Per mantenere vivo il rapporto di lavoro dipendente nelle aziende in crisi interviene la Cassa Integrazione. Fin qui è cosa nota. Ma chi ci mette i soldi? Vale la pena di ricordarlo, soprattutto ai freelance senza lavoro, ai disoccupati e comunque in generale a chi sta per un verso o per l’altro fuori dalle imprese.
La Cassa Integrazione in deroga è per il 70% a carico della fiscalità generale, per il 30% a carico delle risorse regionali a valere sul PON-FSE, finalizzate a finanziare le politiche attive.
INPS ha pubblicato le norme relative agli incentivi (Circolare 5/2010) che le imprese possono utilizzare per impiegare lavoratori che nel 2009 e 2010 sono stati o saranno in Cassa Integrazione Straordinaria. Questo uno dei passaggi:
L’incentivo spetta per l’assunzione di lavoratori che siano destinatari per gli anni 2009 e 2010 di ammortizzatori sociali in deroga […] L’assunzione può essere sia a tempo determinato che indeterminato, sia a tempo pieno che parziale.
[…], spetta al datore di lavoro che assume, per ogni mensilità di retribuzione corrisposta al lavoratore, un incentivo mensile pari al trattamento mensile di sostegno al reddito che sarebbe stato erogato al lavoratore, al netto della riduzione del 5,84% […]
Ma il legislatore non si è posto il problema di inserire nel mercato del lavoro regole ufficiali di discriminazione? E chi non è in CIGS o è un disoccupato di lunga durata? Credo sia un tantino fuori dalle regole fissate dall’Europa…
Come è noto, se non siete lavoratori dipendenti nessuno vi offre supporto economico di alcun genere e spesso neppure consigli. Da Small Business Trends (da leggere anche i numerosi commenti..) arriva, al contrario, qualche suggerimento concreto per non incappare nella crisi più nera. Utili se siete lavoratori autonomi, freelance e piccoli imprenditori.
In questa rapida traduzione, leggermente adattata e sintetizzata, ecco qualche idea su come mettere a registro le vostre attività:
Guarda al tuo sito Web, ai prodotti e servizi offerti con gli occhi di un potenziale nuovo cliente. Magari fai un test informale con persone che non conosci, visto che sei troppo coinvolto nei tuoi progetti;
Cerca di comprendere quali decisioni siano veramente dovute ad “atteggiamenti” e quali siano più utili per migliorare la vita ai tuoi clienti o produrre ricavi. Non c’è nulla di cui vergognarsi nell’avere una personalità forte, ma è meglio scegliere ciò che produce gli effetti più durevoli;
Diminuisci l’attenzione verso quelle attività che ti ostini a volere svolgere da solo perché sai di poterle fare più velocemente e al meglio se non sono direttamente produttive. Magari delega (se puoi), oppure stabilisci una giusta priorità temporale;
Cerca di aumentare la tua visibilità nei social newtwork;
Oggi ACTA – Associazione dei Consulenti del Terziario Avanzato [che supporto attivamente e tra breve ancora più da vicino (abbiamo fissato la sede operativa qui nei miei uffici, il 13 ottobre si festeggia!!)] è in prima pagina sul Corriere della Sera. Meglio ancora nell’editoriale di Dario Di Vico dal titolo “Gli Italiani Invisibili” (in download in .PDF).
Un fatto straordianario per un’Associazione che in pochi anni di vita ha saputo raccogliere sempre maggiori consensi tra lavoratori autonomi grazie a una battaglia sociale e di comunicazione trasparente e onesta, che vuole portare alla luce le difficoltà di chi opera sul mercato come lavoratore indipendente, oggi dimenticato dal legislatore e dalla politica, messo alle corde dalle imprese e considerato evasore di default (non siamo idraulici! capitelo) e nonostante tutto fonte importante di vitalità per l’economia e specializzazione del mercato del lavoro.
