istituti contrattuali e le forme di protezione del lavoro sempre basandosi sulla tradizione di riforma di questi istituti. Un riformismo reale dovrebbe invece sganciare i diritti dai vincoli della subordinazione. Un lavoratore, in quanto cittadino, dovrebbe avere gli stessi diritti quando esercita una professione, lavora come dipendente o fa l’artigiano. Invece questa riforma millanta un’estensione universale dei diritti.

Alludi all’assicurazione sociale per l’impiego (Aspi)?
È una furberia. Vuole allargare la platea dei beneficiari di sostegno al reddito ma, allo stesso tempo, abbassa l’importo totale dell’indennità per singola unità e restringe il periodo di erogazione, passando da 18 a 12 mesi. In termini assoluti può sembrare un vantaggio avere un sussidio di 1119 euro lordi al mese, cioè 800 netti, ma non è così. Forse si pensa che, con un sostegno minore, queste persone si daranno da fare a cercarsi un lavoro. Non sempre però esistono soggetti che sanno muoversi sul mercato e hanno bisogno di politiche attive che qui mancano.

Eppure Monti sostiene che questa riforma sia ispirata al modello tedesco…
E con quali mezzi? In Germania, per intenderci, il personale pubblico che si occupa di servizi per l’impiego è circa quattro volte superiore all’Italia. Le persone continueranno a cercare lavoro, ma riceveranno un sostegno sempre più basso. Il governo dirà di avere creato una mobilità sociale. Ma sarà vero sulla carta. Mancherà sempre di più la coesione sociale. In questa situazione si trovano già oggi milioni di persone.

Cosa devono aspettarsi gli autonomi e i parasubordinati?
Devono fare attenzione. Sono quasi certo che nelle commissioni di bilancio si cercherà di alzare la contribuzione dei lavoratori autonomi per pagare gli ammortizzatori sociali delle altre categorie. Per i parasubordinati è quasi certo. Dicono che gli autonomi paghino poco rispetto ad un dipendente. Ma se una partita Iva paga il 27,72 per cento di previdenza, siamo proprio sicuri che in questa cifra non sia già inclusa una componente di costo realmente, e non solo formalmente, equivalente? Come Acta abbiamo dimostrato l’esistenza di un cuneo contributivo fortemente sperequato a svantaggio degli autonomi che, in cambio, non hanno alcuna tutela. L’unica alternativa è rimodulare i costi dell’assistenza e dei servizi sociali associati. Per tutti.

Coworking fa rima con Vita da freelance

Giovedì 22 marzo e venerd’ 30 sarò a Torino e poi a Bolzano per presentare “Vita da freelance“, il libro scritto insieme a Sergio Bologna. Le due presentazioni hanno un tratto comune: sono organizzate e ospitate in partecipazione con responsabili di servizi di coworking o, come nel caso di Torino, proprio negli uffici di un Cowo, nel caso specifico di Toolbox Coworking.

La ragione di questa vicinanza non si deve soltanto alla breve analisi che nel libro, per primi in Italia, facciamo del fenomeno dei coworking, ma più concretamente al fatto che stiano diventando, in tutto il mondo, luoghi di aggregazione e spazi di socialità per lavoratori indipendenti, start-up e nomad worker.

Come scrive Sergio Bologna (nel suo più recente discorso tenuto sul tema del lavoro culturale) “siamo convinti che in futuro questi spazi potranno essere considerati come un servizio sociale e farlo entrare nella zucca dei nostri Amministratori di enti locali non sarebbe una cattiva idea”. Di questo e di altro, si parlerà nei due incontri. Venite?

Vita da Freelance a Torino

Qui il programma completo dell’evento di Torino del 22 marzo 2012.

Presentazione Vita da Freelance a Bolzano

Qui il programma completo e il Comunicato Stampa dell’evento di Bolzano del 30 marzo 2012.

Contratti atipici, quanti sono?

Vexata questio alla quale Veneto Lavoro nel numero di “Misure” di Gennaio/2012 risponde in questo modo:

