Giornata importante sul fronte del giornalismo freelance. Mentre a Firenze si discute del precariato nel settore, sono due le proposte di Carta dei diritti che diversi coordinamenti stanno facendo emergere via Web, e probabilmente diventeranno proposte ufficiali da sottoporre a ODG, FNSI ed editori. La prima è una bozza di carta denominata Carta di Firenze (.PDF) che ha una genesi interna all’Ordine e al sindacato. La seconda è la Charta dei freelance (.PDF) dell’Unione Sindacale dei Giornalisti Freelance, alla quale aderisco in prima persona.
giornalisti freelance
Ci mancava il call center
I testi dell’audizione dei giornalisti freelance sono finalmente disponibili sul sito del Senato e di Re:Fusi.
Maurizio Castro (Pdl) che ha il merito di avere attivato l’iniziativa non pare capire molto dell’universo instabile degli umani che gravitano nella bolla del giornalismo freelance. Si legge dalla sintesi degli interventi:
Il senatore Castro chiede se gli intervenuti abbiano la sensazione di una pressione che può portare ad una ulteriore dequalificazione della prestazione di lavoro e quale ne sia l’opinione in ordine a una exit strategy dall’attuale condizione, soprattutto con riferimento a percorsi a trazione negoziale, sul tipo di quelli già felicemente sperimentati per il personale dei call-center.
Una roba così fuori contesto non l’avevo mai sentita sui giornalisti freelance, giuro.
Sorridere al mondo freelance, senza bavaglio
Ho incontrato poche persone con la stessa passione per il mondo e la vita dei freelance, nel difendere i loro diritti di fronte a tutto e tutti, compreso un sindacato sordo e volgare. Marilisa Verti è morta qualche giorno fa, e io che non sono un giornalista che sta sulla notizia come i colleghi-non colleghi scrivo solo ora, ma voglio ricordarla lo stesso. Insieme a Simona Fossati e Luisa Espanet ha dato vita a quello che a Milano e in Italia può realmente dirsi un vero movimento controcorrente, che ha portato una voce reale, viva, solare al giornalismo freelance. Ben altro dalle panzane promosse dalla FNSI. Senza Bavaglio e l’Unione Sindacale dei Giornalisti Freelance – di cui parlo anche nel mio ultimo libro – rappresentano una novità forte e potente sotto il profilo della rappresentanza e del modo di interpretarla. E’ questa la strada da seguire, quella tracciata da Marilisa Verti.
Le prime volte che partecipai alle cene dei freelance al Circolo della Stampa posi una questione che mi aggrovigliava lo stomaco: come avrebbe potuto essere formalmente riconosciuto chi nelle negoziazioni si pone sul mercato come indipendente? Lei, Simona e Luisa avevano già superato questo scoglio. Erano già un passo avanti, con una lucida fermezza (teorico-pratica) davvero invidiabile, lo dico da giornalista che segue da vicino mondo del lavoro e tutte le beghe che gli ruotano intorno. Semplicemente lo si fa – disse – si forma una coalizione e ci si butta nella mischia, forti delle ragioni del diritto! E se il diritto ancora non esiste si attacca la frontiera, si allargano le maglie, si combatte per la dignità del lavoro.
Luisa era persona sorridente, intelligente, silenziosa nell’ascolare, decisa nel fare. Si dimise da delegato al congresso FNSI per ragioni che si possono anche non dire a un giornalista freelance, perché le sa già, le ha intuite da tempo. Facile usare le parole o turarsi il naso, difficile tenere la schiena dritta e continuare a sorridere alla vita. Beh, il suo fu un bell’esempio.
Sua anche l’idea dei fantasmi, di mettere la maschera vera per denunciare quella che ci mettono ogni giorno in silenzio, per far finta che non ci siamo. Ricordo la fantastica improvvisata al Circolo della Stampa, con un Ferruccio de Bortoli sbigottito per l’ingresso di persone silenti, marcherate, e sotto quel lenzuolo i suoi collaboratori. Io ero in sala e sapevo chi c’era sotto quelle tuniche. Una protesta che mi allargò la mente – e in questo c’entra anche Marilisa – facendomi comprendere come al diritto negato di sciopero debbano sostituirsi nuove forme di rappresentazione del conflitto, come quella di sabato scorso, alla quale non a caso c’era anche lei.
