Keep It Simple, Stupid. Ovvero: scrivi in maniera semplice. Non complicare la vita a te e ai tuoi lettori.
Il simpatico acronimo di questo consiglio, che circola tra i copy di lingua anglosassone, è semplicemente Kiss. Ovvero, baciami (stupido). Keep It Simple, Stupid. Questo e altri preziosissimi consigli per copy e scrittori, estensori di testi aziendali o dirigenti di ogni sorta, nonché professionisti o scrittori di documenti legali e amministrativi, si trovano nell’utilissimo libello Con parole precise. Breviario di scrittura civile di Gianrico Carofiglio (Laterza, 2015). Lettura consigliatissima, ma per chi cerca indicazioni rapide per una buona scrittura, vi lascio una sintesi (mi perdoni l’autore) da consumare via Web.
Prima di tutto la verità
Ogni scrittura, sostiene fin da subito Carofiglio, dovrebbe rispettare il principio della verità nelle sue differenti declinazioni. E’ una questione di etica. Il filosofo Carlo Sini ha esplorato per anni il principio fondativo dell’Etica della Scrittura (Mimesis, 2009), ma senza andare troppo in là, basti ricordare che i principi di una convivenza civile e democratica hanno la loro base nella precisione delle parole che si usano per comunicare. “La qualità della vita politica (in senso ampio del termine, aggiungo io) dipende dalle parole che si scelgono per interpretarla, dalle storie che si scelgono per raccontarla e soprattutto dal valore e dalla forza metaforica di queste storie“.
La qualità di una democrazia dipende dalla qualità delle discussioni che la animano: le conversazioni non dovrebbero avere esiti predeterminati o imporre nulla, ma consentire comprensione, apertura e dialogo. La precisione delle parole è dunque importante poiché nella vaghezza viene meno la possibilità di controllare chi comanda.
Storie e metafore
Il nostro modo di comunicare è disseminato di metafore, spesso non ce ne accorgiamo neppure. C’è chi ne abusa, usandole come strumenti di manipolazione e di ottundimento dell’intelligenza individuale e collettiva, ma anche, per fortuna, chi le usa correttamente, impiegandole come straordinario mezzo di trasformazione del reale.
Per contrastare le metafore manipolatore e tossiche non basta, però, negarle, bisogna essere capaci di elaborarne altre e definire diversi quadri di riferimento ideali. Non si tratta, cioè, di fare giochi di parole: con le storie e le metafore occorre illuminare ed emozionare. La verità da sola non basta: attraverso le metafore – consiglia Carofiglio – bisogna comunicarla in maniera persuasiva, portando allo scoperto anche i propri valori e il proprio punto di vista.
Tutti sanno parlare in maniera oscura, pochi chiaramente
Lo sosteneva Galileo Galilei. E Carofiglio ribadisce il concetto. Parlare in maniera errata è semplice, ma – attenzione! – l’oscurità della lingua è antidemocratica: “Il linguaggio oscuro preferisce non dire piuttosto che dire, preferisce non comunicare“. Chi formula discorsi difficili lo fa, cioè, per nascondere a se stesso e agli altri il fatto che non abbia nulla da dire.
Perché allora? Parlare e scrivere oscuro sono dovute a pigrizia, narcisismo e, soprattutto, alla volontà di esercitare un potere.
Che si tratti di poesie, sentenze o racconti, è indispensabile, invece, reprimere la vanità personale e avere la capacità e il coraggio di rimuovere l’inessenziale, compresi se stessi. Mai dimenticare la causa principale dell’oscurità del linguaggio: l’esercizio del potere. “Chi occupa posizioni di vantaggio, ha tutto l’interesse a non farsi mai capire fino in fondo, perché altrimenti il suo potere potrebbe essere messo in discussione“, diceva Michele Anais.
Sette regole per una buona scrittura
Le idee, il nostro racconto del mondo e i pensieri nascono dalla lingua con cui li formiamo. Per questo gli errori di scrittura e gli errori di pensiero sono strettamente legati. Si può, però, imparare a scrivere e pensare bene, in maniera più chiara e lineare. Per ottenere questo risultato Carofiglio consiglia alcune regole.
1. Sii leale verso te stesso e i tuoi lettori
Essere leali verso i propri lettori va messo al primo posto. Cosa vuol dire? Significa avere un’educazione linguistica che metta tutti in condizione di leggere e capire i testi di una certa complessità. La comunicazione precisa, chiara, efficace è un diritto-dovere. Migliorare la qualità estetica e tecnica dei testi significa, di conseguenza, migliorare la loro efficacia, anche e sopratutto nella scrittura professionale. Nel 1946 George Orwell scriveva della lealtà:
Uno scrittore leale in ogni frase che scrive si farà perlomeno quattro domande:
- Che cosa sto cercando di dire?
