Argonauti e freelance

Locandina - Presentazione "Vita da freelance" a Tradate (VA)Venerdì sera (11.11.11, data propizia, che dite?) insieme a Sergio Bologna e agli amici dell’Associazione Argonauta parleremo ancora di lavoro, professioni, e freelance, anzi soprattutto di freelance e della loro vita. Ci troviamo a Villa Ruffini, ore 21.00 a Tradate (VA). Venite?

L’introduzione all’evento, redatta dagli organizzatori:

Lavoratori della conoscenza. Stiamo parlando di lavoratori che non sono né salariati, né precari, anche se sono economicamente dipendenti e hanno occasioni di lavoro intermittenti. Hanno una formazione elevata, lavorano nel terziario avanzato, nell’editoria, nei giornali, nella moda, nella pubblicità. Sono web designer e freelance. Sono stati “partoriti” dalla scolarizzazione di massa, dall’economia di rete e dal capitalismo cognitivo. Sono passati 20 anni dall’analisi sul lavoro autonomo di seconda generazione fatta da Sergio Bologna, studio che ci ha aiutato a capire le contraddizioni di questo processo, che ha determinato una progressiva riduzione del numero dei lavoratori dipendenti. Oggi questa tendenza è in aumento “poiché questo genere di modalità di erogazione del lavoro, è la modalità in cui si esprime l’attuale paradigma del lavoro individualizzato e frammentato, centrato sui saperi, sulle relazioni e sulle differenze”. In questo scenario la scommessa esistenziale sembra essere stata liberamente sottoscritta dalle nuove generazioni di “autonomi” e svincola lo “stato sociale” dalle funzioni di garanzia sulla sussistenza dei lavoratori. Questa nuova generazione è giovane, svolge professioni che si sarebbero dette “intellettuali” in un passato ancora recente in cui godevano di un elevato grado di autonomia e di possibilità economiche, sempre alla ricerca di nuove competenze. Li caratterizza la creatività, ed è sulla creatività che il lavoratore autonomo deve far leva dentro un mercato del lavoro che segnala la tendenza verso una perdita ulteriore di posti di lavoro a tempo indeterminato. Questa è la scommessa che si sta giocando. Nel frattempo questo popolo delle partite iva lavora in un mercato senza regole, nella più completa indifferenza di qualsiasi organizzazione. Di questo tratta il libro “Vita da freelance”, di questo vogliamo discutere anche se, come afferma Sergio Bologna, è difficile trovare oggi qualcosa o qualcuno che sulla condizione lavorativa sappia dire una parola esauriente o sappia proporre un modo concreto per ridare forza al lavoratore nei suoi rapporti con il datore di lavoro e le istituzioni. Nei casi migliori c’è qualcuno che prova a sperimentare terreni, che si focalizza su una situazione o una tipologia contrattuale. Occorre probabilmente costruire una rete, creare sinergie, occorre rendere “visibile” il risveglio dell’interesse per il lavoro e il risveglio di una volontà dei lavoratori di farsi rispettare. 

Scarica la Locandina (.pdf) e l’Introduzione (.doc).

PCG’s Guide to Freelancing

PCG's Guide To FreelancingLa Guida al freelancing made in UK è arrivata alla sesta edizione. A mio giudizio è piuttosto utile anche a chi svolge lavoro professionale autonomo in Italia e vale la pena dare un’occhiata…

Gratuita si può scaricare dal sito di PCG – Professional Contractor Group, l’omologo inglese della nostra ACTA.

La rivoluzione industriale del nostro tempo

Tra un’ora sarò al Museo del 900 in Piazza Duomo a Milano a parlare con Paolo Perulli, Gad Lerner e Cristina Tajani (assessore al lavoro del Comune di Milano) del libro che ho scritto con Sergio Bologna. Non ho idea di quali spazi e tempi ci saranno. Mi piace ascoltare più che parlare, ma se avessi modo, questo è più o meno quello che mi piacerebbe dire.

La rivoluzione industriale del nostro tempo

Scrive Sara Horowitz della Freelancers Union su The Atlantic che “The Freelance Surge is the Industrial Revolution of our Time”, l’emergere del fenomeno freelance è la rivoluzione industriale del nostro tempo. Io ne sono pienamente convinto. Ne scrivo su un blog personale (questo) da sei anni, tre prima di quando Il Corriere della Sera si è accorto che esistono le partite IVA, ma ben dieci dopo un lavoro di Sergio Bologna e Andrea Fumagalli che portarono agli onori della cronaca della ricerca sociale il “lavoro professionale autonomo di seconda generazione”.

