Cio che è fatto bene è fatto bene rispetto a quanto si era immaginato, definito, calcolato essere considerato “bene”.
In fin dei conti il merito in Italia è a piè pari scavalcato perché manca una seria cultura del controllo.
Cio che è fatto bene è fatto bene rispetto a quanto si era immaginato, definito, calcolato essere considerato “bene”.
In fin dei conti il merito in Italia è a piè pari scavalcato perché manca una seria cultura del controllo.
“Che cosa mi ha salvato dal diventare completamente un cencio inamidato? L’istinto di ribellione, che da bambino era contro i ricchi perché non potevo andare a studiare, io che avevo preso dieci in tutte le materie…” (A. Gramsci)
Lavora gratis alle idee per rifare il sito della trasmissione di Antonio Ricci. Dai, forza, che aspetti? Se sei uno studente talentuoso, esperto di Web design, e non vedi l’ora di regalare il tuo lavoro al fortunato programma che incassa miliardi dalla pubblicità, fatti avanti. Non avrai nessuna retribuzione in cambio, anche se vinci, ma in fondo che vuoi di più? Non perdere l’occasione, perché la fila per partecipare alla trasmissione Rai Affari Tuoi per aprire pacchi che ti cambieranno la vita è assai lunga e i Gratta e Vinci ora costano 3 euro.
Massimo Gramellini su La Stampa di ieri.
“Questa è la storia più avvincente del mondo. Dieci ricercatori italiani hanno realizzato un telescopio rivoluzionario che la Nasa manderà in orbita mercoledì prossimo da Cape Canaveral. A Houston lo chiamano Tiger Team, Squadra della Tigre: ragazze e ragazzi intorno ai 30 anni, laureati a Pisa in Fisica nucleare. Giovani, ottimisti, consapevoli di aver scelto un mestiere stupendo e di esportare la faccia sorridente dell’Italia. Il loro stipendio? 950 euro al mese. Questa è la storia più avvilente del mondo. Un mondo dove un fisico nucleare che realizza telescopi per la Nasa guadagna 950 euro al mese, mentre quel manager telefonico che parlava per frasi fatte confondendo Waterloo con Austerlitz ne prende cento volte tanto. Il problema contro cui si sta inchiodando il liberismo è che non collega il salario al talento e all’impegno del lavoratore, ma alla commerciabilità del prodotto. E’ giusto che i compensi li faccia il mercato. Ma in questo mercato senza regole prevalgono sempre le pulsioni più basse: sesso, calcio, tv, cellulari. Il fisico dei telescopi guadagna cento volte meno del manager dei telefonini o del centravanti della Nazionale perché voi e io usiamo i telefonini e guardiamo le partite della Nazionale, mentre dei telescopi non sappiamo che farcene. Il giorno in cui quegli aggeggi servissero a scovare petrolio nel sistema solare o a rintracciare terzini sperduti nelle galassie, immediatamente il loro valore di mercato si impennerebbe, trascinando al rialzo anche lo stipendio del Tiger Team. Torno a leggere le notizie di calciomercato sul telefonino, ma mi sento un verme.”
P.S. Chissà quanto pagano a La Stampa un buon giovane collaboratore…
Esce oggi il libro di Irene Tinagli “Talento da svendere” (Einaudi, 14,5 euro).
Lo attendevo, suggeritomi da qualche tempo anche dall’amica Loredana. Scrive così Michele Smargiassi, oggi, su Repubblica.it in merito al genio italico:
“Poveri ma geniali? Ma dove? A che serve il genio, quand’anche l’avessero nel Dna, ai 48 italiani su cento che non sanno usare Internet, alla spaventosa maggioranza che non sa neanche una lingua straniera, alla quasi totalità che non sa cosa succede nel mondo? Dove starebbe questo genio, poi, che nomi ha? Rubbia, Levi Montalcini, Dulbecco, i nostri premi Nobel, che poi hanno tutti studiato e lavorato all’estero? “Michelangelo diventò un grande artista perché aveva un muro da affrescare, e io in Italia non avevo un muro”, così, amaro, Riccardo Giacconi, premio Nobel 2002 per la Fisica, italiano all’anagrafe, americano per obbligo“.
