L’arte perduta del mulinaro

¿es posible clavar con miradas la brisa?
(È possibile fissare la brezza con lo sguardo?)

Garcia Lorca, Libro de Poemas

Avete mai previsto il vento? Direzione, intensità o durata? O vi siete mai chiesti quale fosse la direzione da prendere guardando unicamente il cielo? In mare ancora molti velisti la prendono come una sfida, ma sempre di più si affidano a strumenti moderni e sofisticati per ottenere risultati più affidabili.

Una volta, invece, non era così. Su questa capacità c’è chi ha costruito un’arte ben precisa in passato, un mestiere di grande valore ed enorme responsabilità, perché da lui dipendeva il guadagno di una giornata di lavoro per tutta la filiera produttiva. Era il mulinaro.

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Firmato il popolo delle partite IVA

Una lettera aperta per il Governo. Il Consiglio direttivo di ACTA (di cui faccio parte) ha deciso di scrivere a Monti, Fornero e Passera per ricordare le necessità e le speranze di milioni di freelance e lavoratori professionali autonomi italiani in questo periodo di crisi. Qui, in download anche il Comunicato Stampa ACTA.

 

LA LETTERA

Al Presidente del Consiglio Professor Senatore Mario Monti
Al Ministro del Lavoro e Politiche Sociali Professoressa Elsa Fornero
Al Ministro dello Sviluppo Economico, Infrastrutture e Trasporti Dottor Corrado Passera

Ill.mo Presidente,
Ill.mi Ministri,

ci rivolgiamo a Voi in forma di lettera aperta nella convinzione che la Vostra azione di governo affronterà nodi strutturali e rigidità corporative che rischiano di far inesorabilmente regredire il nostro Paese e che ogni giorno condizionano, sempre più pesantemente, la nostra attività professionale e la nostra vita di cittadini.

ACTA. Associazione Consulenti Terziario Avanzato.

La nostra associazione rivendica cittadinanza ai diritti dei lavoratori professionali di nuova generazione. Interpreta il loro spirito di libertà e indipendenza. Promuove la loro visibilità sociale e le iniziative che ne difendono i diritti. Vive della partecipazione e del contributo di tutti loro.

Il nostro lavoro consiste nella prestazione di servizi immateriali, cognitivi, alle imprese, alle istituzioni, alle comunità. Una politica di sviluppo fondata sull’innovazione, sulla libera circolazione dei saperi, sulla tutela dei beni comuni, sulla difesa del territorio dal dissesto idrogeologico, sulla responsabilità sociale dell’impresa, sul valore del lavoro professionale che si apre all’Europa e al mondo, in grado di contrastare l’impoverimento delle intelligenze e delle risorse umane, è quella a noi più congeniale e, crediamo, più in grado di produrre occupazione di qualità e progresso.

1. Oltre la rappresentanza degli interessi, per la cittadinanza dei diritti.

Siamo un ceto sociale escluso dalle tradizionali forme di rappresentanza: ordini professionali, sindacati, associazioni imprenditoriali. Siamo il prodotto più visibile del cambiamento sociale: ne siamo l’avanguardia. Oggi, e domani ancor di più, il percorso lavorativo di ciascuno attraverserà varie tipologie di rapporto lavorativo. Non pensiamo ad un improponibile ritorno al passato, ma vogliamo un futuro di pari opportunità per tutte le forme di lavoro. Per questo rivendichiamo un moderno Stato sociale, eguale per tutti i cittadini e frutto di un’equilibrata imposizione fiscale.

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Un commento al programma di Monti (e Fornero) sul Lavoro

L’analisi non è semplice, vista la densità e complessità della materia, ma quasi per slogan si può tracciare una sintesi del discorso tenuto oggi al Senato dal nuovo presidente del Consiglio, Mario Monti in materia di rifoma del mercato del lavoro. Ovviamente ci sono dietro i progetti e le valutazioni del nuovo ministro Elsa Fornero.

Questo è il discorso, in sintesi, di Monti al quale aggiungo qualche considerazione personale nel mezzo:

[…] in particolare per quanto riguarda l’integrazione operativa delle agenzie fiscali, la razionalizzazione di tutte le strutture periferiche dell’amministrazione dello Stato, il coordinamento delle attività delle forze dell’ordine, l’accorpamento degli enti della previdenza pubblica […]

Primo punto: mettere insieme INAIL e INPS. Se, però, sullo sfondo c’è l’attuazione del Disegno di Legge Cazzola, è possibile che anche nelle Casse di previdenza dei professionisti si registrerà qualche scossone.

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Le proposte di Renzi per riformare il Lavoro

Alla fine dalla lunga maratona alla Leopolda dei rottamatori guidati da Matteo Renzi sono uscite queste proposte (mi limito a queste, visto che seguo il tema del lavoro) per riformare la questione Lavoro in Italia.

