La straziante storia di un bimbo di sei anni di Santa Maria di Leuca che chiede a Nichi Vendola se deve o meno investire nella previdenza complementare…
La straziante storia di un bimbo di sei anni di Santa Maria di Leuca che chiede a Nichi Vendola se deve o meno investire nella previdenza complementare…
Dall’Europa ci fanno sapere che è arrivato il momento di mettere a registro l’età pensionabile delle donne e che:
Italy had the highest public pension spending of OECD countries… Legislated changes that would have increased the pension age and reduced benefits to reflect increased life expectancy have been postponed…
Chi fosse interessato alla questione c’è un’ampia disponibilità in Rete di materiali sul tema delle pensioni, a partire dal Rapporto OECD (qui il Summary in italiano) o dalla piccata replica di noiseFromAmeriKa a un articolo di La Repubblica. Basta cercare su Google News le voci “donna + pensioni” per capire quanto caldo sia il tema.
Per discuterne con i rappresentanti della politica ACTA ha organizzato invece un incontro specifico dal titolo “Età pensionabile e nuovo welfare” (lunedì 25 , ore 9:00 a Milano, via Melloni 3), dove porterà la proposta “Età pensionabile delle donne e riconoscimento del lavoro di cura”, una proposta di riforma a cura di Marina Piazza, Anna M. Ponzellini e Anna Soru. La formula indicata vuole rispondere direttamente a una cultura imperante nel nostro Paese secondo la quale le donne debbano “lavorare con pochissimi aiuti fintanto che si hanno i bambini piccoli e smettano di lavorare abbastanza presto per potersi occupare degli anziani o per fare le nonne, surrogando le notevoli carenze dei nostri servizi all’infanzia e non solo“. Perché continuare su questa via, assurda?
La proposta, ben strutturata, che verrà discussa da Pietro Ichino, Giuliano Cazzola e altri, chiede:
lo spostamento graduale di un paio d’anni dell’età minima per il pensionamento femminile, all’interno di una manovra di reintroduzione del pensionamento flessibile per tutti;
il contemporaneo riequilibrio del sistema di welfare tra produzione e riproduzione, che stabilisca cioè che i diritti sociali possano derivare oltre che dal lavoro retribuito anche dal lavoro di cura.
Se ci pensate il concetto è semplice: visto che si offre un servizio sociale come “caregiver” è giusto che questo impegno sia ricompensato, come avviene in Olanda, Germania, Francia, Austria e nei Paesi scandinavi. La proposta (e qui mi si è allargato il cuore) dice “senza distinzione tra uomini e donne“.
Pensioni e assistenza. Se ve ne fosse bisogno, ricordiamo ancora una volta una stortura tutta italiana. Ne parla Giorgio Meletti in “Chi paga le pensioni? Il popolo dei call center“, pubblicato oggi sul Corriere della Sera, dove si dimostra come il metodo contributivo sia valido soltanto in astratto. I lavoratori autonomi già l’hanno capito dal 1996. In pratica si chiede a ognuno di raccogliere il fieno in cascina, poi INPS mischia tutto, e chi si è visto si è visto, con il paradosso più volte denunciato su questo blog che alla fine sono i parasubordinati a pagare l’assistenza del parco buoi dei garantiti.
L’attuazione del Protocollo sul Welfare (L. 247/2007 ) ha toccato questioni previdenziali. Una sintesi delle novità più importanti, come dall’ultimo Bollettino Inps:
Maternità e malattia per parasubordinati
Le aliquote contributive della gestione separata passano da tre a due: a) 24% per i lavoratori non iscritti a un’altra forma di previdenza obbligatoria (per es. gli Albi) e non pensionati; b) 17% tutti gli altri. Il contributo per il finanziamento dell’indennità di maternità, assegno per il nucleo familiare e indennità di malattia, passa dallo 0,50% allo 0,72%. Il diritto al congedo di maternità e all’astensione dal lavoro per motivi di salute [finora previsto soltanto per le lavoratrici dipendenti] viene esteso ad alcune tipologie di lavoratrici parasubordinate iscritte alla Gestione separata (lavoratrici a progetto, associate in partecipazione) con determinati requisiti contributivi.
Alla fine l’idea di equiparare i lavoratori autonomi a quelli subordinati non piace poi così tanto a chi sta con i piedi a mollo nella pozzanghera del lavoro atipico. L’innalzamento delle aliquote previdenziali [e così del costo del lavoro], per collaboratori e partite IVA previsto con il Protocollo sul Welfare (ne parlammo anche qui) è stato pensato dal ministro Damiano con il proposito di disincentivare l’uso di Co.co.pro. Le cose però non funzionano così bene.
Prima questione: come la mettiamo con chi opera per scelta come indipendente? C’è poi un meccanismo banale che non va, e questo vale per tutti. Alzando i costi (Cfr. schema riportato sotto), non c’è comunque alcuna regola scritta che assicuri un corripondente innalzamento dei compensi. Ergo, il lavoratore autonomo perde una parte della retribuzione netta. Claro? La spunterà il più forte. Forse i consulenti più quotati, forse, come è probabile, i committenti.