Si legge a firma di Di Vico:
Sul versante dei Professionisti la situazione è ancora più complessa. E la rappresentanza più fragile. […] con la crisi tutto è destinato a cambiare perché stavolta penalizza più gli autonomi che lavoratori dipendenti [..] chi paga il conto più salato sono i giovani avvocati, commercialisti o architetti che rischiano nei prossimi mesi di venire espulsi dalla professione. Senza avere strumenti di tutela che servano ad aiutarli a reggere il colpo e a fornir loro una seconda chance. Sono nate in questi anni numerose associazioni professionali spesso in polemica con gli Ordini ma per un motivo o per l’altro non sono riuscite ad avere la taglia necessaria per farsi ascoltare. La stessa considerazione vale per il Quinto Stato dei professional e consulenti milanesi. Il Welfare per loro è una tassa aggiuntiva del 26%, non quella formidabile istituzione democratica che assicura a operi e impiegati, ai Visibili, cassa integrazione e buone pensioni.
Chi “sta fuori dalle imprese” ha suscitato interesse, grazie alla crisi e l’attenzione del Corriere è andata crescendo in questo mese. Forse perché è proprio qui che vengono paracadutati molti lavoratori in età adulta e precari che scivolano fuori dalla mobilità o perdono contratti a progetto.
Il giornale di De Bortoli ha prima analizzato le dinamiche della crisi nei meandri delle professioni legate a logiche ordinistiche, in un articolo che riporta queste significative battute di Giuliano Amato, a mio avviso storiche, tratte da Italianieuropei:
«Certo è che il lavoro autonomo non è entrato né nell’anima né nella cultura della sinistra e dei progressisti in genere, basta pensare al lavoro professionale, di cui essi hanno saputo vedere soltanto le propensioni e le coperture anticoncorrenziali».
Tra i professionisti si considerano di gran lunga i più moderni e flessibili, «la classe creativa», ma guadagnano meno di un lavoratore dipendente, per anni hanno pagato persino l’ Irap e a fine carriera li aspetta una pensione da fame: 500 euro […] Vige il passaparola, la fama di buon professionista si costruisce con gli episodi e guai a sbagliare un colpo. Per autopromuoversi gli informatici hanno provato con i siti web e i pubblicitari con le inserzioni a pagamento. Ma non funziona. Ci vuole una rete di buone relazioni e tante amicizie. Solo così un consulente del Quinto Stato riesce a lavorare per 180 giorni l’ anno, ma è considerato un exploit perché la media è molto più bassa, tra i 100 e i 120. Una delle criticità maggiori sta nel decidere quanto farsi pagare e l’ Acta, l’ associazione del terziario avanzato che vuole rappresentarli, ha organizzato un seminario ad hoc: «Modelli di costruzione del prezzo», con tanto di schema input/output per preventivi e fatturazioni con partita Iva. [WOW è citata Humanitech!]
E ancora, nel bell’articolo di Di Vico:
«Il lavoro autonomo delle nuove professioni – scrive il professor Sergio Bologna – è un fattore insostituibile di generazione e diffusione di dinamiche innovative». Anche perché devono conquistarsi di continuo l’ autorevolezza, «mentre un professore universitario, ottenuta la cattedra, può anche smettere di leggere e non cambia niente».
Ulteriore approfondimento arriva infine dall’incontro Web (negli studi della TV di Corriere.it) con Anna Soru e Alfonso Miceli di ACTA [qui la versione integrale], di cui fa un resoconto anche Isidoro Trovato il giorno seguente nell’articolo “E sul web i professionisti in crisi chiedono di non essere più invisibili” che identifica questi lavoratori come “popolo degli invisibili, quelli che quando perdono il lavoro non hanno cassa integrazione, nè sindacati che li difendano“.
Da tempo questo non è del tutto vero, esistono associazioni come ACTA che si stanno facendo sentire. E altre ancora, come I-Network. Questo accade oggi anche nell’ambito del giornalismo freelance dove, grazie alla lotta di Senza Bavaglio, si è riusciti finalmente a costituire un Organismo di Base, l’Unione Sindacale Giornalisti Freelance (USGF), che avrà voce in capitolo nelle prossime relazioni industriali a livello nazionale. Un risultato storico, sottolineato pochissimo dalla stampa nazionale (chissà come mai..). Dico “storico” perché definisce una rappresentanza del lavoro autonomo: un paradosso che diventerà non certo in tempi brevi, ma inevitabilmente, un modus operandi sociale e una variazione culturale senza precedenti, ai quali si dovranno rassegnare in molti.