Sul numero delle tipologie contrattuali, esiste una vulgata che tende a esagerarlo: secondo il Corriere della Sera (pag. 6) del 30 dicembre, i tipi di contratti atipici presenti in Italia sono 34; sul Fatto quotidiano del 3 gennaio 2012 vengono menzionate le “oltre 40 forme contrattuali che tutti dicono di voler cancellare”; nell’intervista al Corriere della Sera del 19 dicembre Susanna Camusso cita 52 forme contrattuali atipiche “da cancellare”.  Si tratta di numeri che (mal) utilizzano una complessa classificazione dei rapporti di lavoro atipici originariamente proposta dall’Istat nel 2002 (cfr. Istat, Rapporto annuale. La situazione del Paese nel 2001, Roma, maggio 2002, pag. 150) intrecciando tre caratteristiche dei rapporti di lavoro: durata temporale della prestazione (permanente/temporanea), orario di lavoro (pieno/ridotto), diritti previdenziali (interi, ridotti per lavoratori dipendenti, ridotti per lavoratori autonomi); in tal modo l’Istat individuava 31 tipologie di lavoro atipico (18 “strettamente atipiche” e 13 “parzialmente atipiche”). Nel 2004, l’Istat (cfr. Istat, Rapporto annuale. La situazione del Paese nel 2003, Roma, maggio 2004, pag. 238), nel nuovo quadro regolamentare emerso con l’approvazione della legge 30/2003, individuava nel mercato del lavoro italiano “21 differenti rapporti di lavoro, diversi dall’impiego ‘standard’ i quali, a seconda della stabilità del contratto o della durata del regime orario, possono essere applicati secondo 48 modalità diverse. Di queste 34 possono essere valutate come pienamente atipiche, mentre le altre 14 possono essere considerate solo parzialmente atipiche. 28 modalità diverse sono caratterizzate dall’assicurazione al lavoratore del godimento di pieni diritti previdenziali, mentre altre 20 modalità offrono una tutela previdenziale ridotta o nulla.

 

Partite IVA nella Repubblica degli Stagisti

Su gentile concessione di Eleonora Voltolina, ripubblico l’intervista che mi ha fatto e messo online oggi sulla sua testata “La Repubblica degli Stagisti“. Argomento di discussione: autonomia e subordinazione, sfide nel futuro dei freelance, contratti e quotazione del lavoro. La questione più complessa: che cosa deve fare un giovane al quale si chiede sempre più spesso di aprire una Partita IVA per lavorare? La voglia era di rispondere “incazzatevi”, “tirate fuori le unghie”, poi in realtà credo che il suggerimento migliore per chi ha poca esperienza di mercato sia di cercare ognuno la propria strada a piccoli passi, sfruttando le occasioni per fare esperienza e consolidare un percorso professionale autonomo, senza sposare chi proprio non vuole prendervi come consorte. Perché dovreste fidarvi a lungo di chi cerca escamotage per pagarvi di meno o mascherare altri rapporti di lavoro? Tenete la furia (direbbe qualche amico) per progettare altro.

Ecco l’intervista:

Sempre più numerosi i giovani che aprono la partita Iva: i consigli dell’esperto Dario Banfi a tutti gli aspiranti freelance

Dalla ricerca «Specula» di Formaper, l’agenzia speciale della camera di commercio di Milano, emerge che un numero sempre più consistente di laureati lombardi a un anno dalla fine degli studi ha aperto una partita Iva. Un dato che fa capire quanto il lavoro autonomo, spontaneo o spintaneo che sia, stia diventando comune per i giovani che si affacciano al mondo del lavoro. Dario Banfi, classe 1971, è un freelance espertissimo di partite Iva: non solo perchè in prima persona è giornalista professionista, copywriter e consulente in comunicazione, ma anche perché è attivo nell’associazione Acta (l’associazione Consulenti terziario avanzato) e insieme a Sergio Bologna ha pubblicato pochi mesi fa con Feltrinelli il bel saggio Vita da freelance, sottotitolo «I lavoratori della conoscenza e il loro futuro».
Alla vigilia del Jobmeeting di Milano, dove alle 16 Banfi terrà il seminario «Partita Iva, tutto quello che i neolaureati dovrebbero sapere», la Repubblica degli Stagisti l’ha intervistato per chiedergli un’analisi della situazione e sopratutto qualche dritta per i giovani che intraprendono una professione autonoma.

Fotografia Dario BanfiDario Banfi, secondo lei i freelance possono essere considerati una «categoria»?
Certamente. Sebbene appartengano a professioni differenti, hanno in comune l’indipendenza e l’assenza di vincoli di subordinazione. Sono lavoratori professionali autonomi, diversi da commercianti e artigiani, o come si dice di “seconda generazione”. Affrontano rischi legati alla discontinuità del lavoro, alla produzione,  alla ricerca di clienti. Hanno in comune l’intraprendenza e lo strumento con cui lavorano, ovvero il sapere. Non hanno capitali o mezzi di produzione, ma si affidano alle conoscenze specialistiche e alla capacità di offrire consulenza per creare innovazione.
Qual è la sfida per i freelance del nuovo millennio?
Da una parte coalizzarsi, dall’altra mantenere viva la capacità di offrire lavoro di alta professionalità in un mercato che punta a declassare questa categoria, abbassando costi e spostando i rischi d’impresa, togliendo spesso dignità al lavoro autonomo. Queste due priorità sono fortemente sentite con la crisi. C’è comunque una sfida più generale che riguarda i cittadini-lavoratori, ovvero la conquista di alcuni diritti sociali e di protezioni all’interno del nostro sistema di welfare che sono stati sistematicamente negati o rimossi per le nuove generazioni e il nuovo lavoro. Dalle coperture per malattia e infortunio al sostegno al reddito a una buona previdenza.
Ritiene che possa essere correttamente inquadrato come freelance anche chi percepisce il 100% del suo reddito, o comunque la parte nettamente prevalente di esso, da un solo committente?
Non è il numero dei committenti che definisce il vincolo di autonomia o subordinazione, ma la relazione con il datore di lavoro, l’uso dei mezzi, il vincolo della presenza e altri fattori che insieme definiscono quando un’attività può essere considerata eterodiretta. L’ha specificato più volte la Corte di Cassazione. Ma se ci pensate ogni freelance percepisce il 100% del suo reddito temporaneo da un solo committente ogni volta che lavora per lui. Un webmaster, per esempio, che crea tre siti in un anno, in maniera consecutiva, ogni 4 mesi percepisce il suo reddito da un solo committente. È soltanto il periodo d’imposta annuale che ci fa pensare al rapporto tra reddito e tempo: ma l’autonomia non c’entra con l’anno solare o con il tempo, ma con la natura del lavoro. Usare soltanto il parametro quantitativo per dedurre la dipendenza è un errore.

