Competere sulla valutazione

Giorni fa Fedora ha pubblicato questo bel commento sul tema del reclutamento da parte delle Agenzie per il lavoro, dicendo che l’hanno “più spesso danneggiata piuttosto del contrario“. E mi è venuto in mente questo grafico.Il successo nel recruiting L’impatto che un reclutatore ha sui candidati è più alto se è bravo a fare il suo mestiere. E se anche un candidato avesse la percezione di vedere accettata la sua candidatura, l’idea che si farebbe dell’impresa che lo sta reclutando sarebbe comunque molto bassa, se il reclutatore non è competente. Chi avrà la possibilità di scegliere altre strade girerà le spalle.

Messaggio: i migliori, con un potenziale più alto, e che hanno possibilità di scegliere, andranno sempre là dove ci sono migliori soggetti in grado di valutarli.

Fonte: Gestione delle risorse umane (Apogeo, 2007).

La qualità di un team non è data dunque soltanto dalla competenza di chi vi lavora, ma anche dalla capacità di saper valutare. Vale per un capo, per un selezionatore, per un top manager. Non c’è peggiore situazione di un talento affiancato da un incompetente e non essere in grado di distinguerli.

Il giorno dei boss

Bosses Day CardIeri si è festeggiato (senza troppo clamore) in Usa il Boss’s Day, ricorrenza che ha fruttato forse di più alla Hallmark che alle buone relazioni tra i lavoratori e loro superiori.  

Auguri, dunque ai boss. Anche a quelli con cui scappa ogni tanto di litigare.

P.S. Sul blog di Monster qualche consiglio su come gestire le situazioni più difficili con il vostro capo. 

La retorica da ufficio

Più frequento il Web (blog e affini), leggo di politica sui giornali o ascolto amici e clienti parlare di come si sviluppano le relazioni interne alle imprese, e più mi convinco che la retorica sia l’arte del futuro. Per conservare potere, stringere alleanze, trovare consenso.

In un contesto sociale che premia l’istinto (se andare in prigione aumenta uno share qualsiasi allora il farabutto va premiato in qualche modo), la rapidità e la conservazione della specie nei prossimi tre giorni, essere pronti, sagaci e pungenti conta più di ogni altra cosa. Estrapolare dal contesto, ridurre ad assurdo, giocare sulle figure più ardite della retorica. Questo sarà il futuro. E credo che la retorica sarà anche la vera arma di distruzione di massa di questo secolo.

Assumete dunque scienziati del linguaggio, logici, glottologi come consulenti personali. Vi pareranno il c**o per i prossimi anni. Nel mio piccolo voglio contribuire a titolo gratuito, offrendo anch’io qualche spunto rispetto al mondo del lavoro.

Le 10 regole della retorica da ufficio per interpretare le attività quotidiane

La retorica da ufficio

Emergenze climatiche

Ogni tanto mi capita di visitare clienti e di trattenermi per tempi lunghi nei loro uffici. Ieri, per esempio, dopo un piacevole martedì trascorso a Roma, sono capitato in una sede staccata di una grande impresa fuori Milano. Nell’arco di 24 ore sono passato da un clima discretamente sereno, nonostante problemi contrattuali dei collaboratori, alla tomba della creatività di dipendenti supreprotetti e spesso anche nullafacenti. E mi è venuto in mente un mio ex capo, incapace di comunicare, innovare e guidare team. Decisamente paraculato, che non muoveva foglia neppure se gli disfavano l’ufficio.

Due considerazioni veloci: 1) molto spesso è il capo ufficio che fa la differenza, motiva, trascina, diverte, appassiona e questo genera un meccanismo virtuoso che porta le persone a crescere professionalmente, maturare esperienze, studiare, aggiornarsi, rischiare (che in fondo è la vera formazione continua); 2) la sicurezza sul lavoro non necessariamante rende più libera o rilassata la creatività.

Sono andato a ricercare una citazione che trovai ai tempi dell’Università. L’ho ripescata:

Si sente oggi che il lavoro come tale costituisce la migliore polizia e tiene ciascuno a freno e riesce a impedire validamente il potenziarsi della ragione, della cupidità, del desiderio d’indipendenza. Esso logora straordinariamente una gran quantità d’energia nervosa e la sottrae al riflettere, allo scervellarsi, al sognare, al preoccuparsi, all’amare, all’odiare. (F. Nietzsche, Aurora, 1981).

Sopravvivere tra gli imbecilli

The No Asshole RuleIo qualcuno a cui consigliare questo libro ce l’avrei, ma lo faccio in privato. Robert I. Sutton in The No Asshole Rule (per la traduzione di asshole si veda qui) affronta coraggiosamente il tema dei colleghi imbecilli. Ne parla anche Guy Kawasaky, che nel suo blog fornisce parte dei contenuti del testo, ancora non tradotto in italiano [sono curioso di sapere come faranno con il titolo].

Quando il capo è soltanto una rappresentazione

Il Grande Capo

Di tutti i film di Lars Von Trier Il grande capo è sicuramente quello più fruibile. La discontinuità dei frame non è poi così fastidiosa e sincopata, la narrazione perfino divertente. Un traguardo per chi ha fatto del cinema un Dogma di ricercata naturalezza.

Il cuore del film è la commedia, la possibilità di rappresentare e impersonificare la leadership e i comportamenti di servitù, se così si può dire di un’opera che non vuole essere di genere. Il capo, racconta Von Trier, è soltanto una rappresentazione sterile, funzionale, manovrabile, detestabile. Va preso a schiaffi quando è possibile. In perenne imbarazzo non conosce i suoi subalterni. Non sa negoziare. Tace, inventa, schiva, finge. Esiste soltanto per rappresentare la leadership, non per esercitarla. E quando è in difficoltà nella guerra dei consensi, non fa altro che inventare a sua volta “Il Grande Capo del Grande Capo” e ritrovare la solidarietà di soggetto vittima del proprio capo. 

Il capo non parla la ligua dominante nell’ufficio ed esercita il fascino soltanto su chi desidera ottenere progressi di carriera [divertente il fatto che il film sia stato censurato per una scena di sesso in ufficio, considerata dalla commissione di revisione cinematografica “chiaramente rappresentativa di un rapporto sessuale poco coerente con l’intero contesto narrativo”.. una segretaria che si inginocchia davanti al capo poco coerente?].

Alla fine il capo ne esce a pezzi. È un poveraccio, una macchietta, che non vede l’ora di terminare il proprio incarico perché alla fine è soltanto una pedina manovrata da chi lo governa restando nell’ombra. Film a suo modo geniale che si risolve con un vero coup de théâtre. Messaggio finale: una risata seppellirà i capi. E a ridere sarà soprattutto chi è in grado di mantenere la giusta distanza per osservare le assurdità che si vivono in ufficio ogni giorno.