UPDATE: Al povero Papiny è stato chiesto anche di inserire nel nuovo software questo modulo: “Domanda Immigrasiun per citadinansa milanes“
Politiche-2008
Stai pure sdraiata, Italia!
Il candidato ministro del Lavoro della Lega Nord per il prossimo Governo Berlusconi è Rosi Mauro, attualmente a capo del sindacato padano. I suoi obiettivi dichiarati da anni: reintrodurre la scala mobile e fare fuori la Triplice (CGIL-CISL-UIL), come la chiamano qui al Nord.
Tra i vari progetti di Legge si è fatta promotrice dell’Istituzione della Festa Regionale Lombarda in occasione del 7 aprile ricorrenza del Giuramento di Pontida. Ossignur.
Sarebbe interessante sapere che cosa ne pensano Maurizio Sacconi o gli ex di AN confluiti nel PDL.
Partite IVA ed elezioni politiche 2008
Sei una Partita IVA? Non hai capito da che parte stare alle prossime politiche? Se hai tempo e voglia ne discutiamo qui (coordino io gli interventi):
IL NUOVO LAVORO AUTONOMO PROFESSIONALE
SI CONFRONTA CON I PROGRAMMI ELETTORALI
Oggi- 15:45 – Triennale di Milano, Viale Alemagna 6 – Milano
Organizzato da ACTA. Il programma aggiornato è disponibile qui. ACTA ha raccolto le diverse posizioni degli schieramenti sul lavoro autonomo e si presenta con una precisa piattaforma. Interverranno:
– Anna Soru, Presidente ACTA
– Pietro Ichino (PD); – Claudio Antonelli, Presidente PIU;
– Luigi Casero (PDL); – Gianni Lombardi, ADCI;
– Giorgio Benvenuto (PD); – Arvedo Marinelli, ANCOT;
– Antonio Palmieri (PDL); – Salvo Barrano, Ass. ARCHEOLOGI;
– Francesco Robiglio (Soc.); – Alfonso Miceli, ACTA.
Il ministro Damiano mi risponde
Qualche settimana fa il ministro del Lavoro Cesare Diamiano (qui il suo blog, appena avviato – bene, ottima iniziativa!) è interventuo con alcuni suoi post (1 e 2) su JOBTalk. Una scelta democratica e positiva, aperta a commenti e domande. Ho colto la palla al balzo per chiedere cosa ne pensasse del lavoro autonomo di seconda generazione. La mia domanda:
Gent.le ministro,
l’azione di governo da lei portata avanti in questi anni è stata orientata alla regolarizzazione (in edilizia, nel lavoro presso call center e con la circ. 4/2008 in maniera estesa). Personalmente ho condiviso queste scelte. Il termine di confronto, tuttavia, al di là della regolarizzazione, è sempre stato il lavoro subordinato (x es. l’innalzamento delle tutele per i parasubordinati…). Vi sono in Italia, a ogni modo, numerosi lavoratori che non sono falsi autonomi e neppure co.co.pro. Il tetto dei 3 anni per i lavoratori a termine porterà a ulteriori aperture di partite IVA, vedrà. Se vuole mi impegno in una scommessa formale :-) … Quello che le chiedo è: perché tutti i governi insistono con un riformismo a piccoli balzelli, tralasciando la vera suddivisione del lavoro, come prevista dal Codice Civile, tra lavoro autonomo e subordinato? Se la Biagi ha dovuto mettere una pezza alle collaborazioni e ancora oggi questi contratti vanno sanati con circolari e circolari, vuol dire che il problema è alla fonte. In Spagna si è puntato su uno Statuto del Lavoro Autonomo. Non è tutto più semplice se si separano nettamente le due strade? Mettendo una pezza allo scempio della Gestione Separata (pozzo di San Patrizio che incamera contributi per l’assistenza, ma non eroga servizi in questa direzione e da cui si è attinto per sanare lo scalone, alla faccia del meccanismo contributivo), con una vera cassa per gli Autonomi e aliquote corrette per questo tipo di lavoro, magari stabilite insieme a questa parte sociale e non unilateralmente? L’ingresso e l’uscita da un mercato del lavoro subordinato non può avere come unica alternativa la zona grigia della parasubordinazione che viene sistematicamente intesa come dipendenza a basso costo. Rendere economicamente svantaggioso un parasubordinato, alzando le sue aliquote Inps [e oggi con un salario minimo], non vuol dire eliminare i pregiudizi su un impiego irregolare del lavoratore autonomo. Affinché la mobilità sia vantaggiosa occorre rendere forte chi sta veramente