Un filosofo francese che amo molto lo chiamava double bind, doppio legame. Non in senso psicologico, ma rispetto alle condizioni di vita che tracciano limiti e intersezioni. Dentro-fuori, esterno-interno, superficie-profondità. C’è sempre un po’ dell’uno nell’altro. Anzi, per definizione c’è. Le dedans c’est le déhors, scriveva Merleau-Ponty.
In molti si sono cimentati nella lettura di questi “margini” in termini filosofici ed esistenziali, da Blanchot a Bateson, a Derrida. E non è sbagliato pensare che anche la condizione sociale viva di questo, ovvero di sovrapposizioni, ibridazioni e forme meticce, per esempio tra sicurezze e rischi, tra obblighi e libertà, tra condizioni di subordinazione e di autonomia. Come nel lavoro.
A questo parallelismo mi hanno fatto venire in mente alcune situazioni e letture di questi giorni che possono essere sussunte facilmente nel contesto interpretativo del double bind e, ancora più specificamente quando si parla di lavoro, sotto la logica dei legami deboli (Cfr. Granovetter). Sto parlando della sempre più frequente presenza di due condizioni parallele e per altro simmetriche. Quella dei moonlighter e di ghost worker. La crisi sta moltiplicando queste situazioni, portandole spesso in superficie.
Chi sono moonlighter e ghost worker?
I primi sono lavoratori dipendenti che non guardano alla loro luna – ovvero un nuovo impiego, un’emancipazione dalla condizione attuale o, in generale, a un miglioramento sostanziale – come un traguardo impossibile, ma studiano come arrivarci, lavorando proprio di notte, alla luce della luna, in ombra, magari per committenti trovati in maniera autonoma. Spesso sono creativi, designer, programmatori, ingegneri elettronici ecc. che stanchi del posto fisso sognano un’agenzia propria, uno studio, un lavoro autonomo, magari in luoghi e città migliori. Fanno un secondo lavoro, in maniera transitoria. Si pongono volontariamante o talvolta forzosamente, per ragioni aziendali, in un limbo dove sono finalmente protagonisti delle proprie scelte.
I secondi sono lavoratori autonomi che offrono dedizione totale, arrivando a celare la propria identità, per committenti particolari. Sono scrittori che lavorano con pseudonimo o come ghost writer (si legga questa bella riflessione “Freelance ghostwriting: Is Ethical?“), sono consulenti in direzione d’impresa e temporary manager, magari in piccolissime società, sono consulenti personali di grandi imprenditori, portavoce, coach e soprattutto ricercatori che collaborano a teamwork e per un capocordata su grandi progetti. Più in generale, sono tutti quei lavoratori autonomi e consulenti che non desidarono altro dal lavorare in maniera indipendente fino al punto da perdere interesse per le definizioni formali e i titoli pubblici. Si pongono in questo modo (ugualmente ai moonlighter) in posizione transitoria, rispetto alla propria identità nel mondo del lavoro, in uno speciale interstizio sociale di grande attrattiva per il mondo del lavoro dipendente. Amano quello che fanno, anche se lo fanno al buio.
Descrive questa attrattività nei confronti della controparte molto bene Mike O’Mary su Freelance-zone.com in “Freelancing Your Way to A Job“:
If you are freelancing by choice, my hat is off to you. I know some people who have very successful freelance careers and would never consider going to work for someone else. But if you’re freelancing because you’ve been laid off, I have good news for you: freelancing just might be the best way to find your next job. […]
[…] I went to the client with no ulterior motive. I really was not looking for a job. I was looking for freelance work. I didn’t want them to give me a job; I wanted to give them some help. That difference in attitude made a difference to them. There was a definite sense that they had discovered me…their attitude was almost a joyful “look what I found!” (Compare that to the attitude of a potential employer during a job interview where all-too-often they are looking for reasons not to hire you.)
L’Altro lavoro – quello fatto nell’ombra, dove comunque si può esprimere al meglio la propria qualità e intelligenza creativa, si mettono a nudo conoscenze e competenze affidandosi al proprio istinto e alla capacità di sopravvivenza – è la controparte della formalità e della mera contrapposizione tra autonomia e dipendenza. E’ assenza di vincoli forti. Si avvicina a una libertà di spirito che aiuta, piace, galvanizza quando si incontra, ma è transitoria nella maggior parte dei casi. E’ vissuta con paura, quando obbligata e fa terribilmente a pugni con le rate del mutuo o con la cedola della mensa per la scuola dei figli.
L’Altro lavoro aiuta economicamente, ma nasconde l’identità. Consente il passaggio, il progetto e l’assesment, ma rimane Altro. Vi permette di essere due in uno, di tenere il piede in due scarpe.
Soltanto pochi trasformano questo in uno stile. I più sono costretti ad uscire da questo double bind, per prendere posizione e lì restare: avere una posizione d’altra parte significa anche avere una rendita. E chi vi rinuncia? Non esistono, per esempio, ghost writer puri. Alla lunga quei pubblicitari che di giorno lavorano in agenzia e di notte per se stessi, prima o poi aprono un’agenzia o smettono di avere una doppia vita. Non dura.
In molti casi è la crisi spinge nell’ombra, ma questo non significhi che sia necessariamente un fatto negativo: le botti di ferro arruginiscono per tutti. Meglio allora tuffarsi nell’Altro lavoro finchè c’è tempo e forza per farlo.
Ho presente alcuni amici che stanno cercando questa via d’uscita. L’amico F. che mentre segue clienti business per conto di una multinazionale delle TLC e fa assistenza su problematiche di networking ha frequentato (prendendosi ferie) alcuni corsi per neoimprenditori in Camera di Commercio e sta montando un sito di e-commerce per fare trading di prodotti old economy! Ha 40 anni, non 25. Oppure G., 48 anni, che entra ed esce dalla Cassa integrazione, ma ha deciso di fornire consulenza in proprio su tecnologie molto diverse da quelle sulle quali era impiegato in azienda. E’ un fantasma per i suoi vecchi datori. Ci sta provando gusto, è bravo e vive questa fase con grande passione. Vuole mettersi in proprio: in questi giorni alcuni clienti gli hanno offerto un buon posto di lavoro.
E’ forse vero che proprio sotto la luce diafana dei legami deboli ci si esprime al meglio e si va più lontano. Non sono certo valga per tutti. Personalmente ogni volta che mi tuffo nell’Altro lavoro (e nell’Altra formazione, che è il fronte speculare a livello di conoscenze), per cambiare stile, sapere o attività, ne esco più sereno. Di recente sto studiando Joomla e InDesign, per completare la mia preparazione tecnica nell’editoria elettronica e cartacea. Lo faccio di notte, ma mi piace.
Beh, in bocca al lupo a chi sta attraversando questo momento.
Ahi! La mia paura è che a forza di fare i ghost-writer, ghost-thinker, ghost-consulters, ecc. si diventi ghost e basta, si perda cioè con l’identità personale pure quella professionale. Purtroppo il nostro mondo è fatto di relazioni, sono quelle che portano lavoro e se sei molto ghost le relazioni le tiene il tuo alter-ego senza penna e insieme all’anima piano, piano fa sparire anche il tuo corpo, dopo averti nutrito (anche bene) ma solo per un pò.