Dall’Europa ci fanno sapere che è arrivato il momento di mettere a registro l’età pensionabile delle donne e che:
Italy had the highest public pension spending of OECD countries… Legislated changes that would have increased the pension age and reduced benefits to reflect increased life expectancy have been postponed…
Chi fosse interessato alla questione c’è un’ampia disponibilità in Rete di materiali sul tema delle pensioni, a partire dal Rapporto OECD (qui il Summary in italiano) o dalla piccata replica di noiseFromAmeriKa a un articolo di La Repubblica. Basta cercare su Google News le voci “donna + pensioni” per capire quanto caldo sia il tema.
Per discuterne con i rappresentanti della politica ACTA ha organizzato invece un incontro specifico dal titolo “Età pensionabile e nuovo welfare” (lunedì 25 , ore 9:00 a Milano, via Melloni 3), dove porterà la proposta “Età pensionabile delle donne e riconoscimento del lavoro di cura”, una proposta di riforma a cura di Marina Piazza, Anna M. Ponzellini e Anna Soru. La formula indicata vuole rispondere direttamente a una cultura imperante nel nostro Paese secondo la quale le donne debbano “lavorare con pochissimi aiuti fintanto che si hanno i bambini piccoli e smettano di lavorare abbastanza presto per potersi occupare degli anziani o per fare le nonne, surrogando le notevoli carenze dei nostri servizi all’infanzia e non solo“. Perché continuare su questa via, assurda?
La proposta, ben strutturata, che verrà discussa da Pietro Ichino, Giuliano Cazzola e altri, chiede:
lo spostamento graduale di un paio d’anni dell’età minima per il pensionamento femminile, all’interno di una manovra di reintroduzione del pensionamento flessibile per tutti;
il contemporaneo riequilibrio del sistema di welfare tra produzione e riproduzione, che stabilisca cioè che i diritti sociali possano derivare oltre che dal lavoro retribuito anche dal lavoro di cura.
Se ci pensate il concetto è semplice: visto che si offre un servizio sociale come “caregiver” è giusto che questo impegno sia ricompensato, come avviene in Olanda, Germania, Francia, Austria e nei Paesi scandinavi. La proposta (e qui mi si è allargato il cuore) dice “senza distinzione tra uomini e donne“.
Leggere una proposta firmata da donne che viene incontro ai problemi dei lavoratori autonomi (il congedo parentale per uomini, se indipendenti, non esiste infatti in Italia), mi fa dire senza indugio che questa proposta oltre a essere imparziale, è moderna e segue la linea europea dei principi di cittadinanza legati all’impegno reale nel contesto sociale, non subordinando i diritti a forme contrattuali o posizioni di lavoro, tanto meno all’idea di una società matriarcale oramai inconciliabile con quella attuale.
Come non essere d’accordo su questa linea di intervento, inserita nella proposta?
sostenere la maternità e la paternità dei giovani, rendendo più facile la scelta i fare figli (anche nel precariato e nella disoccupazione) contro all’attuale tendenza delle giovani coppie a rimandare;
Oppure con l’idea di “maternità universale”? Ovvero un sistema di tutele per la madre tout court, non differente per le donne a seconda del tipo di posizione lavorativa che hanno sul mercato, ma uguale per tutti. Un sistema che vuole rimettere in equilibrio la situazione sperequata delle donne che operano come lavoratrici autonome, hanno contratti di collaborazione e formule atipche di inquadramento. Per le donne e per gli uomini, che in inglese, giustamente ,non hanno distinzione grammaticale al maschile o al femminile, ma si chiamamno soltanto caregivers.