Fortunatamente è democratico

Continuano i mal di pancia all’interno del Partito Democratico dopo la presentazione a Genova della posizione ufficiale del partito in materia di Lavoro e politiche sociali. La risposta di Pietro Ichino, “Per dare valore al lavoro“, è arrivata subito e contiene una dura accusa contro la connivenza tacita del partito verso un sistema di relazioni industriali “vischioso e inconcludente” e rimarca la necessità di una Riforma così come progettata nel suo disegno di legge n. 1873/2009 che cerca di aggredire la questione del dualismo tra chi ha protezioni sociali e chi non le ha (precari, giovani ecc.). Il senatore del PD riporta poi sul suo blog una lettera di Ivan Scalfarotto che racconta, senza citare il nome, di un rappresentante del partito che gli urla nelle orecchie che il progetto Ichino è spazzatura. E lui candidamente risponde:

Ho lavorato per molti anni come direttore delle Risorse Umane (sì, il capo del personale) in Gran Bretagna, occupandomi di lavoro su una cinquantina di Paesi di Europa, Medio Oriente e Africa e posso dire con serena coscienza che l’Italia, con la sua reputazione di Paese ipergarantista per i lavoratori, è l’unico in cui io abbia visto il precariato elevato a sistema. Altrove si può licenziare un lavoratore pagando un indennizzo e sapendo che il sistema di welfare si prenderà – in modo più o meno intenso a seconda delle latitudini – cura di chi ha perso il posto. Ma fintanto che il rapporto di lavoro continua, non esiste lavoratore che non abbia le ferie pagate e la malattia, i contributi sociali, la formazione. Cose che diamo per scontate per tutti dall’invenzione della spoletta a vapore. […]

La verità è che l’approccio tradizionale della sinistra, e quello che sta assumendo il PD sotto la guida di Fassina, fa prevalere il concetto della sicurezza (solo formale, teorica e sperata, perché per l’intanto di sicurezze i precari ne hanno zero) a quello della sicurezza sostanziale e dell’opportunità. Radica l’aspirazione all’immobilità invece di consentire a chi entra nel mondo del lavoro di assumersi dei rischi (anche investendo su se stessi) sapendo che la protezione sta nel sistema che si prende cura di te nei momenti di debolezza invece che in un datore di lavoro che è costretto a pagarti perché il sistema non ha nessun’altra alternativa da offrirti in caso di disoccupazione improvvisa, se non la fame.

Il politico urlante chiede poi a Scalfarotto come possa andare contro la linea del partito “ora che vinciamo”. Ecco, appunto, l’ha detto.

Se il PD molla Pietro Ichino

Dopo lungo peregrinare sul tema della precarietà nel documento programmatico del Partito Democratico presentato durante il week-end scorso a Genova alla Conferenza Nazionale per il Lavoro, si trovano tra le righe del lungo testo “Persone, Lavoro, Democazia” (.PDF in download) queste parole:

Pertanto, la soluzione non sta nel “contratto unico” e nella rimozione delle protezioni dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.

Che per gli addetti ai lavori significa: le proposte di Pietro Ichino di riforma della legislazione in materia di lavoro sono da cestinare.

Jurassic rights

Il diritto del lavoro sta perdendo la sua natura di standard minimo di trattamento universale, per assumere la natura di un ordinamento eminentemente derogabile: chi vuole lo applica e chi non vuole no […] La disciplina italiana del rapporto di lavoro regolare è vecchia ormai di oltre quarant’anni. È stata scritta quando non esistevano né i computer, né Internet, ma neppure i fax e le fotocopiatrici.

Pietro Ichino (via Corriere.it)

DDL Ichino sulla contribuzione degli autonomi

In direzione opposta a quella dell’ex ministro del Lavoro Cesare Damiamo, ecco il testo del Disegno di Legge presentato da Pietro Ichino dal titolo “Riforma del sistema pensionistico per i lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata“. A una prima lettura appare più che ragionevole, proponendo una sistemazione di alcuni buchi neri della legislazione in materia di contribuzione complementare, totalizzazione e aliquote.

Dare voce

Non le manda a dire al Governo. Nero su bianco, nel bel documento dal titolo “Scenari di Riforma del Mercato del Lavoro italiano“, scaricabile in formato Word qui), Pietro Ichino ritorna sul tema più invisibile, ma più drammatico del nostro Paese, il dualismo tra lavoratori “protetti” e “precari”. E parte dal pasticcio legato alla revisione dei contratti a termine:

