Esce oggi nelle librerie il nuovo libro degli autori del fortunato Generazione Mille Euro curatori anche dell’omonimo blog molto frequentato. Bravi. Si intitola Jobbing, edito da Sperling & Kupfer.
Ancora non ho avuto modo di visionarlo, ma l’opinione che posso farmi – per ora – dagli articoli usciti sulla stampa e, in particolare, da quello odierno pubblicato sul Messaggero non è molto buona. Mi spiace per questi autori che apprezzo.
Ho come l’impressione che i giornalisti che presentano il testo vogliano rendere “escamotage” i nuovi lavori. Geniali trovate, insomma, per assecondare un mercato asfittico. Attività, però, che si basano unicamente sul trend setting come cavallo di battaglia per lavorare e offrire servizi. Ovviamente a termine, come tutte le mode. Dopo la virtualizzazione dell’economia, ora si passa alle professioni “di moda”, alle competenze pro tempore che si dissolveranno col tempo. Utili oggi, inutili fra qualche anno. Il messaggio è chiaro: niente galline domani, oggi si campa con un uovo al giorno. A onor del vero, la tecnica narrativa del “lavoro figo” che risolleva lo spirito è sempre esistita, ma in tempo di crisi dà particolarmente fastidio. (A me, ovviamente).
C’è poi chi di mercato del lavoro non capisce un granché, come l’autore della recensione su La Stampa secondo il quale il controller è un mestiere del tutto nuovo!! Un po’ come dire che il visual merchandiser non faccia il vetrinista o il facility manager non si occupi più degli Affari Generali, soltanto perché hanno un job title in inglese. L’inglese insomma fa figo e fa nuovo, opportunità e futuro. In alternativa, tecnicamente: se non esiste il codice Ateco delle vostre nuove professioni sicuramente avrete successo! Chi non vorrebbe infatti fare il wedding planner o il personal decider (nuove professioni “più richieste”?) tenendo Jennifer Lopez come benchmark? Io, per esempio, vorrei diventare personal decider di me stesso :-)
Al di là delle battute, ci sono due espedienti di comunicazione che mi infastidiscono particolarmente quando si parla di nuove professioni, soprattutto se svolte in regime di autonomia. Poveri freelance, ridotti a rubagalline. Espedienti e trappole con cui il giornalismo à la page va a nozze, anche senza wedding planner:
1. Primo espediente: rendere cool un mestiere per a) alimentarne la domanda (magari funzionasse davvero!); b) renderlo oggetto di letture interessanti, come se fosse un punto di vista inedito, geniale, rivoluzionario, che risolve il dilemma su come uscire dalla melma; c) giustificarne l’esistenza, perché “lavoro independente” non può altro che voler dire “fare qualcosa di geniale”, intraprendente, unico;
2. Secondo espediente: ridurre l’intraprendenza al fatto di portare a spasso i cani degli altri, fare la spesa per i ricchi o altre attività che oscillano tra i 4 e i 10 euro l’ora; oppure, cosa ancora più irricevibile, cercare di imbonire chi cerca un’occupazione con messaggi e annessi del tipo “basta essere intraprendenti…” per sfangarsela o, sulla falsariga degli assessment puramente e inutilmente soltanto psicologici, con indicazioni del tipo “ricomincia dal tuo io più profondo e scoprirai che cosa sai fare…” (e che cosa sai fare, l’ingegnere nucleare?).
Queste due formule, condite magari con citazioni di buoni libri, sono grandi palle per riempire d’inchiostro i giornali, magari in tempo di crisi. Ripeto, questo libro non l’ho letto. Spero – forse per affezione al libro precedente – che non sia come ce che lo raccontano sulla stampa.