Al tempo dell’improvvisata al Circolo della Stampa collaboravo con Il Sole 24 Ore e sentii pronunciare dal mio direttore un discorso che nessun altro fece in seguito: disse a chiare lettere che è inutile alimentare la speranza di molti aspiranti redattori, meglio stabilire patti chiari su percorsi di stabilizzazione, con impegni da entrambe le parti, sacrifici da parte del giornalista precario, ma un patto di lungo periodo con le redazioni e i direttori. La colpa del precariato è soprattutto dei falsi imbonitori, disse di fronte ai fantasmi. Parole sante a cui nessuno credette. L’alternativa, lo sapevamo, era una sincera attività da freelance, come Marilisa e l’USGF hanno sostenuto per anni, senza aspettarsi molto dalle redazioni. Meglio trovare un equilibrio nell’autonomia che una falsa speranza nella subordinazione. Meglio rivendicare spazi e diritti che mancano per esercitare un lavoro come freelance vero che farsi risucchiare in promesse vuote e pastette sindacali.
Bastava guardare in faccia Marilisa, persona solare, e seguire la sua passione per Cuba, e l’entusiasmo che metteva nelle lotte sindacali per capire che fare il freelance può essere una gran cosa, una bella professione per belle persone come lei.
Giornalisti freelance, si parla di soldi ed escono dalle statistiche
Passando via Twitter da @danielarossi ho ripescato su Articolo37 la recente presentazione “Povere donne attente al portafoglio 2 – Lavoro e differenziale salariale nell’informazione” (.PDF in download) che la Commissione Pari Opportunità della FNSI – il sedicente sindacato dei giornalisti italiani – ha tenuto il 6 marzo per ricordare quale gap esista tra i due sessi anche nel mercato del lavoro delle notizie. Una serie di slide bruttine dai contenuti però interessanti sotto il profilo dei dati statistici di tipo retributivo, che offrono il più significativo esempio di come il sindacato considera il mondo freelance. Lo considera INESISTENTE.
Le valutazioni di Lucia Visca e Donatella Alfonso rimuovono completamente la questione del lavoro autonomo. Uomini o donne che siano, non importa. La base delle valutazioni sui differenziali retributivi e di genere partono da un panel che considera soltanto gli Iscritti alla Gestione Ordinaria dell’Inpgi (Istituto di Previdenza dei Giornalisti Italiani). In realtà sul suo organo di informazione, INPGI Comunicazione [anno XXVII n. 5-6 maggio/giugno 2010, pagg. 8 e 11], l’Inpgi certificava che al 31 dicembre 2009 risultavano iscritti alla Gestione Separata ben 30.194 giornalisti freelance e collaboratori, mentre in quella Ordinaria, che raccoglie i lavoratori con contratti di lavoro dipendente, gli iscritti erano 18.567 (+ o – equivalente al totale Uomini/Donne indicato nella tabella qui sotto).
Il dato retributivo sui freelance è sparito. Toni Negri usa l’espressione “forza lavoro fuoriuscita dal Capitale” e sembra tagliarsi bene al caso: l’elemento economico che quantifica il valore del lavoro degli indipendenti è cancellato dalla rappresentazione della realtà del lavoro giornalistico. Non viene neppure fatta notare la strabiliante anomalia che caratterizza il giornalismo dei contrattualizzati. Mentre il mercato italiano distribuisce nel settore privato retribuzioni secondo uno schema piramidale, che vede in cima Quadri e Dirigenti (che insieme costituiscono il 10% dei lavoratori), il mondo del giornalismo preferisce la forma a Ziggurat, una distribuzione della ricchezza del tutto inedita per un fatto evidente: manca la base! O si tratta di uno straordinario esempio di socialdemocrazia retributiva, oppure dell’inverso, dell’estromissione definitiva degli “operai della conoscenza” dal segmento del lavoro salariato e la conseguente equiparazione con il mondo freelance. Un’ulteriore riduzione che non ha equivalenze nel mondo del giornalismo occidentale.