Una precisazione. Sta bene pagare di più per avere una pensione migliore (non c’è il liberismo di mezzo, si badi bene), ma senza una campagna di sensibilizzazione adeguata per favorire anche un innalzamento dei compensi, è semplicemente una stangata. Almeno che siano equiparati i servizi offerti da INPS.. E invece ciccia, atteccatevi al tram! [Del mercimonio della cassa in Gestione Separata evitiamo di parlare, per non perdere lettori sul blog..]
Se vi interessa, parlo di questa vicenda in maniera più estesa su JOBTalk (“Professionisti oggi, pensionati poveri domani?“), sulla base di alcuni ragionamenti più complessi presentati ieri al convegno organizzato da ACTA e PIU sul tema della previdenza degli autonomi senza Albo.
L’aumento delle aliquote previdenziali per i lavoratori autonomi senza Albo
Fonte: ACTA – Dicembre 2007
Questo post è veramente ben fatto, mi complimento con Arnolfo per l’accuratezza: Pensioni col sistema contributivo. Non riforma Dini ma riforma TruffalDini. I trucchi che hanno ridotto le pensioni. Leggetelo: è illuminante. L’analisi del modello pensionistico contributivo è messo a nudo. Per chi come me cade in maniera perfetta nella Riforma Dini avendo iniziato a versare contributi l’anno della sua attuazione è un pugno nello stomaco.
Tralasciando problematiche sul secondo pilastro per chi non ha TFR o ha contribuzione inferiore a un terzo della retribuzione (come gli atipici). Si aprono ora due incognite che il modello di simulazione presentato mette allo scoperto:
1) come farà il Governo a imporre tassi di conversione pari al 60%, come previsto nel Protocollo sul Welfare, per i 9 giovani citati da Spezzachini qualora non abbiano un lavoro continuativo [ipotesi: butterà nel montante pensionistico individuale contributi figurativi sottratti col sistema Dini, restituendo il maltorto almeno alle classi più deboli?];
2) quale futuro hanno i giovani che hanno redditi molto inferiori ai 28mila euro presi in esame? [i dati sui salari d’ingresso parlano chiaro, in proposito].
Mi sono sbagliato non è passata inosservata la stangata sugli atipici. Della porcheria di cui abbiamo parlato il giorno dell’accordo sulle pensioni si è accorto il giornale che tratta i temi economici in maniera più tecnica, ovvero Il Sole 24 Ore. Per gli altri quotidiani la solita sequela di dichiarazioni politiche
Raggiunto l’accordo sulle pensioni (se soltanto guardate gli orari dei take d’agenzia c’è da chiedersi come mai si arriva sempre a stringersi la mano dopo le 3:00 di notte, mah)… lo scalone è scalinato, pace fatta almeno davanti alla stampa, accolte proposte che erano già nelle leggi scritte da anni (revisione automatica dei coefficienti) e alla fine bravi tutti. Nei contenuti l’accordo è quasi accettabile con una soluzione che si poteva decidere tre mesi fa senza troppe moine. E’ nella copertura finanziaria che è indecente!
La questione infatti, ne sono certo, passerà inosservata. Scrive Repubblica.it:
Domandina: che significa? Ecco la risposta, contenuta nei take d’agenzia.
(ASCA) Il superamento dello scalone ha un costo valutato in 10 miliardi di euro in 10 anni. Le risorse per la copertura sono individuate nella razionalizzazione degli enti previdenziali e nell’aumento dell’aliquota contributiva per i parasubordinati, che salirà di un punto l’anno in tre anni. Previsto poi un contributo di solidarieta’ a carico delle pensioni alte.
Detto altrimenti: l’abbattimento dello scalone lo pagheranno i parasubordinati!!!!!!!!! Per permettere l’uscita a 57 anni di lavoratori dipendenti super tutelati si interviene sui Co.co.pro e sulle Partite IVA che non vedranno pensioni dignitose neppure lavorando fino a 70 anni. E qualcuno ha pure il coraggio di prendere per il culo:
(AGI) “E’ stato fatto un importante passo in avanti – ha sottolineato il ministro delle Politiche Agricole De Castro – e credo che il Presidente del Consiglio sia stato capace di trovare non solo la soluzione del problema, ma anche una soluzione equilibrata che tenga conto delle giuste istanze sulle fasce più deboli della società e comunque le più esposte”.
Niente e nessuno [a meno di una presa di posizione FORTE e VINCOLANTE, ovvero impossibile per questo Governo] potrà impedire agli imprenditori di rivalersi sulle parcelle dei lavoratori autonomi quando si alzerà il costo del lavoro. (Anticipammo la questione già qui) Gli autonomi non hanno sindacati e non esiste diritto acquisito su un contratto di consulenza. Sono dunque tutti d’accordo: Confindustria, Sindacati e Governo. Tutti quelli seduti al tavolo, appunto. E a pagare sono quelli fuori.
Che caldo ragazzi in questi giorni..
UPDATE: Si legga anche questa intervista a Tito Boeri: “Riforma pensioni: giovani illusi” (file .TIF).
Oggi Luca Paolazzi sul Sole 24 Ore propone una soluzione per ristabilire un minimo di equità in materia di disequilibri pensionistici tra padri e figli (quella che chiamo “Tassa generazionale“). Nel suo pezzo “Come superare il conflitto tra padri e figli” sostiene che