19. Riformare le pensioni per avere ancora le pensioni. Sulle pensioni si può, fin da subito, parificare l’età pensionabile delle donne con quella degli uomini, instaurando una finestra anagrafica unica di 63-67 anni per accedere al pensionamento con assegno proporzionato alla speranza di vita secondo coefficienti attuariali aggiornati annualmente. Accelerare il passaggio al sistema contributivo per tutti. Eliminazione delle pensioni di anzianità nell’ambito di un patto tra le generazioni. Parte dei risparmi ottenuti andrà utilizzata per finanziare l’azzeramento dei contributi previdenziali per i giovani neo-assunti

20. Nuove regole per evitare il cumulo delle pensioni.

26. Riformare gli ordini professionali. Bisogna abolire gli ordini professionali superflui e ricondurre i rimanenti a una funzione di regolatori del mercato e non di protezione corporativa per quanti esercitano già la professione. Bisogna arrivare all’abolizione delle tariffe minime e ulteriore riduzione dei vincoli alla pubblicità per gli studi professionali, in maniera tale che tutti abbiano la possibilità di farsi conoscere.

29. Liberalizzare le assicurazioni su infortuni e malattie. Le attività svolte dall’Inail, il monopolio pubblico che si occupa dell’assicurazione per le malattie e per gli infortuni dei lavoratori svolge una funzione tipica di qualunque società di assicurazione privata. Bisogna allora aprire all’accesso dell’attività di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro da parte di imprese private di assicurazione o di riassicurazione.

35. Superare il precariato attraverso il contratto unico a tutele progressive. Per superare il dualismo del mercato del lavoro, che vede parte dei lavoratori con tutte le garanzie e gli altri (i giovani) senza nessuna garanzia, occorre introdurre un contratto unico a tutele progressive che dia maggiori certezze ai giovani.

36. Riformare gli ammortizzatori sociali. Bisogna passare dalla cassa integrazione, ordinaria e straordinaria, a indennità di disoccupazione universali, applicabili anche ai dipendenti di piccole e medie imprese e improntati al criterio del welfare to work sul modello danese.

37. I contratti aziendali contro i salari poveri. Oggi i lavoratori italiani ricevono un salario mediamente più basso rispetto a paesi a noi vicini come la Germania e la Francia. Un modo per avere salari più alti per i lavoratori italiani è quello di sostenere i contratti aziendali che possano, quando le condizioni aziendali lo permettano, crescere oltre quanto previsto dai contratti collettivi di lavoro.

38. Aliquote rosa. L’Italia ha la più bassa percentuale di occupazione femminile d’Europa. Anche il tasso di attività femminile, cioè il numero di donne che si presenta sul mercato del lavoro, è il più basso. Un’agevolazione fiscale riservata all’assunzione delle donne e per un certo congruo numero di anni può portare a riallineare in alto la parità uomo donna sul piano del lavoro.

Tratte dalle 100 Proposte di Matteo Renzi (& Co.)

In estrema sintesi Renzi appoggia la linea riformista di Pietro Ichino (35), con riforma allegata degli ammortizzatori (36), ma non per tutti, sebbene si parli di universalità, una idea per il vero, già proposta da Sacconi nel Collegato Lavoro e nello Statuto dei Lavori. Renzi poi punta su aliquote rosa e contrattazione decentrata in deroga a CCNL (anche questa presente tra le righe del famoso Articolo 8 della manovra del Governo Berlusconi). Sulle liberalizzazioni spinge più in là la filosofia del decreto Bersani, prevedendo l’eliminazione di Ordini professionali. Su pensioni la pensa come Boeri sul contributivo per tutti, ma eliminerebbe pensioni di anzianità (!) tenendo solo finestra d’uscita 63-67 uguale per tutti, uomini e donne e agevolando con equilibri di cassa il lavoro giovanile con contribuzione figurativa, a costo zero cioè sul costo del lavoro giovanile (una linea per altro simile a quella di Montezemolo). Del tutto nuova e interessantissima l’ipotesi al punto 29 di liberalizzazione di assicurazioni su infortuni e malattie, dove però non si fa esplicito riferimento a nessuna ipotesi di opt-out dal sistema pubblico.

In altre parole niente di totalmente divergente dalla linea del partito o perlomeno di alcuni suoi esponenti (preferendo il riformismo di Ichino alla linea di Fassina), contaminata da posizioni eterogenee e in alcuni casi di destra. Ancora completamente assente un discorso sull’universalità del diritto (reddito di cittadinanza e simili) o più elementari equiparazioni tra lavoratori in generale, che possa includere i lavoratori indipendenti e i freelance, per esempio.

