Scaramucce da 1 milione di dollari

Il mondo dei freelance è assai bizzarro, talvolta ambivalente. Nel suo piccolo è vivace ed entusiasmante, ricco di opportunità, passioni e sfide, ma su larga scala è una voragine aperta, che incomincia ora a presentarsi per ciò che è veramente, un abisso che decostruisce certezze, offre tutto e alla fine niente, dove la competizione può inghiottire diritti, reddito e stabilità. I due lati del problema si possono capire nell’approfondimento che U.S. News Money ha dedicato a The future of freelancing. Se da una parte le comunità professionali rigettano al mittente le politiche di crowdsourcing che i portali per freelance propongono al mercato, i titolari di questi servizi ripetono come un refrain che ci guadagnano tutti, i freelance che trovano lavoro via Web e le imprese che risparmiano. Freelancer.com parla di risparmi fino a 1 mln di dollari per le small biz enterprises. Tutto bene, finché qualcuno dello stesso settore non si arrabbia e rispedisce al mittente, via Twitter, le promesse di progresso, svelando che l’intermediazione della manodopera indipendente via Web  non è altro che un declassamento del lavoro nelle aree del mondo occidentale: 

Solvate Twit

Agenzie o freelancer?

Dipende sempre dalla dimensione delle attività e dai mezzi di produzione necessari, ma a parità di “piccole dosi di lavoro”, condivido la tesi di Meghan Paul di Solvate:

[…] working with a great freelancer is preferable to outsourcing to an agency or development shop. Why? Aside from being more affordable, freelancers are more passionate, creative, and personally invested in your company’s success.  Freelancers are under incredible pressure to find repeat customers and steady work, so they are often more eager to satisfy client demands.  Thus, they’re more accountable for their work; there is no one to point to except themselves when something goes wrong. Its also much easier to establish an ongoing relationship with freelancers, who will be more likely to chip in at the drop of the dime when your next urgent deadline pops up.

Freelance remote working, ora sostituisce i tirocini!

Fare uno stage? Ma non ci pensare nemmeno. Lavora da solo, senza esperienza e da remoto, attaccato a un PC per pochi dollari all’ora. Maledetti, ma buoni per bere birra al sabato sera. Non ti ficcare in azienda, se non hai bollette da pagare ma sei ancora al college. E’ questo il messaggio che gli intermediari di lavoro online per freelance cercano oggi di passare a chi ancora non è entrato nel mercato del lavoro. Il tutor? Ma chissenefrega, siete già bravi da soli, o, come si legge sul blog di Solvate

[…] college students are far too inexperienced to offer any services to companies. However, the advantages to using college students are numerous. They are smart and savvy after spending time building their own personal brand online through websites, blogs and social networks. They’re highly aware of current events and passionate about their interests. They’re interested in making friends and the resulting networking. They’re new to the work place and still highly enthusiastic about their work. (See idealistic college freshman mentioned above.) Lastly, they’re cheap.

Passione, mica soldi. Questo dà soddisfazioni. Se l’istituto del tirocinio formativo non fosse stato così terribilmente sputtanato in questi anni potremmo anche credere a queste favole. E anzi, più viene degradato, più facile è spostare gli interns (“life-blood of the industry“!) in remote workplace. Lavorare da remoto – ti spiegano – non ti costringe al rammarico about being laid-off or getting stuck in a dead-end job. Eviti scocciature. In effetti, imparare da altri è una bella rottura di palle, meglio Popper, procedere cioè per congetture e confutazioni.

Retorica di alto livello, direi, che consente di passare il messaggio: un lavoro subordinato a contenuto formativo può essere facilmente sostituito da autoformazione messa in atto con un  lavoro autonomo. Triplo salto carpiato e voilà, sei pronto a telelavorare dal College per un broker a caso che spopola online. Qualche diritto del lavoro vogliamo richiamarlo? Dai, non scherziamo, beviamo ‘sta birra e guardiamo l’ultima puntata di OC, ti suggerisce il proprietario della piattaforma di telelavoro.

Chiamatelo, se volete, lato oscuro del postfordismo.

Se la cultura corporate diventa museale

amcah_logoL’idea è di un freelance, Leonard Boothes, lavoratore “devoted 30 years to climbing the corporate ladder before being laid off during the recession“, che ha dato vita al progetto The American Museum of Corporate American History (AMCAH, http://www.museumofcorporateamerica.org). Tra il serio e (soprattutto) il divertito ha deciso di conservare alcuni cubicoli per il lavoro in open space, con annessi alcuni cimeli aziendali (vedi la foto) e immagini a testimonianza dell’evoluzione della cultura corporate d’America, soprattutto sul fronte della tecnologia. Il personaggio improbabile dei filmati creati da AMCAH è uno sbarbato in versione Mr. Bean all’americana, quello che dalle nostre parti assomiglierebbe a uno stagista alle prime armi. In background, rovesciando il segno irriverente dell’esibizione di Boothes, c’è il messaggio più volte ricordato da uno dei più grandi giornalisti del lavoro in America, Steven Greenhouse: il lavoro alle dipendenze diventa sempre più a big squeeze; i rapporti di lavoro un inferno.

Meglio archiviare il tutto, magari in un museo?

Amcah Archive

Fonte: American Museum of Corporate America History Collection.

Con il contributo economico di Solvate, uno dei maggiori portali Usa per freelance e consulenti, il sito AMCAH ha lanciato anche il contest via Twitter per l’assegnazione del titolo di “World’s Best Freelancer”, appoggiato per gioco anche dalla Freelancers Union. Hashtag per segnalare via Twitter chi secondo voi è il miglior freelance, best ever: #solvatecontest. Sono indeciso tra Houdini, Spinoza (il filosofo, non il blog) o Dexter Morgan.