Il vero killer del Giglio è l’idiozia della movida

Sergio Bologna torna sulla vicenda della Costa Concordia, dopo l’articolo “Costa Concordia, la movida galleggiante“, riportato sul sito della Furia dei Cervelli, rincarando la dose. Si legge in questa seconda parte:

La cosa pazzesca di quel che è accaduto è la futilità dei motivi che conducono a quel cambiamento di rotta, a quella assunzione di un rischio, per quanto limitato esso sia. Noi siamo abituati al rischio, ci viviamo dentro in mille modi, ma ci hanno sempre detto che il rischio è il prezzo da pagare alla modernità, alla tecnologia, al progresso. E’ il prezzo per un vantaggio, per quanto illusorio esso sia […].  Ma in quale scala del rischio si colloca l’idiozia di creare una momentanea attrazione portando un mostro da 80 mila tonnellate rasente la costa? Questo è quello che ho definito la cultura della “movida”. E’ una mentalità diventata costume, un modo di pensare che accomuna crocieristi (per primi), compagnie marittime, assicurazioni, tour operator, autorità di regolazione e controllo, giornali, tv, la gente. Un qualcosa che rappresenta evidentemente un valore più alto della sicurezza, della tecnologia, delle leggi del mare, della professionalità. Il vero killer del Giglio è questa idiozia della “movida”. 

Leggi l’articolo per intero:

La movida galleggiante – Parte 2

Con 2,4 milioni di crocieristi all’anno e 7 terminal dedicati, il porto di Barcellona è il primo porto mediterraneo per le navi da crociera. Barcellona è un home port, cioè un porto-capolinea, dove s’imbarcano le derrate alimentari che verranno consumate durante il viaggio e le merci messe in vendita su quelle “navi bianche” che di fatto sono ormai dei shopping center. Si crea quindi un indotto rilevante. Negli ultimi anni la sua leadership sembrava messa in pericolo dalla crescita impetuosa del porto di Civitavecchia, dal quale è partita la “Costa Concordia” prima di finire su uno scoglio. Barcellona è la città-simbolo di quel fenomeno urbano che viene chiamato “la movida” e che all’origine era un fenomeno festoso, di grande socialità, ed oggi sembra invece diventato una stanca celebrazione del vuoto, dell’inconsistenza dei legami sociali, oltre che la rovina di alcuni dei quartieri più pittoreschi della città, dove la vita dei residenti, degli abitanti del luogo, è diventata impossibile. Ma “la movida” è qualcosa di più, è l’eruzione cutanea di una scelta di sistema, verso la quale si avviano molti paesi della olive belt. Questa scelta consiste nel poggiare lo sviluppo economico sui due pilastri dell’edilizia e del turismo. La Spagna in questo si è spinta tanto in avanti da ottenere i risultati che sono sotto gli occhi di tutti: crisi e disoccupazione. E non si sa come ne verrà fuori, a parte il problema del debito. Purtroppo anche l’Italia è avviata su questa strada. Da noi la follìa edilizia – alla quale va attribuita buona parte dei crediti inesigibili delle banche italiane – viene mascherata come “risposta al bisogno di infrastrutture”. Il turismo di massa viene considerato un investimento del sistema-paese con maggiori prospettive dell’industria o del terziario avanzato, un futuro per i giovani. Pertanto mettere dei vincoli al turismo di massa sembra quasi un tentativo di soffocare la crescita dell’Italia.