E penso a tre miei amici d’infanzia, forse i più talentuosi che abbia conosciuto. Max vive a Oklahoma City, è urologo, Alberto a San José, fa il ricercatore a Stanford, e Simone vive a Stoccolma, progetta aerei senza pilota per conto della Saab. Ci sono poi Marco a Lisbona, Erica e Cristiano a Parigi, Tommaso a Colonia. Miei coetanei, alcuni hanno famiglia e figli all’estero. Persone che stimo e vorrei fossero qui, in Italia, a portare valore. A camminare sulla fune.
Il titolo dell’ultimo rapporto The Global Human Capital Study 2008, curato annualmente da IBM, suona qualcosa come “Sbloccare il DNA della forza lavoro adattabile” (.PDF). Ne ha scritto settimana scorsa Loredana Oliva sul Sole 24 Ore (cfr. l’articolo .TIFF), ma vale la pena segnalare anche alcune parti più specifiche su un tema caro a questo blog, quello del merito e dei talenti, che nonostante per molti sia oggi inflazionato, resta un nodo chiave del miglioramento qualitativo del mercato.
È un tema da comprendere tecnicamente e senza troppa retorica. Si legga a questo proposito il recente contributo di Pier Luigi Celli sul Corriere della Sera “Quello del talento è un mito che va sfatato al più presto” (.PDF). E un modo per sfatarlo è capire, per esempio, come si trattengano le persone di valore che vogliono andarsene da una società. I direttori del personale che hanno partecipato alla survey IBM dicono: “Prima di tutto le sfide!“.
Chi ha numeri da mostrare sia messo in grado di fare vedere ciò di cui è capace. Secondo: sia tracciato un percorso chiaro che dia onore al merito. Altrimenti tutto resta nella staticità della qualifica “promotable” e mai al livello di “promoted“. Poi ci sono i soldini, come ricorda (file . TIFF) anche D’Ambrosio di AIDP. E infine l’impresa: se non ha la stessa reputazione della persona di valore, inutile insistere. Se ne andrà comunque, magari all’estero.
Chiedo venia ad Antonio e Alberto, ma riesco soltanto oggi a postare su questo bellissimo tema da loro affrontato tempo fa. La questione è molto, molto attuale. Questa settimana a Cervia i direttori HR delle maggiori imprese italiane discutono proprio di talent management. È di moda, ok, ma siamo anche in un periodo in cui l’appiattimento del sistema di ricompense, l’emarginazione degli alti potenziali, soprattutto giovani, e la flagranza di reato di smaccate supervalutazioni stanno mettendo allo scoperto un sistema italiano di valutazione del Capitale Umano a dir poco raccapricciante. In politica, nelle imprese, nel sistema sociale. Qualcuno si è stancato. Io, per esempio. E così vi propongo questo (lungo) post, per blogger e non solo.
Rivolto agli esperti delle HR, ma con una valenza importantissima in Italia. Il Primo Sumnit italiano sui talenti ha ricordato che gli alti potenziali e i talenti sono merce rara, vanno curati, selezionati, apprezzati e fatti crescere. Prima che sia troppo tardi. Se vi interessa il tema, questa è la mia relazione introduttiva:
“Questo Primo Summit Italiano sui Talenti nasce dalla felice intuizione di Business International che, sulla scorta della recente indagine dell’Economist pubblicata nell’ottobre scorso, ha deciso di mettere a fuoco un tema fondamentale oggi nella gestione delle persone all’interno di organizzazioni e più in generale nell’economia, nel mercato del lavoro: la qualità delle risorse, il merito e la differenza.
Esiste un’ampia letteratura per manager che ricorda come spesso per affrontare una pianificazione strategica partendo da analisi di business intelligence sia molto utile introdurre ipotesi alternative e idee non standard che escono dal contesto delle regolari valutazioni e delle normali attese. Supposizioni e strade secondarie per rinnovare tradizioni, regole di management e cultura d’impresa, che potrebbero aprire vie a nuovi successi o sperimentazioni. Alcune teorie suggeriscono di adottare, quasi per gioco, il metodo “IF” (“e se?”). Optare cioè per la discontinuità e mettere un pizzico di fantasia quando si guardano i grafici di crescita.