fuori dalle imprese, non cercando in tutti i modi di ricondurli nel loro circuito. Servono protezioni per il cittadino-lavoratore, non unicamente per chi è transitato da un’impresa. A che cosa serve innalzare i valori economici dei sussidi per la disoccupazione, se molti precari o professionisti senza albo non vi potranno mai accedere? Questo retaggio legato alla visione sindacale della tutela del lavoro ha da sempre affossato il vero lavoro autonomo e messo in un angolo gli attuali lavoratori che hanno discontinuità e praticamente nessun contratto per anni, lavorando per esempio con Partita Iva. In un’Italia dei servizi e del terziario avanzato, dei professionisti e consulenti che oggi non sono rappresentati dai sindacati, non è ora di costruire uno stato sociale forte e per tutti? Di migliorare la stabilità, la qualità e sicurezza dell’offerta, visto che la disoccupazione è ai minimi storici? Detto in altri termini, di rendere le politiche attive, disorganiche e su base territoriale, un vero sistema sociale?
Questa la risposta di Cesare Damiano, pubblicata oggi su JOBTalk:
[..] A Dario dico che il problema di superare la dimensione del lavoro subordinato come unico riferimento per la tutela nel diritto del lavoro è a noi noto. Del resto c’è un’ampia elaborazione dottrinale e giurisprudenziale sui soggetti che il diritto del lavoro dovrebbe tutelare e che non rientrano nelle fattispecie più evidenti di subordinazione. Abbiamo elaborato diversi documenti e analisi – dallo Statuto dei lavori alla Carta dei diritti – prefigurando un diritto del lavoro più in linea con i cambiamenti intervenuti negli ultimi dieci anni. È un percorso non semplice e certamente la scarsità di risorse non aiuta a dare le giuste tutele a tutti coloro che ne avrebbero bisogno. Speriamo che si creino le condizioni per un approccio politico più attento a questioni strutturali come queste. Il Partito Democratico è nato proprio per dare risposte incisive, senza la necessità di piegarsi alle esigenze disparate di una coalizione eterogenea, che finiscono con il togliere respiro e profondità alle importanti riforme di cui il Paese ha bisogno.
In sintesi: conosciamo il problema, ci stavamo lavorando con varie ipotesi molto costose, speriamo si creino condizioni per ripensarci (!). Risposta da 6 meno meno, come si diceva una volta, ma ringrazio ugualmente il Ministro. Sì, “speriamo che si creino le condizioni per un approccio politico più attento a questioni strutturali come queste“.
Anche perché se è una questione strutturale, che cosa stiamo aspettando?
Se potessi avere
Insolita sovrapposizione tra Cesare Salvi e Francesco Giavazzi, concordi nella critica alla proposta di Walter Veltroni di 1.000 euro al mese per i precari.
Scrive Salvi su Liberazione (link aggiunti, miei):
Walter Veltroni e la bufala dei 1.000 euro al mese per i giovani
Estratto da Liberazione, 21 marzo 2008Ero incerto se scrivere questo articolo per Liberazione o inviare un esposto dello stesso contenuto al giurì contro le pubblicità ingannevoli. Si tratta di denunciare, infatti, uno dei più clamorosi inganni della campagna elettorale: la proposta, propagandata da Veltroni nei talk show televisivi e nei telegiornali di provata fede (cioè quasi tutti) di una legge che stabilisca un salario minimo garantito di mille euro per i precari. […] Nel programma del PD (che, come si vede, non va stracciato ma letto con attenzione) la proposta è la seguente: “sperimentazione di un compenso minimo legale fissato in via tripartita (parti sociali e governo) per i collaboratori economicamente dipendenti (con l’obiettivo di raggiungere 1.000/1.100 euro netti mensili)”. Come si vede: devono essere d’accordo i padroni (pardon, gli imprenditori); la cifra propagandata da Veltroni è solo “l’obiettivo” che, se Colaninno e Calearo saranno d’accordo, forse si potrà raggiungere; non si parla di salario, ma di “compenso”; in quarto luogo, tutto ciò è previsto per “i collaboratori economicamente dipendenti”.
