KPI, CPH, AHT e diritto del lavoro

Mi sono chiesto più volte quale fosse l’approccio più corretto per guardare alla trasformazione del lavoro e a come la tecnologia influisse sulle dinamiche di precarizzazione o stabilizzazione. E sono sempre più convinto che molta retorica sui call center non abbia in realtà il coraggio di una critica radicale, che vada fino in fondo. Credo servano punti di vista nuovi per leggere i fenomeni.

Qualche settimana fa sono incappato in documentazione tecnica dedicata ai software in uso presso i contact center, moderni sweatshops tanto deprecati. Poi ho capito.

Provate a leggere queste pagine sui KPI (Key Performance Indicators) e sarà più chiaro anche a voi. La radice del problema, se posso azzardare un nuovo approccio alla questione call center (che non definirei soltanto legata alla precarietà, bensì alla “qualità del lavoro”), in questo caso sta negli algoritmi e nella misurazione tecnica: ha silenziosamente sostituito l’Art. 4 dello Statuto dei Lavoratori sul “Controllo a Distanza”, nell’indifferenza totale dei sindacati. I quali, forse, farebbero bene a studiare le differenze tra Siebel Systems, Dynamics CRM, Amdocs ecc. Alla fine sono queste le sottili differenze che interessano agli imprenditori, schiavi a loro volta delle logiche di quantificazione con cui contrattano i servizi per conto terzi.

Come nella realizzazione di interfacce grafiche per computer, per l’usabilità dei servizi o la libertà d’uso del software da anni nessun produttore chiede alla comunità dei suoi utenti quale approccio cognitivo o sociale ritenga più opportuno e migliore per uno sviluppo economico e sostenibile, o a misura di persona, così, allo stesso modo, al nuovo operaio dei dati, al fabbro dei dialoghi in cuffietta e al sarto del servizio clienti nessuno chiede se sia più opportuno definire parametri per la misurazione delle performace che abbiano a che fare con Average Handling Time, Calls per hours, o altre diavolerie matematiche che la business intelligence preconfeziona per loro in qualche Software Lab di note multinazionali.

Somme algebriche nei call center

Permettetemi una freddura, ma leggere Arnald non soltanto è catartico, ma contagioso.

Oggi sul Corriere della Sera il bravo Massimo Sideri presenta un’inchiesta sulle conseguenze legate alla Legge sulla Privacy (“Stop alle telefonate. E a 30mila posti” .PDF): i call center non potranno più importunare chi non dà il consenso a usare il proprio numero telefonico per il telemarketing. Sono a rischio 30.000 posti di lavoro. Contemporaneamente Il Sole 24 Ore segnala che i precari dei call center che sciopereranno a breve per il riconoscimento dei propri diritti sono… esattamente 30.000!

Quali posti taglieranno secondo voi?

Diritti, nudità e vergogne

Sono passato alla strip conference. Ecco un resoconto per chi sta seguendo la vicenda.

Età media 35 anni, un diploma in tasca, a eccezione di Paola che si è laureata in Scienze Politiche. Da sei anni lavorano al Call Center dell’Azienda Ospedialiera di Legnano, con contratti a termine: Adecco, eWork e poi LavoroPiù sono le tre agenzie di somministrazione che hanno vinto gli appalti. Il personale, però, non è mai cambiato, sono rimaste loro, 11 ragazze oggi messe alla porta. Un susseguirsi di contratti a termine le ha riconfermate, pur cambiando le agenzie. Nessun giorno di interruzione in sei anni. Lo stop è arrivato per questioni legislative, oltre che – come dichiarano le ragazze – “per tagliare i costi”. Dopo l’entrata in vigore della cosiddetta Legge Brunetta (D.L. 112/2008 – che all’art. 49, comma 3, ha recepito la legislazione del settore privato del Protocollo sul Welfare, Legge 247/2007 del Ministero Damiano) non è più possibile iterare contratti a termine oltre i tre anni, di conseguenza è stato dato loro il benservito. Una settimana prima, senza preavviso di alcun genere (la società di lavoro interinale si è giustigficata con un “Lo sapevate che vi scadeva il contratto!”…) è stato comunicato il termine definitivo. Il caso, come noto, è diventato nazionale, grazie a YouTube. Brunetta, intervistato, ha rimarcato che non si tratti di “licenziamento”, ma di normale scadenza dei termini.

Loro non ci stanno ed ecco la provocazione. Ne sono consapevoli, visto che lo dichiarano apertamente.

Strip Conference
[Foto: Humanitech.it]

Salgono sul palco per presentarsi, raccontano di avere ricevuto qualche centinaio di e-mail di solidarietà.

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Nuova filmografia sui call center

Fuga dal Call CenterDopo il progetto Fuga dal Call Center (documento basato su 700 interviste!!), in dirittura d’arrivo, anche Ascanio Celestini ha messo a fuoco la questione dei moderni sweatshops – come li chiamano gli inglesi – con Parole Sante, nuovo docu-film che da domani 1  febbraio 2008 sarà nelle sale.

Puntuale arriva la stroncatura su Il Foglio. Ma un bel chissenefrega ci sta tutto… Appena ho un po’ di tempo, e forse proprio perché dà così fastidio agli opinionisti del giornale di Ferrara, vado a guardarlo. Questo è il trailer del film di Celestini, distruibuito da Fandango:

UPDATE: Oggi su Repubblica.it viene segnalato anche il lavoro di Paolo Virzì “Tutta la vita davanti“.

Call center, s’inizia dalla A (come Almaviva)

È il più grande d’Italia e non poteva che essere il primo. 

La Circolare Ministeriale in materia di Call Center ha iniziato a sortire effetti. Per i Call Center di Atesia, Cos, Cosmed, Aticos, In-action, tutti del Gruppo Almaviva (che raccoglie complessivamante 13.000 operatori telefonici) si parla di una significativa svolta. I contratti a progetto senza progetto sono stati convertiti in posti a tempo indeterminato, come è giusto che fosse. Totale: 6.500 stabilizzazioni, come spiega anche Repubblica.