- Con quali parole lo esprimerò?
- Quale immagine o modo di dire lo renderà più chiaro?
- Questa immagine è abbastanza fresca da avere un qualche effetto?
E probabilmente ne porrà altre due:
- Potrei dirlo più brevemente?
- Ho scritto qualcosa di bruttezza non necessaria?
2. Cerca sempre di farti capire
Quando un contesto linguistico (per esempio nel mondo giuridico) presenta fenomeni, difetti e tic linguistici, i testi tendono a riprodurre le medesime storture e ad assomigliarsi tra di loro. La correttezza è un’altra pietra miliare e va intesa non soltanto come rispetto delle norme grammaticali e sintattiche, ma come accuratezza nella redazione del testo in tutti i suoi aspetti.
Nel mondo anglosassone si parla da anni di adottare, almeno nel contesto pubblico (ma farebbe un gran bene anche a quello privato) di plain language. Linguaggio privo di complessità, piano, semplice (che non significa, però, semplificato). Gli USA, prima con Clinton poi con Obama, hanno battuto questa strada, promuovendo anche un Plain Writing Act. Italia e Unione Europea si sono mosse nella stessa direzione. Basti ricordare la Guida alla redazione degli atti amministrativi (CNR, Accademia della Crusca, 2011). Il nemico da combattere è la tendenza a usare parole astratte e generiche, eccedere con gli avverbi, adottare espressioni ambigue.
3. Niente parole inutili
Essere concisi è un’altra regola. Vuol dire impiegare terminologia precisa che significa per tutti la stessa cosa (George Simenon le chiamava “parole-materia”), essere brevi, asciutti, essenziali, stringati. Eliminare le parole inutili.
“Le persone sono disposte a perdonare tutto a un uomo, tranne un discorso noioso“, diceva Churchill, che nel suo libello Brevity, suggerì di sostituire ogni verbosità con parole singole. In Italia, tuttavia, come ribadì Ennio Flaiano, la linea più breve tra due punti è spesso l’arabesco. La sinteticità e la chiarezza sono, invece, un dovere: un testo scritto con lucida brevità risulta sempre vincente rispetto a uno confusamente prolisso. Bastano pochi semplici accorgimenti:
- sostituire le “traduzioni perifrastiche” (per esempio “nelle prime ore antimeridiane”) con parole più immediate (“stamattina presto”);
- eliminare verbi generici + predicati (“apporre la firma”) per adottare i verbi corrispondenti (“firmare”);
- abbandonare la prassi di concentrare troppe informazioni in una sola frase, un errore che si nota nell’uso eccessivo di periodi lunghi, frasi incidentali e subordinate ecc.
Le parole del Piccolo Principe di Antoine de Saint Exupery sono illuminanti: “Si arriva alla perfezione non già quando non c’è più niente da aggiungere, ma quando non c’è più nulla da togliere“. Anche nella scrittura vale l’arte del togliere. I testi vanno limati, resi precisi ed essenziali, magari attraverso l’aiuto della lettura e della rilettura continue.
4. Segui una linearità di pensiero e di scrittura
Scrivere con chiarezza porta lettori, scrivere in maniera ambigua moltiplica i commentatori, diceva Albert Camus. Per questa ragione, secondo Carofiglio, affinché uno scritto sia davvero comprensibile, non conviene usare (fatte le dovute eccezioni) più di 23/30 parole tra un punto fermo e il successivo.
Parlare e scrivere – ribadiva Tullio De Mauro – non equivale, infatti, a mettere insieme parole, ma “a costruire enunciati e testi adeguati al contenuto che si vuole o si deve trasmettere a determinati interlocutori in vista di certe finalità“. La linearità si ottiene, perciò, con un adeguato allineamento tra testi, interlocutori e finalità.
Il modo migliore per arrivare al punto è dunque essere lineari. Ma come? Evitando digressioni o incisi in tutti gli elementi che interrompono il filo logico del discorso. Occorre procedere secondo un ordine diretto, fatto di sequenze brevi e compatte. Per questo è, per esempio, utile sciogliere sempre i grovigli sintattici e trasformare le frasi subordinate in frasi coordinate.
5. Punta alla concretezza
Più possibile concreto e più possibile preciso: così Italo Calvino immaginava l’italiano scritto. Una delle possibili storture di questo principio è, tuttavia, la tendenza diffusa a usare e abusare delle formule astratte. Chi scrive in maniera oscura tende a “nominalizzare” forme verbali assai più chiare, creando termini poco comuni, in forma astratta. Un esempio: definire un reato come “l’antigiuridigità della condotta”, quando basterebbe una forma estesa, più semplice, per dire che si tratta di una “condotta contraria ai principi della Legge”.