Dettati europei, zerbini e la fantasia dei barzellettieri

Era già abbastanza chiaro in quale stato agonizzante versasse la nostra politica del lavoro, ma con la pubblicazione della lettera che Trichet e Draghi hanno indirizzato al Governo il 5 di agosto ora risulta ancor più evidente di quale sacco fosse la farina contenuta nelle poche e confuse azioni di riforma contenute nella Manovra finanziaria in materia di lavoro. Chi non riconosce in queste parole l’abbozzo di riforma delle professioni (stralcio del DL 138/2011 in .PDF in download) o il contenuto dell’Articolo 8?

[…] a) È necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali. Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala.
b) C’è anche l’esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione. L’accordo del 28 Giugno tra le principali sigle sindacali e le associazioni industriali si muove in questa direzione.
c) Dovrebbe essere adottata una accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che siano in grado di facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi. 

Badate bene: il punto c) è stato introdotto in qualche modo nell’articolo 8 della manovra, ma soltanto nella prima parte (tralasciando quella che ho evidenziato in neretto).

Come già avvenuto con la Legge Biagi e tutte le successive revisioni del diritto del lavoro da parte dei governi di destra che si sono succeduti negli ultimi 15 anni si è messo mano soltanto alla pars destruens, abbandonando la strada della riforma degli ammortizzatori o, come propongono Pietro Ichino e altri da anni, di introdurre sistemi di compensazione in carico al datore di lavoro per assicurare (in senso letterale, non metaforico) la perdita del lavoro, magari sfruttando l’occasione per rivedere la paltea dei beneficiari delle politiche di sostegno al reddito.

E invece no, da queste parti si pensa soltanto a frantumare, lasciando la ricomposizione e le macerie al mercato. In altre parole Trichet ha voluto spingere con forza il modello europeo in casa nostra, ma il nostro coraggioso ministro e il Governo hanno pensato bene di stendere lo zerbino soltanto sui percorsi in uscita dal mercato, senza aprire nuove porte, immaginare nuove politiche di sostegno per il lavoratore nelle sue fasi di transizione.

Non è mancanza di tempo o di fantasia, questa ce l’ha eccome chi sa spiegare il contenuto di Legge con barzellette sulle suore. Dopo anni si può dire che sia una scelta consapevole e certamente infausta, che non sembra dare fastidio neppure al sindacato, votato oramai a manovrare crisi di chi gli ammortizzatori li ha. Queste omissioni le pagheranno negli anni a venire i giovani, le donne, i freelance, i soggetti più deboli e tutti i nuovi disoccupati.

Diritto al futuro (non per tutti): istruzioni per l’uso

Con la circolare dell’INPS 115/2011 del 5 settembre è stato chiarito come i giovani genitori di figli minori possono iscriversi a alla Banca dati del Ministero che consente di accedere al progetto “Diritto al futuro“, promosso dal ministro Meloni, finalizzato all’erogazione di incentivi del valore di 5.000 euro in favore delle imprese  private e delle società cooperative che provvedano ad assumere  – con un contratto a tempo indeterminato, anche parziale – le persone iscritte alla banca dati. In pratica una specie di “bonus papà” o “bonus mamma“.

Prima di riportare modo e requisiti è interessante cogliere come ancora una volta i freelance o titolari di partita IVA siano considerati “pària delle politiche sociali”, invisibili, rimossi, cancellati. Titolari ed ex titolari di contratti di lavoro di ogni genere potranno beneficiare di questa opzione, i freelance no. Dovrebbero chiudere la propria partita IVA e iscriversi ai Centri per l’Impiego come disoccupati. I titolari di contratti di altro tipo possono invece tranquillamente continuare a lavorare. Che cosa significa? Semplice: che il cittadino-lavoratore non esiste nel nostro Paese, esistono soltanto alcune fattispecie, non tutte e non tutte hanno diritto al futuro, evidentemente.

 

PROCEDURE PER L’ISCRIZIONE

Requisiti per l’iscrizione alla banca dati

I soggetti aventi diritto potranno iscriversi alla banca dati a decorrere dalla data di pubblicazione di apposito avviso sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.

Possono iscriversi alla banca dati coloro che possiedano, alla data di presentazione della domanda, congiuntamente i seguenti requisiti:

  • età non superiore a 35 anni (da intendersi fino al giorno precedente il compimento del trentaseiesimo anno di età);
  • essere genitori di figli minori – legittimi, naturali o adottivi – ovvero affidatari di minori;
  • essere titolari di uno dei seguenti rapporti di lavoro:
  1. lavoro subordinato a tempo determinato
  2. lavoro in somministrazione
  3. lavoro intermittente
  4. lavoro ripartito
  5. contratto di inserimento
  6. collaborazione a progetto o occasionale
  7. lavoro accessorio
  8. collaborazione coordinata e continuativa.