Sbaglia, invece, clamorosamente Dario Di Vico oggi sul Corriere a definire questi lavoratori come “astensionisti”. Gli incontri con la politica portati avanti da ACTA e La Rete (i due più importanti per le Politiche 2008 e le Provinciali 2009) e le iniziative di Senza Bavaglio ne sono una prova. Sono al contrario la politica, il legislatore e i “poteri consolidati” che snobbano la categoria. Sono i lavoratori dipendenti, i manager più anziani, i veterani degli Ordini, i teorici dell’unilateralismo sindacale che nulla sanno di questo bacino professionale finché non cascano anche loro nel pozzo. E si chiedono “Adesso che faccio? Chi mi mantiene?”.
Dichiara giustamente Alfonso Miceli (min.-13:00 dell’intervista):
Il fatto che in Italia ci sia una spaccatura tra lavoro tutelato e non tutelato e il Welfare non riguardi i cittadini in generale, ma soltanto una categoria, in particolare gli assunti a tempo indeterminato, comporta una situazione che è spiacevole per entrembe le parti. Anche chi è assunto a tempo indeterminato subisce una pressione: se non vuoi andare a finire tra quelli non tutelati è bene abbassare le pretese, non chiedere troppo. L’assenza di tutele universali alla fine danneggia tutti!
Portare gli Invisibili in prima pagina sul Corriere significa che ci sono e sono anche molti. Che hanno un’intelligenza collettiva piuttosto evoluta e non smetteranno di difendere i diritti che sono i “propri”, ma riguardano tutti i lavoratori, riguardano giovanissimi e meno giovani, privilegiati e sans-papier, precari e chi sta dentro a botti di ferro, some si suol dire, ma che con il tempo – è noto – vedranno comunque la ruggine.
Questa mappa della crisi con dati di dettaglio sulle variazioni occupazionali per area, dal titolo “Geography of a Recession”, elaborata dal NYTimes.com è semplicemente fantastica.
E dire che si potrebbe fare anche per l’Italia, con la base dati Istat, usando ArcGIS e Marcomedia Flash.
[Qualche giorno fa da un cliente, alla macchina del caffé]
Io: “Allora J. si fa sentire la crisi nel vostro settore?” Cliente: “No. Assolutamente, stiamo lavorando come matti, giorno e notte. Le macchine non si fermano mai, non ci capitava da anni…” Io: “Bene, se è così, e state fatturando molto allora è anche il momento di allargarvi, investire… Immagino che sia più facile comperare in tempo di crisi…“. Cliente: “Certo. Hai detto bene. Ma non solo, possiamo anche dilazionare i tempi di pagamento. Nessun fornitore si lamenta in questo periodo se andiamo per le lunghe con le fatture… ”
Risata (solo del cliente).
Combattere la crisi, fronteggiare i licenziamenti e il carovita. Bla bla bla, giornali pieni di notizie allarmistico-anticonsumistiche. Si compera sempre più low cost (unico segmento in crescita nella domanda di occupazione), si mangiano panini a 1 euro da McDonald’s, si viaggia RyanAir, se hai figli comperi la Dacia (uno dei pochi marchi automobilistici che non cala nelle vendite), per la casa ci sono i mobili Ikea e per i vestiti H&M. Ok, non butta bene. Situazione difficile. Ma proviamo a prendere la vicenda in maniera più tecnica. Ecco un suggerimento per i lavoratori autonomi, dimenticati dalla stampa, fuori moda, che pure loro se la devono vedere con l’inflazione…
Hai una Partita IVA? Vai a mangiare panini al bar e non riesci a farti fatturare il costo della consumazione? Ma sei scemo? Sveglia, fatti assumere, fatti dare i ticket restaurant e così è fatta. Molla l’idea di lavorare da solo, intruppati e combatti così il caro vita, evasore fiscale che non sei altro. Ritenute alla fonte e fanculo il commercialista. Bella vita, no?
