I migliori titoli dell’anno

Curioso che nel mercato del lavoro italiano manchino i diplomati, mentre i laureati siano in eccesso. Beh, perdonate il ragionamento grossolano, ma i laureati non sono forse anche diplomati? Sì, certo, se li si impiega come tali vedrebbero perdere tutto lo sforzo fatto per laurearsi. Ma non si può fare finta da entrambe le parti per un breve lasso di tempo? Un datore impiega il laureato come diplomato e questi si comporta sul luogo di lavoro come laureato. Tenuto conto che gli stipendi (in media) per le due categorie sono molto vincine [non esiste più questo blasone per i neolaureati che fanno ingresso in azienda, anzi..], non è escluso che chi accetta questo trade-off non faccia presto carriera, come dicono tutte le statistiche: un laureato nel lungo periodo corre più velocemente, in tutti i sensi, all’interno delle imprese…

Beh, mentre ci ragionate beccatevi questi dati tratti dalla recente relazione di Gianfelice Rocca, vicepresidente di Confindustria per l’Education, dal titolo “Dimensione aziendale, job creation, nuovi paradigmi produttivi e formativi” (.PDF)

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i laureati piu richiesti in Italia

Giovani generazioni, l’anomalia italiana

Giovani generazioni al lavoroÈ uscito lo studio di Marco Manieri e Lorenzo Piazza Giovani generazioni al lavoro, pubblicato da Italia Lavoro nel contesto del progetto “Generazioni al Lavoro” del Ministero del Welfare. Il testo è ricco di spunti. Offre un’analisi non scontata sul fenomeno giovanile in Europa e in Italia, approntando anche un breve excursus storico e un focus speciale sul modello della cosiddetta flexsecurity di questi ultimi anni. Significativo il capitolo sul nostro Paese denominato “L’anomalia italiana”.

Che cos’ha di diverso l’Italia? Semplice, non scommette sui giovani!

Da noi prevale una cultura fortemente penalizzante per le giovani generazioni. Investiamo su di loro in maniera crescente con contratti a termine, li paghiamo poco e sempre di meno, non offriamo (mediamente) buone opportunità ai laureati e non garantiamo politiche passive e protezioni sociali degne di questo nome. Le sperimentazioni? Quasi nulle. Soltanto per citarne una: il sistema legato al “reddito minimo d’inserimento”, una realtà presente da anni negli altri Paesi, è del tutto assente in Italia. Non è un caso che nel sottotitolo si parli dei processi di transizione al lavoro. Non di inserimento.