Qualche settimana fa il ministro del Lavoro Cesare Diamiano (qui il suo blog, appena avviato – bene, ottima iniziativa!) è interventuo con alcuni suoi post (1 e 2) su JOBTalk. Una scelta democratica e positiva, aperta a commenti e domande. Ho colto la palla al balzo per chiedere cosa ne pensasse del lavoro autonomo di seconda generazione. La mia domanda:
Gent.le ministro,
l’azione di governo da lei portata avanti in questi anni è stata orientata alla regolarizzazione (in edilizia, nel lavoro presso call center e con la circ. 4/2008 in maniera estesa). Personalmente ho condiviso queste scelte. Il termine di confronto, tuttavia, al di là della regolarizzazione, è sempre stato il lavoro subordinato (x es. l’innalzamento delle tutele per i parasubordinati…). Vi sono in Italia, a ogni modo, numerosi lavoratori che non sono falsi autonomi e neppure co.co.pro. Il tetto dei 3 anni per i lavoratori a termine porterà a ulteriori aperture di partite IVA, vedrà. Se vuole mi impegno in una scommessa formale :-) … Quello che le chiedo è: perché tutti i governi insistono con un riformismo a piccoli balzelli, tralasciando la vera suddivisione del lavoro, come prevista dal Codice Civile, tra lavoro autonomo e subordinato? Se la Biagi ha dovuto mettere una pezza alle collaborazioni e ancora oggi questi contratti vanno sanati con circolari e circolari, vuol dire che il problema è alla fonte. In Spagna si è puntato su uno Statuto del Lavoro Autonomo. Non è tutto più semplice se si separano nettamente le due strade? Mettendo una pezza allo scempio della Gestione Separata (pozzo di San Patrizio che incamera contributi per l’assistenza, ma non eroga servizi in questa direzione e da cui si è attinto per sanare lo scalone, alla faccia del meccanismo contributivo), con una vera cassa per gli Autonomi e aliquote corrette per questo tipo di lavoro, magari stabilite insieme a questa parte sociale e non unilateralmente? L’ingresso e l’uscita da un mercato del lavoro subordinato non può avere come unica alternativa la zona grigia della parasubordinazione che viene sistematicamente intesa come dipendenza a basso costo. Rendere economicamente svantaggioso un parasubordinato, alzando le sue aliquote Inps [e oggi con un salario minimo], non vuol dire eliminare i pregiudizi su un impiego irregolare del lavoratore autonomo. Affinché la mobilità sia vantaggiosa occorre rendere forte chi sta veramente fuori dalle imprese, non cercando in tutti i modi di ricondurli nel loro circuito. Servono protezioni per il cittadino-lavoratore, non unicamente per chi è transitato da un’impresa. A che cosa serve innalzare i valori economici dei sussidi per la disoccupazione, se molti precari o professionisti senza albo non vi potranno mai accedere? Questo retaggio legato alla visione sindacale della tutela del lavoro ha da sempre affossato il vero lavoro autonomo e messo in un angolo gli attuali lavoratori che hanno discontinuità e praticamente nessun contratto per anni, lavorando per esempio con Partita Iva. In un’Italia dei servizi e del terziario avanzato, dei professionisti e consulenti che oggi non sono rappresentati dai sindacati, non è ora di costruire uno stato sociale forte e per tutti? Di migliorare la stabilità, la qualità e sicurezza dell’offerta, visto che la disoccupazione è ai minimi storici? Detto in altri termini, di rendere le politiche attive, disorganiche e su base territoriale, un vero sistema sociale?
Questa la risposta di Cesare Damiano, pubblicata oggi su JOBTalk:
[..] A Dario dico che il problema di superare la dimensione del lavoro subordinato come unico riferimento per la tutela nel diritto del lavoro è a noi noto. Del resto c’è un’ampia elaborazione dottrinale e giurisprudenziale sui soggetti che il diritto del lavoro dovrebbe tutelare e che non rientrano nelle fattispecie più evidenti di subordinazione. Abbiamo elaborato diversi documenti e analisi – dallo Statuto dei lavori alla Carta dei diritti – prefigurando un diritto del lavoro più in linea con i cambiamenti intervenuti negli ultimi dieci anni. È un percorso non semplice e certamente la scarsità di risorse non aiuta a dare le giuste tutele a tutti coloro che ne avrebbero bisogno. Speriamo che si creino le condizioni per un approccio politico più attento a questioni strutturali come queste. Il Partito Democratico è nato proprio per dare risposte incisive, senza la necessità di piegarsi alle esigenze disparate di una coalizione eterogenea, che finiscono con il togliere respiro e profondità alle importanti riforme di cui il Paese ha bisogno.
In sintesi: conosciamo il problema, ci stavamo lavorando con varie ipotesi molto costose, speriamo si creino condizioni per ripensarci (!). Risposta da 6 meno meno, come si diceva una volta, ma ringrazio ugualmente il Ministro. Sì, “speriamo che si creino le condizioni per un approccio politico più attento a questioni strutturali come queste“.
Anche perché se è una questione strutturale, che cosa stiamo aspettando?