Sono andato a rileggere la legge 30, ma tra le quarantasette figure contrattuali precarie in essa previste, questa non compare proprio. Al preoccupatissimo Francesco Giavazzi (.Pdf), fornisce spiegazioni esaurienti Enrico Morando (.Pdf). Nulla, nel programma del Pd, è scritto a caso. Morando chiarisce che non si parla di salario, ma di compenso proprio perché non ci si riferisce al lavoro precario ma, appunto, a questi misteriosi collaboratori economicamente dipendenti (cioè a nessuno o quasi) e che la misura mensile va articolata per giornata/ora. Lo sbalordito Francesco Giavazzi non può che domandarsi nella sua replica: «Davvero il Pd propone 1.000 euro al mese senza neppure l’indicazione delle ore di lavoro cui esso farà riferimento?». Veltroni parla di salario; Morando ha corretto in compenso. Chi lavora sa bene quanto è diverso andare a fare la spesa con in tasca un salario – che arriva uguale tutti i mesi – o un compenso – che arriva quando vogliono (i padroni) e quando e quanto riesce (a lavorare). Veltroni parla di precari, Morando ha spiegato che ai contratti a termine, agli interinali, ai part time fasulli, al lavoro intermittente, insomma ai milioni di precari in carne e ossa, la proposta nemmeno si applica. […]
Appuntamento con la politica
Segnalo l’evento, che avrò anche il piacere di coordinare:
IL NUOVO LAVORO AUTONOMO PROFESSIONALE
SI CONFRONTA CON I PROGRAMMI ELETTORALI
31 marzo 2008 – 15:45 – Triennale di Milano, Viale Alemagna 6 – Milano
Organizzato da ACTA. Il programma disponibile qui. Interverranno:
– Anna Soru, Presidente ACTA
– Pietro Ichino (PD); – Claudio Antonelli, Presidente PIU;
– Luigi Casero (PDL); – Gianni Lombardi, ADCI;
– Giorgio Benvenuto (PD); – Arvedo Marinelli, ANCOT;
– Antonio Palmieri (PDL); – Alfonso Miceli, ACTA.
Il programma del PDL sul precariato
P.S. Ecco perché anche i matrimoni sono in calo.
Il programma di Pietro Ichino
Candidato per il Partito Democratico, ha messo allo scoperto la sua linea politica nella lunga intervista per l’Unità “Contro il precariato un nuovo diritto del lavoro“.
La mia ossessione? Un diritto del lavoro che si applica soltanto a metà dei lavoratori dipendenti, lasciando fuori tutti gli altri. […] Questo dualismo, questo regime di apartheid, è la grande ingiustizia del nostro Paese.
Nella lista dei to do di Pietro Ichino ci sono: l’adozione di esperienze europee di fexecurity; l’ammorbidimento dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per licenziamanti legati a motivi economici attraverso un meccanismo di bonus/malus, ovvero di forti indennizzi a carico delle imprese; la crescita delle retribuzioni con sgravi fiscali su quelle più basse; l’aumento dell’attrattività di imprenditori esteri; l’estensione della contrattazione in merito alla struttura delle retribuzioni e dell’organizzazione del lavoro; l’attuazione di politiche di trasparenza, premi e sanzioni per il lavoro nella Pubblica Amministrazione (sul modello laziale).
L’intervista completa: “Contro il precariato un nuovo diritto del lavoro“.