 

In alternativa al requisito di cui al punto c), la domanda d’iscrizione può essere presentata anche da  una persona cessata da uno dei rapporti indicati; in tal caso è richiesto l’ulteriore requisito della registrazione dello stato di disoccupazione presso un Centro per l’Impiego.

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Esiste il reato di “furto di retribuzione”?

Su questo si stanno interrogando seriamente negli Stati Uniti, dove un gruppo di difensori dei diritti civili del Texas sta ragionando [cfr. “EL PASO’S NEWEST CRIME WAVE: A Wage Theft Epidemic in the Borderlands” .PDF in download] sulla possibilità di richiedere l’introduzione del reato di “furto di retribuzione” per quei datori di lavoro che inquadrano non correttamante i lavoratori indicando per loro un ruolo di independent contractor, lavoratori autonomi, quando invece sono a tutti gli effetti dipendenti. I vantaggi? Un evidente risparmio sul costo del lavoro, un furto al singolo e alla collettività. Questo si verifica nelle zone di confine del Texas, per esempio nel mondo dell’edilizia, dove – in barba alle indicazioni dell’IRS – Internal Revenue Service, l’Agenzia federale delle Entrate – viene misconosciuto il  cosiddetto protocollo1099, producendo una violazione del diritto che negli Usa chiamano “1099 misclassification” [cfr. “What is 1099 Misclassification?” . PDF in download] e che in Italia definiremmo semplicemente “lavoro grigio” o “false partite IVA”. Mentre da noi si passa sopra a tutto e tutti (i diritti), nello Stato del Texas la volontà di colpire duro le irregolarità porterebbe chi taglia contributi e stipendi a finti freelance dritti nelle braccia del diritto penale, attribuendo loro il (nuovo) reato di “furto di retribuzione”, un’idea che la Freelancers Union americana non ha tardato a rimettere in circolo in tutti gli Stati attraverso il suo canale Twitter.

Quale exit strategy per i freelance?

A distanza di due mesi ho ripescato in fondo a una cartellina del PC il testo che scrissi per la prima presentazione del libro Vita da freelance. I lavoratori della conoscenza e il loro futuro (Feltrinelli, 2011), scritto insieme a Sergio Bologna, che facemmo insieme, con la moderazione della brava Roberta Carlini, presso la Libreria Feltrinelli di Galleria delle Colonne a Roma il 28 aprile 2011. Spiaceva morisse là nell’angolo buio di una cartella del computer e ve la propongo, se vi interessa.

Quale exit strategy per i freelance?

Cover Vita da freelanceOgni giorno compaiono su Twitter una media di 3/4 twit al minuto, messaggini di 140 caratteri, etichettati con la voce #freelance o #freelancing. È soltanto la punta di un iceberg e di un mondo del lavoro (e dei modi di raccontarlo) che stanno cambiando. I lavoratori indipendenti non hanno atteso in questi anni chi li rappresentasse ufficialmente per uscire allo scoperto, usando la rete Internet, per incontrarsi e raccontarsi come lavoratori.

In Italia accade un po’ meno che altrove e la domanda che mi faccio spesso è che cosa stiamo aspettando a buttarci nella mischia, per scompaginare le regole della rappresentanza.

L’idea di scrivere un libro sul mondo dei freelance è un’avventura in cui mi ha trascinato Sergio (io pensavo già di fare soltanto il papà freelance e invece no) e nasce da qui. Dall’urgenza di raccontare dall’interno che cosa accade e con quali culture dobbiamo confrontarci, cercando di capire chi sono in nostri veri interlocutori. Nasce dalla necessità di squadernare e togliere la rilegatura a un libro che abbiamo letto già molte volte e che non ci andava più bene perché filtrato fin troppo efficacemente dal sindacalismo, dalla politica o dall’informazione.

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Una bella spalmata d’Irpef per tutti

Non sarò un genio della matematica, ma una cosa mi è chiara. Con la Riforma fiscale varata ieri, c’è una questione oscura ai più, chiarissima ai pochi. Alla domanda “Quanto pagheremo di tasse la prossima stagione?” possono rispondere con certezza soltanto i più ricchi. Le aliquote passeranno infatti al 20, 30 e 40%, ma non sono stati ancora fissati i nuovi margini dei redditi che cadono sotto ciascuna aliquota.

La maggior parte degli italiani dunque non sa se trarrà benefici o dovrà pagare di più. Al contrario, i più ricchi sanno già che pagheranno di meno, visto che l’aliquota massima sarà del 40%. E se la riforma è a costo zero, questo significa che il risparmio dei ceti più abbienti (tra i quali i nostri amatissimi politici, e politici-imprenditori) si spalmerà sul resto d’Italia.