Nella discussione che c’è stata prima e durante la vicenda della “Costa Concordia” i “vincoli” (i “lacciuoli” di buona memoria) che si è chiesto di porre alle navi da crociera erano semplicemente quello di rispettare la rotta e non gironzolare rasente le coste più belle come dei gommoni e quello di utilizzare dei canali di navigazione in certi porti che non mettessero a rischio un determinato patrimonio artistico e la vita di una comunità urbana. Solo questo, almeno questo. Ora lo chiede perentoriamente l’Unesco ed è vergognoso che ad alzare la voce sia prima un’organizzazione internazionale e poi a seguire politici, amministratori e regolatori nostrani. Non esistono ragioni “nautiche” perché una nave da 80 mila tonnellate passi per il canale della Giudecca invece di uscire dal porto di Venezia per la via da cui è entrata, né tantomeno “economiche”, anzi, probabilmente il costo dei rimorchiatori sarebbe meno elevato. Esiste solo la futile ragione di offrire ai passeggeri una vista su piazza San Marco e il palazzo Ducale dall’alto di una “nave bianca” piuttosto che dal basso di un vaporetto dell’ACTV e di poter scattare una foto da quella posizione. Una foto del genere di quella, pubblicata in prima pagina da un foglio della free press, che vede due crocieristi della “Costa Serena” farsi riprendere sullo sfondo del relitto della “Costa Concordia”, assurto ormai, prima ancora che tutti i cadaveri ne vengano estratti, a meta turistica d’attrazione, degno di un “inchino”.

Si continua a fare un gran baccano sull’irresponsabilità del comandante Schettino, si lamenta l’impreparazione del personale di bordo, i difetti tecnici, finalmente ci si chiede se per caso non ci sia anche qualche responsabilità delle istituzioni preposte al controllo della navigazione, ma resta il fatto che il punto decisivo è l’idiozia di passare rasente una costa solo per creare un’attrazione per i turisti, per permettere di scattare una foto. Tra l’altro quella sera era già buio, che cosa vedevano i passeggeri della “Costa Concordia” del bel paesaggio del Giglio? Eppure la legittimità di passare a poche decine di metri dalla costa non viene contestata da nessuno. E per rendere ancora più grottesco, assurdo, questo gesto idiota, più insultante del buon senso, l’hanno chiamato “inchino”. La cosa pazzesca di quel che è accaduto (e di quel che accade ad ogni crociera) è la futilità dei motivi che conducono a quel cambiamento di rotta, a quella assunzione di un rischio, per quanto limitato esso sia. Noi siamo abituati al rischio, ci viviamo dentro in mille modi, ma ci hanno sempre detto che il rischio è il prezzo da pagare alla modernità, alla tecnologia, al progresso. E’ il prezzo per un vantaggio, per quanto illusorio esso sia. Una centrale nucleare fornisce energia, la giustificazione del rischio c’è, rientra nel quadro della razionalità. Ma in quale scala del rischio si colloca l’idiozia di creare una momentanea attrazione portando un mostro da 80 mila tonnellate rasente la costa? Questo è quello che ho definito la cultura della “movida”. E’ una mentalità diventata costume, un modo di pensare che accomuna crocieristi (per primi), compagnie marittime, assicurazioni, tour operator, autorità di regolazione e controllo, giornali, tv, la gente. Un qualcosa che rappresenta evidentemente un valore più alto della sicurezza, della tecnologia, delle leggi del mare, della professionalità. Il vero killer del Giglio è questa idiozia della “movida”. E’ quella che ha spinto la “Costa Concordia” sugli scogli, che ha causato la morte di una trentina di persone, danni ambientali inimmaginabili, danni economici a carico del contribuente, patrimoni privati distrutti ecc.. Doveva succedere proprio adesso, che ci chiedono sacrifici, austerità, rigore. C’è da restare allibiti a sentire il Presidente di Costa Crociere Foschi dichiarare in Senato che quel gesto idiota si può fare “in sicurezza”. Finché difende la sua compagnia dalle accuse sullo stato della nave e sulle caratteristiche dell’equipaggio si può capirlo, lo faremmo forse anche noi al suo posto. Ma parlare di quella idiozia come di una manovra da iscriversi nel catalogo dei gesti “marinareschi”, questo – per la mia sensibilità – va oltre l’irresponsabilità di un ufficiale di bordo.
Vedrete che tra breve troveremo qualcuno pronto a dire che cancellare “gli inchini” dai programmi delle nostre crociere significherebbe indebolire la “competitività” dell’industria crocieristica nazionale. Di sicuro lo troveremo, prima ancora di veder spuntare Schettino sui banchi di Montecitorio.

Sergio Bologna

Ultima modifica: 2012-01-30T16:59:10+01:00 Autore: Dario Banfi

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