ciao dario, grazie innanzitutto per l’interesse, per la stima e per l’affezione a generazione mille euro! ;)
trovo legittime e argomentate le tue perplessità, e provo a replicare in modo – mi auguro – altrettanto legittimo e argomentato:
– il tema del “lavoro figo”, a cui tu dai una interpretazione in qualche modo ideologica o moralistica, dal nostro punto di vista è semplicemente un’analisi lucida dell’andamento del mercato: le professioni tradizionali – lo dimostrano gli annunci, i sondaggi, le sempre più ampie aperture ai trend internazionali – stanno vivendo una fase di cambiamento e di evoluzione, a partire (per quanto bizzarro possa suonare, ne convengo) dai relativi titoli, ormai quasi tutti ereditati dalla lingua inglese, per finire con competenze sempre più flessibili e trasversali. non solo nel campo dei media o della moda, dove si tende a pensare che il “lavoro figo” imperi, ma anche in quelli dell’organizzazione, dei servizi e dell’itc (per non parlare dell’ecologia), dove erroneamente si crede che esistano solo posizioni da “topo di ufficio”. di fatto non è così, e penso che avere un quadro della situazione il più possibile aderente alla realtà e libero da pregiudizi sia attualmente il modo migliore per approcciare la ricerca di un impiego
– jobbing è, come da sottotitolo, una guida delle 100 professioni che, in questo momento, appaiono come “più nuove E più richieste” sul mercato del lavoro, dove l’E non implica un’unica categoria ma ne sottintende tre distinte: le più nuove (es. il wedding planner, il travel designer), le più richieste (es. l’account, l’infermiere, il marketing manager, lo stesso controller) e le più nuove e richieste (es. il trendsetter). ecco spiegato il fraintendimento.
– le “grandi palle” sulle nuove professioni, in realtà, penso nascano da un preconcetto radicato nella mentalità italiana verso tutto ciò che evoca da una parte un cambiamento negli schemi tradizionali consolidati (e, per quanto paludati, comunque rassicuranti), e dall’altra una comprensibile associazione di idee “intraprendenza = flessibilità = precarietà”. in realtà non lo diciamo noi, lo dice walter passerini – giornalista di lavoro tra i più esperti e autorevoli, che ci ha fatto l’onore di firmare la prefazione a jobbing – che se il mercato è sempre più ostico per ciò che concerne l’ottenimento di un posto fisso stabile e sicuro, è però sempre più aperto verso attività autonome che nascono da una lettura individuale dei movimenti della società. senza avere la presunzione che questa sia LA soluzione, ma sicuramente è una alternativa razionale e consapevole all’autocommiserazione o ai provini per il grande fratello.
come scriviamo nell’introduzione, jobbing non è un manuale “per trovare lavoro”, è un manuale “per capire che lavoro cercare” avendo di fronte una panoramica completa, su tutti i settori, di ciò che soprattutto in un momento come questo costituisce l’altra faccia della medaglia della crisi economica e occupazionale.
grazie ancora dello spazio concessoci e, per qualsiasi ulteriore confronto, non esitare a contattarci.
antonio
grazie Antonio, spero si sia capito che la mia è una polemica con chi riduce le nuove professioni a mero espediente sensazionalistico… Sui giornali questo è sempre occasione ghiotta per scrivere idiozie.
Anche la tua risposta è in linea con questa mia preoccupazione: occorre guardare al mercato stesso per capire come si muove e rivalutare positivamente il lavoro indipendente. Ti ringrazio per l’intervento. Mi hai chiarito la vostra intenzione, sulla quale non avevo dubbi..
Quanto a Passerini, ho lavorato con lui e credo di sapere come valuta esattamente e nella realtà i freelance intraprendenti ;-)
Se posso muovere una critica al suo modo di vedere l’intraprendenza mi permetto di dire che suona sempre come molto teorica, psicologica, esistenziale. E il suo ultimo libro dice molto su come affronti la questione dell’assesment soltanto sotto il profilo motivazionale, tralasciando la durezza della realtà fatta di contratti, compensi, diritti maturati, strumenti pratici, investimenti, fiscalità, costi di autoformazione, diritto del lavoro per i lavoratori autonomi, bollette della luce…
certo dario, infatti il mio era un doveroso chiarimento di massima ben sapendo che potrai farti un tuo giudizio più approfondito e specifico (positivo o negativo che sia, ci mancherebbe!) una volta che avrai tra le mani il libro! ;)
credo comunque che occasioni di confronto come la tua siano estremamente utili per tenere vivo e acceso il dibattito sul tema, e riuscire ad analizzarlo in modo sempre più approfondito in tutte le sue complessità e sfaccettature…