Questo significa che non è una novità. Oggi tutti sanno chi è un freelance, forse non hanno ben chiaro come faccia a guadagnarsi da vivere. C’è molta luce sul fatto che NON siano lavoratori dipendenti, molta ombra sulla loro posizione sociale. Nell’identificarsi non hanno problemi, ce l’hanno nelle rivendicazioni. La coscienza di che cosa significhi essere freelance si acquisisce in fretta: vi leggo, per esempio, la definizione di una giovanissima 26enne, trovata su un blog:

“Ma chi è oggi un freelance? È un lavoratore che non ha padroni e che di volta in volta lavora per chi gli commissiona un progetto. Un freelance è un esperto che sa fare molto bene il proprio lavoro e che ha alcuni skill specifici in cui è specializzato e continuamente aggiornato. Cosa, invece, non è un freelance? Non è un tizio che si può permettere di lavorare meno, da casa, non è un mezzo lavoratore. Non è un fannullone che pur di lavorare dal divano ha rinunciato a un lavoro cosiddetto normale”.

C’è tutta l’antropologia del freelance e qualche pregiudizio che lo circonda. Ha dimenticato lo stereotipo dell’evasore, quello che piace di più… Più complesso è, invece, capire le relazioni che il lavoro autonomo ha con la cultura e lo stato sociale. Che diritti hanno? Sono professionisti o ciarlatani? È un’élite o sono intellettuali proletaroidi?

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Per la dignità del giornalismo freelance

Giornata importante sul fronte del giornalismo freelance. Mentre a Firenze si discute del precariato nel settore, sono due le proposte di Carta dei diritti che diversi coordinamenti stanno facendo emergere via Web, e probabilmente diventeranno proposte ufficiali da sottoporre a ODG, FNSI ed editori. La prima è una bozza di carta denominata Carta di Firenze (.PDF) che ha una genesi interna all’Ordine e al sindacato. La seconda è la Charta dei freelance (.PDF) dell’Unione Sindacale dei Giornalisti Freelance, alla quale aderisco in prima persona.

Charta Freelance USGF

“Vita da freelance” fa tappa a Milano e Bologna

Settimana prossima sarò con Sergio Bologna al Museo del ‘900 in P.za Duomo a Milano e alla Libreria Coop (via degli Orefici, 19) a Bologna. Saranno due tappe importanti per noi, perché entriamo nel cuore vivo delle città metropolitane, luoghi dove hanno narturale residenza moltissimi freelance italiani.

Vita da freelance -  La presentazione a Bologna

Presentazione "Vita da freelance" a Milano - Museo del 900

Non parleremo noi, direttamente, spero. Sì, forse lo faremo anche, ma secondo un modello che abbiamo sperimentato finora (in Bocconi, Triennale, Fondazione Einaudi ecc.) saranno principalmente gli ospiti che abbiamo invitato a dire la loro. Noi solitamente sediamo nel pubblico. Può sembrare strano come modo di presentare un saggio, ma fin dall’inizio l’obiettivo che ci siamo posti era quello di aprire la discussione alla società civile, in seno agli esperti di diritto del lavoro, e soprattutto tra i freelance.

E’ davvero grande la soddisfazione per un autore trovare così numerose disponibilità nel leggere con intelligenza un libro e volerne discutere in pubblico. Ascoltare è forse ancora meglio di scrivere, perché trovi quello che non sei stato in grado di dire nelle parole degli altri. A Milano ci accompagneranno Gad Lerner e Cristina Tajani, nuovo assessore al Lavoro della Giunta Pisapia. A Bologna numerosi consulenti e studiosi del lavoro professionale autonomo.

Che cosa fate, venite a sentire e (soprattutto) discutere con noi?

Autonomia (troppa?) e nuovo mutualismo

Come scrive Giuliano Milani su L’Internazionale di oggi (vedi recensione di “Vita da freelance” riportata sotto) ogni volta che emerge un nuovo gruppo sociale o tipologia di lavoratori sorge spontanea anche la domanda di nuovi diritti. Il mondo dei freelance è proprio lì che attende e è arrivato il tempo di discuterne. Anche Sara Horowitz della Freelancers Union sostiene oggi su The Atlantic che sì, ci siamo entrati in questo periodo storico, e che The Freelance Surge Is the Industrial Revolution of Our Time.

