Freelance remote working, ora sostituisce i tirocini!

Fare uno stage? Ma non ci pensare nemmeno. Lavora da solo, senza esperienza e da remoto, attaccato a un PC per pochi dollari all’ora. Maledetti, ma buoni per bere birra al sabato sera. Non ti ficcare in azienda, se non hai bollette da pagare ma sei ancora al college. E’ questo il messaggio che gli intermediari di lavoro online per freelance cercano oggi di passare a chi ancora non è entrato nel mercato del lavoro. Il tutor? Ma chissenefrega, siete già bravi da soli, o, come si legge sul blog di Solvate

[…] college students are far too inexperienced to offer any services to companies. However, the advantages to using college students are numerous. They are smart and savvy after spending time building their own personal brand online through websites, blogs and social networks. They’re highly aware of current events and passionate about their interests. They’re interested in making friends and the resulting networking. They’re new to the work place and still highly enthusiastic about their work. (See idealistic college freshman mentioned above.) Lastly, they’re cheap.

Passione, mica soldi. Questo dà soddisfazioni. Se l’istituto del tirocinio formativo non fosse stato così terribilmente sputtanato in questi anni potremmo anche credere a queste favole. E anzi, più viene degradato, più facile è spostare gli interns (“life-blood of the industry“!) in remote workplace. Lavorare da remoto – ti spiegano – non ti costringe al rammarico about being laid-off or getting stuck in a dead-end job. Eviti scocciature. In effetti, imparare da altri è una bella rottura di palle, meglio Popper, procedere cioè per congetture e confutazioni.

Retorica di alto livello, direi, che consente di passare il messaggio: un lavoro subordinato a contenuto formativo può essere facilmente sostituito da autoformazione messa in atto con un  lavoro autonomo. Triplo salto carpiato e voilà, sei pronto a telelavorare dal College per un broker a caso che spopola online. Qualche diritto del lavoro vogliamo richiamarlo? Dai, non scherziamo, beviamo ‘sta birra e guardiamo l’ultima puntata di OC, ti suggerisce il proprietario della piattaforma di telelavoro.

Chiamatelo, se volete, lato oscuro del postfordismo.

Telelavoro, una gabbia dorata ma aperta

Telelavoro sotto accusa. Ci prova Anna Masera con il racconto di una telelavoratrice pentita, che dopo anni di distanza dall’ufficio rientra e rinnega il passato. La vicenda – spalleggiata da un pezzo di Gianluca Nicoletti sulle patologie giapponesi degli hikikomori, giovani che vivono barricati in casa – ripercorre i soliti quattro stereotipi sul telelavoro: isolamento sul piano dell’organizzazione del lavoro; scarse relazioni sociali; incapacità di separare vita personale e impiego; deregolamentazione dei tempi di lavoro. Manca, ma è giusto ricordarlo, poichè spesso si cita, tra gli aspetti negativi l’immobilità nei percorsi di carriera.

Prossemica digitale e lavoro

Se è vero che ogni lavoratore fa storia a sé, è presto detto che questa vicenda lascia proprio il tempo che trova.

Leggi tutto

In verità non hanno torto

Un delirio di parole: 10mila per un compenso di 10 euro. Si propone nell’annuncio “Scrittori & Recensori – Nessun obbligo di curriculum (Milano)” pubblicato su Cercolavoro.it. Me lo segnala A., che preferisce rimanere anonima. Candidandosi per la posizione ha ricevuto questo messaggio [qui in .txt] di quattro pagine, in cui si propone:

* la scrittura di articoli che sommati devono contenere 10.000 parole per la recensione di giocattoli, da inserire sul portale Giocattoleria.it, dominio del signor Raffaele Cafiero di Napoli;
* il compenso di 10 euro (netti e in nero, così almeno pare nella risposta fornita). Attenzione nell’annuncio di parla di “parole”!! Se fate un calcolo, (mediamente il rapporto tra battute e parole è di 6:1) questo significa che la retribuzione è di 0,25 cent/cartella!! Se siete rapidi e scrivete 1 cartella in 20 minuti, verrete pagati 75 cent/euro all’ora;
* il pagamento via PayPal (che rende difficoltoso risalire al committente esatto e che permette di eliminare la transazione via Conto Corrente).

La cosa più divertente della risposta, a ogni modo, è questo inciso presente nel testo:

Parecchi non credono alle offerte di telelavoro ed in verità non hanno torto: ci siamo accorti che il 97% di quanti promettono telelavoro o si tratta di fandonie oppure patteggiano compensi che il più delle volte costituiscono ben poca cosa!

Un treno chiamato telelavoro

Scioperi a ParigiBellissima storia raccontata da Loredana e Luisa su JOBTalk. Mentre campeggia nel media center del Sole 24 Ore il nuovo Eurostar che collegherà Londra a Parigi, la città francese è in ginocchio per gli scioperi delle S.N.C.F. E allora per lavorare, visto che l’ufficio è irraggiungibile, si opta per il telelavoro. E tutto funziona (per ora). Leggi la storia.