Scherzo. Vi suggerisco questa mossa, semplificando molto il regionamento, poi valutate in maniera autonoma: acquistate buoni pasto intestati a voi. Sì, a voi lavoratori autonomi. Perché? Per recuperare un 20% sulle spese alimentari.
Premessa: ogni lavoratore autonomo o professionista indipendente (se è fuori dal regime del “forfettone“) può scaricare le spese di rappresentanza dalla base imponibile soggetta a tassazione IRPEF fino a un massimo del 2% (della base imponibile). Lo sapevate? Ristoranti ecc. se regolarmente fatturati finiscono in questa voce.
Facciamo alcuni calcoli sui massimali e sul risparmio in tasse:
Ora se spendete 100 euro portando fuori un cliente è abbastanza naturale e non crea difficoltà chiedere e ottenere una fattura. Ma se pagate 5 euro al giorno per un panino e una bottiglia d’acqua? Sono soldi persi.
Suggerimento. Facciamo l’ipotesi che le vostre spese di rappresentanza – che riuscite a farvi fatturare – siano inferiori al tetto del 2% della vostra base imponibile.
Vi hanno mai tagliato lo stipendio del 25% senza preavviso? Beh, pensateci. Potrebbe capitare anche a voi, alla faccia di ogni forma di negoziazione (prima forma di rispetto del lavoro). A me è capitato. Questa è l’elegante lettera del Sole 24 Ore con cui si annuncia che verranno decurtati i compensi ai collaboratori: sono loro a doversi fare carico della crisi in editoria. Per il resto condivido le tre valutazioni di Nicola Mattina.
La rassegna stampa (.PDF, 2.28 MB) di oggi sui temi di lavoro è ovviamente dominata dal caso Alitalia (qui anche quella online). In questa brutta storia, quello che più mi colpisce è l’esultanza dei dipendenti per il mancato accordo, dopo che – stando alle dichiarazioni – tutti i sindacati, compreso CGIL (escludendo il personale di volo), avevano firmato l’accordo.
Il Tg1 ieri sera [commento del tutto anomalo] ha parlato di “suonatori sul Titanic“. Lo slogan più diffuso tra i dipendenti Alitalia, che hanno riportato tutti i giornali: “Meglio falliti che in mano a dei banditi!“.
Per converso, a me vengono in mente altri slogan del tipo “Un lavoro qualsiasi è meglio di nessun lavoro” (citato da Bill Clinton, 1999; Antonio Fazio, 1999; Emma Bonino 2000 ecc.) e “Nessun lavoro è così duro come non lavorare” (da un manifesto dell’Ufficio di coordinamento federale di iniziative per disoccupati in Germania, 1998), prontamente smentiti dai lavoratori Alitalia ieri. Come titola Italia Oggi, hanno scelto le mutande.
E c’è da chiedersi: perché? E’ realmente un suicidio professionale?
Le possibili ragioni di un comportamento del genere:
– le proposte di CAI erano indecenti; i lavoratori hanno una dignità da difendere e preferiscono affrontare una fase di disoccupazione e di ricerca di un nuovo lavoro piuttosto che svendere il proprio lavoro (un lavoro qualsiasi non è meglio di nessun lavoro);
– i lavoratori si fidano del mercato dei compratori possibili di Alitalia oppure del mercato del lavoro, che consente una mobilità sociale tale da rendere una perdita di lavoro non preoccupante;
– il periodo nelle mani degli amministratori pubblici li ha abituati così bene da accecarli sulla situazione attuale e di mercato;
– i lavoratori pensano che tanto mobilità; cassa integrazione e tric e trac vari aggiusteranno per anni la loro posizione: lo Stato li ha assistiti in passato, lo farà anche in futuro.
Questa storia è davvero emblematica e mette a nudo radici profonde che legano lavoro e dignità. In epoca di crisi, nessun lavoro è dunque meglio di un pessimo lavoro qualsiasi? Lavorare per dei banditi è inaccettabile? A pensarci bene il caso Alitalia è molto più del caso Alitalia.