Anni fa mi capitò di seguire Stefano Zecchi per un esame universitario. In quel periodo (’93-’95) passava molto tempo nel salottino del Costanzo Show, forse più che a contatto con gli studenti. Con gli anni [ma già era chiaro dai suoi corsi su Wagner] è diventato un intellettuale di destra. Della sua estrazione fenomenologica non gli è rimasto molto. Prova ne è l’ideologia che traspare da questo testo sulla precarietà, pubblicato sul Giornale qualche settimana fa.
Da leggere, per capire su quale livello oggi vuole essere portata la questione del lavoro precario dagli intellettuali. Il piano è puramente esistenziale. Al diritto si contrappone la libertà. Al socialismo (realizzato?) e al materialismo nichilista l’idealismo per una vita di speranza. Suggestivo, tutto. Molto bello, ma senza tempo e senza un briciolo di contatto con il mondo reale. E il “calcolato opportunismo” diventa, addirittura, un espediente di chi cerca un impiego oggi.
Spero gli abbiano pagato questo pezzo il prezzo medio di mercato offerto a un freelance di 22 anni.
VIVA LA GENERAZIONE PRECARIA – IL POSTO FISSO UCCIDE LA LIBERTA’
di Stefano Zecchi
Dalla sicurezza alla libertà: sarà questo il passo decisivo che ci attende. Per sicurezza non intendo quella che ci deve essere assicurata contro la criminalità, con un’immigrazione selvaggia che mina le nostre tradizionali e più elementari regole di convivenza. Questa sicurezza è fondamentale e non può che essere cima alle iniziative di chi ci governa. Intendevo, invece, parlare un’altra sicurezza, quella che riguarda l’insieme di garanzie legate al mondo del lavoro, alla tutela dell’impiego. È questa sicurezza che dobbiamo lasciarci alle spalle per guadagnare la libertà. Prima, ancora che un cambiamento di prospettiva economica si tratta di trasformare il modo guardare al futuro. Per chi era uscito incolume disastri della guerra, il posto fisso era stato una vera e propria scommessa col futuro che, se vinta, avrebbe consentito il benessere per sé e per la propria famiglia. Tutto quel piccolo mondo consumistico fatto di frigoriferi e lavatrici, di televisori e di automobili utilitarie ce lo si assicurava con i “pagherò”, con le cambiali, che erano generalmente un privilegio di chi, avendo un posto fisso, poteva, avere anche un piccolo credito dalla propria banca. Sembrano ricordi di una vita lontanissima: e forse è vero per i cambiamenti che ci sono stati, non per il tempo che è trascorso. Oggi, di quel vecchio miraggio del posto fisso è rimasto tutto l’intrigo burocratico sindacale, mentre sono andate perdute la tensione, l’aspirazione a una vita migliore: appunto, la scommessa sul futuro, malinconicamente sostituita da un calcolato opportunismo che non stimola a migliorarsi, ad andare avanti, cercandola libertà, rischiando sempre di nuovo sul futuro. Il mondo è cambiato in fretta e oggi sta provocando un vero disastro generazionale. I giovani dovrebbero essere, per definizione, quelli più aperti alla sfida del futuro, più disponibili a rischiare. Chi è a contatto con loro non ha difficoltà ad accorgersi che molti sono invece quelli impauriti dall’avvenire, senza sogni da realizzare, senza speranze da esaudire. Troppo illusori gli uni, troppo pericolose le altre. Meglio il rifugio di un impiego modesto, purché sicuro. E così si distrugge la parte migliore di un giovane: l’amore per la libertà, una libertà che va cercata anche nella precarietà.