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Appuntamento a Milano sul Lavoro cognitivo

Flc-Cgil di Milano organizza il convegno “Precarietà e lavoro della conoscenza: proposte a confronto“. Sabato 26 novembre alle ore 10,30 presso la Sala Napoleonica di Palazzo Greppi dell’Università di Milano (Via S. Antonio, 10).

IL PROGRAMMA

Prima parte – Comprendere il capitalismo cognitivo – Ore 10.30-13.00
Apertura e conduzione dei lavori: Loris Caruso (Flc-Cgil Milano)
Relazioni:

  • Ivana Brunato (Segretario Camera del Lavoro di Milano) – Introduzione
  • Carlo Formenti (Università del Salento) – Capitale e lavoro nel capitalismo cognitivo
  • Emiliana Armano (Università di Milano) – Autonomia e subordinazione nel nuovo lavoro
  • Sergio Bellucci (giornalista e saggista) – Quale conoscenza nel lavoro della conoscenza
  • Cristina Tajani (Assessore al Lavoro, Università e Ricerca al Comune di Milano) – Economia della conoscenza e precarietà: la situazione a Milano

Seconda parte – Precarietà e lavoro della conoscenza: le proposte della Cgil, delle reti e delle associazioni del precariato intellettuale – Ore 14.00
Apertura e conduzione dei lavori: Attilio Paparazzo (Segr. generale Flc-Cgil Milano)
Interventi di:

  • Mario Esposti – Consulta lavoro professionale Cgil
  • Andrea Fumagalli – organizzatore Mayday
  • Sergio Bologna – Acta (Associazione consulenti terziario avanzato)
  • Giuseppe Allegri – Coordinamento nazionale Precari Università
  • Claudio Nicrosini – Movimento scuola precaria
  • Paolo Puglisi – Segr. generale Slc-Cgil Milano
  • C.Re.S.Co (Coordinamento delle Realtà della Scena Contemporanea)
  • Dilva Giannelli – Atdal (Associazione nazionale per la tutela dei lavoratori over 40)
  • Rete dei Redattori precari
  • Precari degli Enti di ricerca
  • Francesco Sinopoli – Segretario nazionale Flc-Cgil

Il programma in download.

Limoni della Gestione Separata: aliquota +1%!

Era già successo nel 2007 con lo scalone: per foraggiare un’operazione riservata ai lavoratori alle dipendenze furono innalzate le aliquote contributive delle partite IVA. Ecco di nuovo la sconcezza inserita nel maxiemendamento (.PDF), all’articolo Art. 4-noviesdecies, comma 1: per finanziare le agevolazioni concesse agli apprendisti, su di un altro punto percentuale la quota da pagare per le pensioni dei freelance! Il bello è che a fronte di questa crescita dei costi del lavoro non c’è alcun ritorno per i lavoratori professionali autonomi. Un po’ come l’idea messa in pratica dal 2008 di prendere soldi dalla fiscalità generale (tasse che pagano tutti) per finanziare la CIG in deroga, alla quale cui gli autonomi non hanno diritto. Con il plauso di tutti, sindacati compresi. Ecco il testo del Maxiemendamento:

Al fine di promuovere l’occupazione giovanile, a decorrere dal 1° gennaio 2012, per i contratti di apprendistato stipulati successivamente alla medesima data ed entro il 31 dicembre 2016, è riconosciuto ai datori di lavoro, che occupano alle dipendenze un numero di addetti pari o inferiore a nove, uno sgravio contributivo del 100 per cento con riferimento alla contribuzione dovuta ai sensi dell’articolo 1, comma 773, quinto periodo, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 per i periodi contributivi maturati nei primi tre anni di contratto, restando fermo il livello di aliquota del 10 per cento per i periodi contributivi maturati negli anni di contratto successivi al terzo. Con effetto dal 1° gennaio 2012 l’aliquota contributiva pensionistica per gli iscritti alla gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, e la relativa aliquota contributiva per il computo delle prestazioni pensionistiche sono aumentate di un punto percentuale.

Sì insomma, sono caduti insieme a tutto il Governo, ma che se ne andassero davvero a quel Paese.