Questa transizione del mondo del lavoro non è niente meno che una rivoluzione, sostiene. “We haven’t seen a shift in the workforce this significant in almost 100 years when we transitioned from an agricultural to an industrial economy. Now, employees are leaving the traditional workplace and opting to piece together a professional life on their own. As of 2005, one-third of our workforce participated in this “freelance economy“.

Che si chiami Gig economy, Freelance Nation, e-conomy, The Rise of the Creative Class, popolo delle Partite Iva o Quinto Stato, poco importa. E’ un fenomeno di massa e con questo dovremo sempre di più fare i conti. Negli Stati Uniti hanno le idee chiare: “The solution will rest with our ability to form networks for exchange and to create political power“. Dice la Horowitz: “I call this new mutualism” e promette di raccontare qualcosa di più nei prossimi articoli su The Atlantic, da tenere sotto osservazione, dunque.

Troppo autonomi

Esiste il reato di “furto di retribuzione”?

Su questo si stanno interrogando seriamente negli Stati Uniti, dove un gruppo di difensori dei diritti civili del Texas sta ragionando [cfr. “EL PASO’S NEWEST CRIME WAVE: A Wage Theft Epidemic in the Borderlands” .PDF in download] sulla possibilità di richiedere l’introduzione del reato di “furto di retribuzione” per quei datori di lavoro che inquadrano non correttamante i lavoratori indicando per loro un ruolo di independent contractor, lavoratori autonomi, quando invece sono a tutti gli effetti dipendenti. I vantaggi? Un evidente risparmio sul costo del lavoro, un furto al singolo e alla collettività. Questo si verifica nelle zone di confine del Texas, per esempio nel mondo dell’edilizia, dove – in barba alle indicazioni dell’IRS – Internal Revenue Service, l’Agenzia federale delle Entrate – viene misconosciuto il  cosiddetto protocollo1099, producendo una violazione del diritto che negli Usa chiamano “1099 misclassification” [cfr. “What is 1099 Misclassification?” . PDF in download] e che in Italia definiremmo semplicemente “lavoro grigio” o “false partite IVA”. Mentre da noi si passa sopra a tutto e tutti (i diritti), nello Stato del Texas la volontà di colpire duro le irregolarità porterebbe chi taglia contributi e stipendi a finti freelance dritti nelle braccia del diritto penale, attribuendo loro il (nuovo) reato di “furto di retribuzione”, un’idea che la Freelancers Union americana non ha tardato a rimettere in circolo in tutti gli Stati attraverso il suo canale Twitter.

Quale exit strategy per i freelance?

A distanza di due mesi ho ripescato in fondo a una cartellina del PC il testo che scrissi per la prima presentazione del libro Vita da freelance. I lavoratori della conoscenza e il loro futuro (Feltrinelli, 2011), scritto insieme a Sergio Bologna, che facemmo insieme, con la moderazione della brava Roberta Carlini, presso la Libreria Feltrinelli di Galleria delle Colonne a Roma il 28 aprile 2011. Spiaceva morisse là nell’angolo buio di una cartella del computer e ve la propongo, se vi interessa.

Quale exit strategy per i freelance?

Cover Vita da freelanceOgni giorno compaiono su Twitter una media di 3/4 twit al minuto, messaggini di 140 caratteri, etichettati con la voce #freelance o #freelancing. È soltanto la punta di un iceberg e di un mondo del lavoro (e dei modi di raccontarlo) che stanno cambiando. I lavoratori indipendenti non hanno atteso in questi anni chi li rappresentasse ufficialmente per uscire allo scoperto, usando la rete Internet, per incontrarsi e raccontarsi come lavoratori.

In Italia accade un po’ meno che altrove e la domanda che mi faccio spesso è che cosa stiamo aspettando a buttarci nella mischia, per scompaginare le regole della rappresentanza.

L’idea di scrivere un libro sul mondo dei freelance è un’avventura in cui mi ha trascinato Sergio (io pensavo già di fare soltanto il papà freelance e invece no) e nasce da qui. Dall’urgenza di raccontare dall’interno che cosa accade e con quali culture dobbiamo confrontarci, cercando di capire chi sono in nostri veri interlocutori. Nasce dalla necessità di squadernare e togliere la rilegatura a un libro che abbiamo letto già molte volte e che non ci andava più bene perché filtrato fin troppo efficacemente dal sindacalismo, dalla politica o dall’informazione.

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