Uno studio di MBO Partners (di Steve King, che ho incontrato a Berlino un mese fa) racconta molto bene composizione, sogni e soddisfazione di una categoria di lavoratori ancora poco conosciuta dal punto di vista statistico. Il dato più interessante: tre su quattro non desiderano proprio rientrare in azienda!
coworking conference 2011
It’s not about place, it’s about people!
Dalla Cina all’Egitto, passando per le grandi città americane, le capitali europee e i nostri piccoli centri abitati. Il fenomeno dei coworking – aree attrezzate dove i freelance possono trovare una scrivania e lavorare, incontrarsi, svolgere riunioni con clienti, collaborare e organizzare eventi – non può più essere considerato una moda passeggera. È un fatto strutturale, che si consolida insieme alla crescita dei knowledge worker e del lavoro indipendente. “Non è semplicemente una questione di spazi, ma riguarda le persone e il loro modo di lavorare e fare nuove esperienze di condivisione e collaborazione”, spiega Jean-Yves Huwart, l’organizzatore della Coworking Conference 2011 di Berlino, un meeting internazionale che ha visto la partecipazione di oltre 300 coworker provenienti da 24 Paesi e quattro continenti. La stima elaborata da Deskmag e presentata nelle giornate berlinesi è di 1.129 spazi di coworking al mondo, 531 soltanto negli Usa, 467 in Europa, un’area dove raddoppiano ogni anno, e 70 in Italia.
It’s not about place, it’s about people!
Dalla Cina all’Egitto, passando per le grandi città americane, le capitali europee e i nostri piccoli centri abitati. Il fenomeno dei coworking – aree attrezzate dove i freelance possono trovare una scrivania e lavorare, incontrarsi, svolgere riunioni con clienti, collaborare e organizzare eventi – non può più essere considerato una moda passeggera. È un fatto strutturale, che si consolida insieme alla crescita dei knowledge worker e del lavoro indipendente. “Non è semplicemente una questione di spazi, ma riguarda le persone e il loro modo di lavorare e fare nuove esperienze di condivisione e collaborazione”, spiega Jean-Yves Huwart, l’organizzatore della Coworking Conference 2011 di Berlino, un meeting internazionale che ha visto la partecipazione di oltre 300 coworker provenienti da 24 Paesi e quattro continenti. La stima elaborata da Deskmag e presentata nelle giornate berlinesi è di 1.129 spazi di coworking al mondo, 531 soltanto negli Usa, 467 in Europa, un’area dove raddoppiano ogni anno, e 70 in Italia.
In Cina sono soltanto cinque. Lo spazio Xin Dàn Wèi di Shangai è il più vecchio, si fa per dire, avendo soltanto due anni di vita, ma ospita oltre 6.000 freelance. Come racconta la proprietaria Liu Yan, per non destare sospetti in un Paese dove per fare il lavoro del consulente bisogna prima convincere i familiari dei clienti, il coworking mette in mostra ai passanti che cosa accade negli “uffici di gruppo” attraverso grandi finestre. E cosa si fa realmente in Cina, negli oltre 30 coworking di Berlino così come a San Francisco, Firenze, Pamplona? Ci si sveglia con un caffè al bar, si lavora da soli o in gruppo, si creano eventi per la comunità di freelance e si sviluppano relazioni. Niente di rivoluzionario dopo tutto. L’idea di associarsi può nascere nel box di casa o nel sottoscala dell’Ateneo, e diventare perfino un incubatore di piccole imprese con nel caso di Venture Garage, partito grazie a 20.000 euro assegnati dall’Università di Aalto ad alcuni studenti per aprire un coworking che oggi, oltre all’immancabile sauna, ospita sei start-up ogni sei mesi.
I coworking non sono comunque zone franche soltanto per giovani, ma aperte a tutti, lavoratori nomadi, ospiti temporanei e anche disoccupati, in cerca di impiego e orientamento. “Oltre a lavorare, aiutiamo chi cerca un nuovo percorso professionale, in alcuni casi assistiamo anche i suoi progetti di sviluppo commerciale. È un nuovo modo di cooperare e al tempo stesso abbassare le spese comuni, soprattutto in quei Paesi come la Grecia in forte crisi”, spiega Alexandre Kahn di CoCoAthens. Sono spazi in cui giocare il tutto per tutto, invece, quando lo stato sociale non esiste più, come in Egitto, dove gli unici due coworking del Cairo sono nati sulla spinta dell’entusiasmo che ha portato in piazza migliaia di persone. “La rivoluzione – racconta Mazen Helmy di The District-Egypt – ci ha dato coraggio e fatto riscoprire la forza individuale e collettiva, anche nello sperimentare nuovi modi di lavorare insieme”.
La formula a ogni modo piace anche nel vecchio Continente, dove nascono coworking per iniziativa di privati, piccole comunità di freelance e grazie all’intervento pubblico. È il caso del Belgio che ha stanziato 600.000 euro all’anno, per i prossimi tre anni, per facilitare lo sviluppo di questi spazi in Vallonia. “I freelance che chiedono finanziamenti devono però essere coinvolti in questo tipo d’attività e comunità”, precisa Lisa Lombardi, coordinatrice dell’iniziativa pubblica Creative Wallonia. A Parigi, invece, La Cantine ha già aperto i battenti da tre anni e ricevuto da Comune, Provincia e Regione insieme, la bellezza di 200.000 euro all’anno per sviluppare una rete di coworking, ospitare una media di 50 freelance al giorno e oltre 400 eventi all’anno.
Al di là dell’investimento, la chiave del successo è comunque la forza della comunità attiva che vive e lavora insieme. “Nel nostro caso – racconta Ramon Suarez di BetaGroup Coworking di Bruxelles – il progetto è partito da una base di 350 lavoratori digitali, dal popolo di Internet”. Lo conferma anche il caso di Lab121 di Alessandria, sostenuto da investimenti pubblici, che ha puntato prima alla costituzione di un gruppo motivato di freelance, poi alla messa a punto dei servizi. “È difficile stare sul mercato come lavoratore indipendente”, testimonia anche Alex Hillman del celebre IndyHall di Filadelfia. “In un coworking, tuttavia, ognuno cerca di aiutare gli altri. Sono posti dove andare, essere se stessi, condividere tempo e a volte lavoro. Non conta lo spazio, contano le persone”.
Alcuni grandi operatori, come TheHUB, hanno aperto sedi nelle maggiori capitali europee e americane, ma non mancano esperienze di network tra piccole realtà, come l’italianissimo Coworking Project di Massimo Carraro che conta oggi 58 affiliati. “Condividiamo strumenti di promozione e comunicazione – spiega Massimo – e permettiamo ai coworker di circolare tra gli spazi della rete presenti in Italia. Ogni coworking è indipendente, siamo cioè una comunità di comunità, in cui ognuna di esse gode dei vantaggi di tutte le altre.” All’appoggio offerto ai lavoratori autonomi il fenomeno dei coworking somma anche nuove opportunità di lavoro diretto per designer di interni, coworking coach, community manager e sviluppatori di servizi online, come nel caso di Enrico Cassinelli ed Enrico Icardi, i giovanissimi inventori di Shared Desks, nuovo motore di ricerca dei coworking nel mondo.
Dario Banfi, Avvenire, 9 novembre 2011, p.21 (èLavoro).
Scarica l’articolo “Coworking. Lavoro 2.0: libero e condiviso” in formato .PDF.
Alla Coworking Conference 2011
Tra un paio di giorni sarò a Berlino per seguire la Coworking Conference 2011 (hastag su Twitter #coworkingeu). Anyone else?