Proprio questa è la parola che terrorizza: le precarietà è vissuta come un’aggressione alla propria identità. Prima ancora di essere un problema di natura economica, l’idea negativa del lavoro precario è il frutto di una mentalità vecchia, che scambia la sicurezza del posto per una garanzia contro le insidie dei futuro, che accetta di barattare la libertà per un impiego fisso. È un modo di pensare che lentamente e inesorabilmente ha formato le nuove generazioni, è il modo di pensare del socialismo. Non viviamo forse in un socialismo realizzato? Assistenza sanitaria. pubblica, rete di trasporti pubblici, fonti energetiche nazionalizzate, scuole e università di massa statali, sindacato che controlla tutto, due ex sindacalisti a capo della seconda e terza carica dello Stato (la prima ricoperta da un ex comunista), burocrazia elefantiaca. Certamente mi dimentico qualcosa, comunque la qualità dei servizi è sotto i tacchi delle scarpe, mentre il controllo politico è totale. Come si può non immaginare che in questa visione della società tipica del socialismo moderno non abbia un forte radicamento l’aspirazione all’impiego statale e al posto fisso? Come si può non pensare che in questa realtà socialista si sacrifichi il sentimento della libertà con tanta disinvoltura? Il vero dramma lo stanno vivendo i giovani, che con metodo sono stati dissuasi dal pericoloso amore per la libertà e dal piacere di rischiare sul proprio futuro, che con sottile, tagliente violenza si sono sentiti ridicolizzare dal nichilismo materialista di questo tempo le loro speranze.
Da qual pulpito il professore ordinario Zecchi ci predica la beltà del precariato?
Dice che i giovani vogliono il posto fisso per opportunismo, perché non vogliono rischiare, mentre le generazioni del dopoguerra – suppongo lui si autocomprenda tra queste – lo cercavano per una voglia di sano benessere (sic!).
Ma lo sa lui che ai precari non fanno credito le banche?
Che non solo è difficilissimo avere un mutuo ma anche un credito per avviare un’attività imprenditoriale?
I giovani ed i precari magari avrebbero anche voglia di rischiare ma le banche? Hanno le banche voglia di investire su idee giovani?
A giudicare dal defenestramento di Arpe e dalla promozione di Geronzi, direi che non solo non hanno voglia di investire sui giovani con il credito ma che neanche li valorizzano quando sono al loro interno.
E poi, questo socialismo…
Ma siamo seri!?!
nazionalizzata l’industria elettrica? Dove?, Quando?
Ma se è stato privatizzato tutto il privatizzabile?
Ormai la logica del mercato non si ferma neanche di fronte all’acqua potabile!
Ma per favore, perché non va da Costanzo a prendersi il gettone di presenza, evitando di sparlare a sproposito?
Testo Ideologico: certamente sì.
Zecchi: decisamente antipatico.
Ma la direzione verso cui ci si muove – e che potrebbe risollevare l’italia – forse è proprio un risveglio di questo genere.
:-)
Zecchi è un emerito pirla
subito un bel contratto a progetto per i professori ordinari, e visto che siamo generosi pure un bonus ticket a 5,16 euro per questi vecchi arnesi tardoromantici
testo più interessante di quanto l’emozione possa suscitare su chi vive “dal di dentro” questi problemi.
vorrei precisare che secondo me – da sociologo del lavoro – il problema più grave del precariato non è l’assenza di credito delle banche o la mancanza della tredicesima o dei contributi versati come retribuzione lorda (e chi mi conosce sa che non trascuro questi aspetti!), ma le ripercussioni sui percorsi di carriera, sulle mancate crescite in termini di posizione (mobilità verticale) o di longlifelearning (quindi processi di rincoglionimento se si lavora in un call center, per esempio).
in questo dobbiamo ammettere che vi è un gioco delle parti. la generazione di italiani nati negli anni ’70 (vado a occhio) non sta così male da rifiutare questi modelli. piuttosto vi si adagia ammortizzando i costi come si può, ad esempio stando a casa dai “propri”.
su questa ambivalenza di mancanza di rappresentanza (sindacale e politica) e sindrome post-moderna del “mi tocca pensare a me stesso” insistono queste ideologie “di destra” che trovano così spazi semantici obiettivamente incredibili.
non bisogna sottovalutarli.
http://www.sa-la.splinder.com
@ alter – sarebbe troppo divertente..
@ Giulio – grazie, hai colto nel segno, condivido. Anche se, come dice Robert, non sottovaluterei le componenti di sistema [casa, credito, servizi sociali].