[…] l’allargamento della possibilità di assumere personale a termine disposto dall’articolo 21 del decreto-legge n. 112/2008, sostanzialmente consolida il regime di apartheid tra protetti e non protetti.
Alla perpetuazione del modello del mercato del lavoro duale non deve, invece, e non può rassegnarsi una sinistra moderna, attenta alla comparazione con le esperienze offerte dei Paesi stranieri più civili. Innanzitutto perché quel modello è iniquo (genera posizioni di rendita da una parte, dall’altra situazioni di precarietà di lunga durata, per ragioni che hanno poco o nulla a che vedere con il merito delle persone interessate). Ma anche perché esso è inefficiente: per un verso, scoraggia l’investimento nella formazione dei lavoratori che ne avrebbero più bisogno, i precari; per altro verso, nella parte più protetta del tessuto produttivo, genera una cattiva allocazione delle risorse umane; per altro verso ancora, espone gli imprenditori più scrupolosi alla concorrenza differenziale di quelli più spregiudicati nell’utilizzo della manodopera.
Quel modello è stato prodotto, nei decenni passati, da una politica debole, incapace di far prevalere gli interessi generali su quelli organizzati, di dar voce alla metà della forza-lavoro non rappresentata nel sistema delle relazioni industriali; di dar voce, più in generale, agli interessi dei milioni di persone oggi escluse dal nostro mercato del lavoro (se questo funzionasse come quello britannico, avremmo 5 milioni in più di italiani – di cui 4/5 donne – al lavoro: lo spreco è colossale). Occorre voltar pagina rispetto a questa lunga stagione infelice della nostra politica del lavoro.

I paria del mercato

A margine di un’intervista a La Repubblica (.pdf) di oggi in cui Pietro Ichino ribadisce la stessa tesi di Visco sulla detassazione degli straordinari accennata nel post precedente (ovvero che per avvantaggiare le fasce più deboli del lavoro dipendente sia meglio aumentare le detrazioni – poiché crea minori sperequazioni – che abbassare l’aliquota Irpef), il giuslavorista butta lì queste paroline..

Infine ci sono i paria… cioè tutti i collaboratori continuativi autonomi, che oltre all’Irpef pagano anche l’Irap, e ora, se non sono iscritti a un Albo professionale, pagano anche il contributo previdenziale all’INPS del 24,7%. A loro non pensa mai nessuno; eppure sono un pezzo importante del nostro sistema produttivo“.

Sempre sul tema dei lavoratori autonomi si era espresso Michele Tiraboschi qualche giorno prima, ma con tutt’altra finalità (difendere la Biagi) sulla base di alcuni dati emersi dalla Gestione Separata dell’Inps sui quali ha costruito un ampio servizio Il Sole 24 Ore che lascio in download qui (.pdf) a chi interessa.

Il programma di Pietro Ichino

Candidato per il Partito Democratico, ha messo allo scoperto la sua linea politica nella lunga intervista per l’Unità “Contro il precariato un nuovo diritto del lavoro“.

La mia ossessione? Un diritto del lavoro che si applica soltanto a metà dei lavoratori dipendenti, lasciando fuori tutti gli altri. […] Questo dualismo, questo regime di apartheid, è la grande ingiustizia del nostro Paese.

Nella lista dei to do di Pietro Ichino ci sono: l’adozione di esperienze europee di fexecurity; l’ammorbidimento dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per licenziamanti legati a motivi economici attraverso un meccanismo di bonus/malus, ovvero di forti indennizzi a carico delle imprese; la crescita delle retribuzioni con sgravi fiscali su quelle più basse; l’aumento dell’attrattività di imprenditori esteri; l’estensione della contrattazione in merito alla struttura delle retribuzioni e dell’organizzazione del lavoro; l’attuazione di politiche di trasparenza, premi e sanzioni per il lavoro nella Pubblica Amministrazione (sul modello laziale).

L’intervista completa: “Contro il precariato un nuovo diritto del lavoro“.

La ricetta anti-fannulloni

La Regione Lazio ci vuole provare, almeno sulla carta. E dopo avere commissionato uno studio a Pietro Ichino presumibilmente adotterà queste linee di intervento per sconfiggere l’ipertrofia del sistema pubblico, la malattia congenita nel DNA dei fannulloni e la cultura dello stipendio slegato dai risultati:

1) adozione di un sistema di valutazione indipendente dell’operato dell’amministrazione regionale, in grado di coinvolgere anche l’opinione pubblica;

2) responsabilizzazione dei dirigenti rispetto a obiettivi precisi e verificabili che riallineino il Lazio alle altre Regioni su temi come: a) riduzione delle aree funzionali, dei dirigenti e dei costi associati; b) assenteismo;

3) sperimentazione di meccanismi premianti collegati alla valutazione dei cittadini rispetto a servizi regionali.

Tutti i dettagli nello studio “Regione Lazio, quattro scelte coraggiose per una svolta” (file .PDF), unico nel suo genere sul lavoro dei dipendenti pubblici. Interessante la parte di analisi sul modello “exit-voice-loyalty” di Hirschman, sui cui Ichino insiste da tempo. Si ascolti, per esempio, anche questo intervento di marzo 2007.

Gabbia o salario?

Singolare dialogo a distanza tra Pietro Ichino (“Il merito e il salario“, Il Corriere della Sera), Tito Boeri (“La gabbia dei contratti“, La Stampa) e Giorgio Cremaschi (La gabbia del liberismo concertativo sui salari, Liberazione) che sulle colonne di tre giornali differenti si sono confrontati in questi giorni sul tema della variabilizzazione delle retribuzioni e sui rinnovi dei contratti [fermi per il 57,5% dei dipendenti].

Forse a chi non legge i tre giornali contemporaneamente sarà sfuggito, ma un confronto incrociato come questo aiuta moltissimo per capire oggi quale siano le ragioni che contrappongono il sindacato più intransigente (FIOM) alla politica

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