L’esempio dimostra che: a) mondo reale e ufficio sono vasi comunicanti; b) che il lavoro intellettuale è legato più alle competenze della persona che al luogo fisico o alla sedia su cui si lavora; c) talune mansioni sono facilmente decentrabili, senza perdere qualità nei risultati; d) non bisogna aspettare calamità esterne per sperimentare nuove formule di collaborazione; e) la tecnologia, come da anni scrivo anch’io nei miei libri, può realmente mettere in condizioni di esercitare in pieno funzioni legate al lavoro intellettuale dipendente e ancor più a quello autonomo.

Flexibility? Yes, of course

[Quando il dibattito si impadronisce delle parole è difficile trovare spunti freschi e valutare il nuovo. Il termine “flessibilità”, per esempio è nell’uso comune contrapposto alla precarietà. La flexibility, tuttavia, non ha lo stesso significato in Europa e neppure per chi un lavoro lo ha stabilmente. Anche un dipendente cerca flessibilità. Sì, ma in che senso?]

Beyond Boundaries (file .PDF, 980 Kbyte) significa dietro alle quinte, al di là dei confini. E già questo mette in guardia: le aziende sono territori ben protetti. Li ha perlustrati Orange Business Services, con una survey condotta sulla base di 1.440 interviste a lavoratori dipendenti, affrontando il tema della flessibilità, intesa come nuovo modo di interagire con l’organizzazione per trovare soluzioni lavorative adatte alle singole persone. Tempo e luoghi, ma anche responsabilità e livelli di soddisfazione (e stress) sono state messe sotto la lente d’ingrandimento.

Le tipologie di lavoro flessibile nelle imprese del Regno Unito

Tipologie di lavoro flessibileQueste le evidenze generali [all’interno del “confine” UK]:

– la metà (53%) della popolazione lavorativa del Regno Unito ha già forme di flessibilità (Cfr. grafico), ma il 23% dei lavoratori non ha accordi formali con l’azienda;

– il 50% dei dipendenti afferma che l’opportunità di lavorare in maniera più flessibile è un fattore importante nella scelta del prossimo impiego. Nei 12 mesi a venire, però, soltanto il 24% degli intervistati ha intenzione di cercare realmente un lavoro più flessibile;

– due terzi sostiene che sarebbe un ottimo benefit guadagnare tempo nel viaggio; tre quarti che un lavoro flessibile aiuterebbe a raggiungere una maggiore concentrazione;

– un beneficio che ci si aspetta dal “lavoro flessibile” è nell’85% dei casi quello di poter lavorare “a proprio agio”, poi si scopre però che tra chi ha già modo di lavorare in maniera flessibile il 45% svolge attività lavorative durante il tempo libero, alla sera e al week-end;

chi guadagna di più sembra avere un maggior controllo sulle ore lavorate in confronto a chi ha retribuzioni più basse.

In altre parole, la reale flessibilità è più un desiderio che una certezza. Sebbene diffusa come formula, rischia di riempire spazi vuoti più che crearli e invade il tempo libero, la sera e i fine settimana. Soprattutto nelle fasce medio basse di lavoratori.

Leggi tutto

Pro e contro di un atipico

Il Gruppo “Giovani Dubbiosi” si sono arrabbiati e hanno scritto al Presidente della Repubblica per denunciare i costi che un disoccupato deve sostenere per trovare lavoro. C’è anche chi racconta vantaggi e svantaggi di fare redazione da solo a casa, con il telelavoro, chi fa nascere un blog interno a un’Università per parlare di stabilizzazione, e chi si è costruito e continua la sua battaglia con un intero blog “a progetto”.

Telelavoro e sindrome da riunioni

Segnalo la bella analisi di Carlo Alberto Pratesi dell’Università Roma Tre uscita oggi su La Repubblica – Affari & Finanza che spiega i motivi per cui in Italia non decolla ancora il telavoro. Così scrive:

Quello che rende diverse le aziende nell’approccio al telelavoro è la loro cultura organizzativa di base: laddove si è maturata nel tempo una consuetudine alla delega e alla responsabilizzazione, il lavoro a distanza attecchisce bene e senza traumi. Diverso il caso delle organizzazioni più verticistiche dove c’è il “capo” che decide tutto e che crea la sindrome delle riunioni. In quel tipo di aziende occorre sempre incontrare le persone: non bastano le e-mail o le telefonate per avviare un lavoro. Senza un incontro vis a vis nessuna azione viene posta in essere.

Ho sempre pensato che i due mali maggiori della cultura organizzativa moderna fossero la cosiddetta “leadership fuffa” e la deriva del “lifelong meeting”.