Le forme astratte non sono per definizione migliori. Al contrario, la buona scrittura dovrebbe usare frasi esplicative imperniate su verbi o aggettivi più chiari e concreti. I sostantivi astratti possono essere tranquillamente sostituiti con le corrispondenti frasi verbali. Rendere qualcosa esplicito significa, infatti, renderlo aperto, chiaro, evidente, palese, trasparente. Ciò che è implicito, al contrario, resta allusivo, sottinteso e tacito.
Vanno messe al bando le forme passive, che appesantiscono i testi, rendendoli più oscuri. Scrive Carofiglio: “La forma passiva sterilizza la scrittura e anestetizza il lettore. Ogni opinione è attribuita a un’entità impersonale“. Lo stesso si può dire delle doppie negazioni (scrivere, per esempio, “non sono inammissibili” al posto di “sono ammissibili”) o dell’eccessiva distanza tra soggetto e predicato. Meglio evitarle.
6. Non avere paura di usare sinonimi
Italo Calvino sosteneva che esistesse, per molti italiani, una sorta di antilingua in grado di separare parole e realtà. Lo stesso si può dire per i cosiddetti “pseudotecnicismi” e forme spinte di neologismi introdotti nella lingua d’azienda (spregiativamente chiamata “aziendalese”). Si tratta di locuzioni prive di un’autentica necessità concettuale, che inibiscono la comunicazione poiché la circoscrivono ai soli specialisti. Vanno ridotte al massimo.
A volte l’uso spasmodico le introduce nella lingua corrente, ma non sono locuzioni naturali. Si pensi a “DPCM” che prima dei fatti legati a Covid-19 era usato da una nicchia di italiani: pochi giorni fa l’ha citato il meccanico che mi ha revisionato l’auto. Bisogna, invece, sforzarsi di usare parole comprensibili a tutti. Come? Nei casi più complessi, accedendo a quella splendida riserva linguistica rappresentata dai sinonimi.
E ancora, vale la pena ricordare altre regole per una scrittura precisa:
- gli avverbi che non esistono nella lingua italiana devono essere sostituiti con frasi brevi e corrette;
- gli avverbi inutili vanno soppressi;
- meglio evitare espressioni goffamente letterarie, per esempio basate sulla ridondanza di senso tra aggettivi, avverbi o forme verbali;
- cancellare anche espressioni colloquiali, terminologia non uniforme, termini stranieri non tradotti e di non immediata comprensione;
- non usare parole latine, inglesi o di altre lingue sconosciute alla maggior parte dei lettori;
- e quando le sigle o le abbreviazioni sono oscure, andrebbero esplicitate, riportandone il significato esteso.
7. Considera le parole degli altri
Ultima regola: il rispetto della cultura altrui. Scriveva Marco Aurelio: “Abituati a considerare con estrema attenzione le parole degli altri, e per quanto puoi entra nell’anima di chi sta parlando“. Questa regola non si applica soltanto alla comunicazione ordinaria, ma anche e soprattutto quando il contesto diventa più tecnico. Si pensi all’interrogazione di un testimone in tribunale, ai colloqui di lavoro, ai rapporti commerciali tra imprese e consumatori, all’educazione dei genitori verso i figli. La distanza tra registri linguistici crea il rischio continuo di incomprensioni. Chi fa domande, propone un acquisto, insegna principi morali ha l’onere di farsi capire.
Democrazia e parole precise
La parola precisa è sinonimo di virtù civili e fattore di democrazia. La parola imprecisa e le frasi oscure sono indizi di assolutismo più o meno mascherato.
Se queste due affermazioni fossero vere (personalmente le ritengo tali), ogni cittadino, ogni lettore, ogni ascoltatore, avrebbe uno strumento molto semplice per comprendere quando i propri interlocutori stanno promuovendo principi democratici o esercitando un potere senza mediazioni. Basterebbe, cioè, che si chiedesse: “Perché chi ha scritto questo testo lo ha scritto in questo modo?“.
Chi si occupa di scrittura professionale, dovrebbe spingersi oltre, chiedendosi anche come si sarebbe potuto scrivere lo stesso testo per renderlo adeguato, efficace, onesto. La scrittura e la parola sono strumenti di giustizia, costruiscono azioni politiche, permettono di convivere civilmente. Ogni cittadino ha il potere e il dovere di valutare le parole degli altri con la massima attenzione. In assenza di precisione, chi parla e chi scrive si pone fuori da una civile convivenza. Questo vale oggi nel linguaggio politico, in azienda, offline e online, e sopratutto, sempre di più, nel mondo dei social network.
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