Dai 12 punti del programma di Governo del Partito Democratico: “Avviare la sperimentazione di un compenso minimo legale, concertato tra le parti sociali e il governo, per i collaboratori economicamente dipendenti, con l’obiettivo di raggiungere 1.000 euro mensili“.
Che cosa significa “economicamente dipendenti”? Senza contratto da lavoro dipendente, ma ugualmente dipendenti rispetto alla fonte di reddito? Oppure dipendenti tout court? Non è dato sapere. Intanto al Sole 24 Ore hanno fatto due conti:
“…significa mobilitare nel complesso oltre 9 miliardi se applicato all’universo del lavoro atipico. Se limitato ai soli collaboratori la cifra scende a un terzo, poco oltre i 3 miliardi. Si tratta di oneri che potrebbero ricadere in gran parte sul sistema produttivo: Veltroni ha specificato che la sua proposta prevede forme di incentivo verso le imprese affinché adeguino i salari alla soglia legale. Ma non è nei piani che sia lo Stato a coprire del tutto la differenza tra 800 (o 600) euro e i 1000-1100 del salario legale. Quindi, anche ipotizzando un concorso del 50%, sarebbero in gioco somme in grado di neutralizzare i vantaggi dello sconto sul cuneo fiscale predisposto lo scorso anno.”
E se invece del 50% fosse tutto a carico delle imprese? Da sinistra arriva la critica di Alfonso Gianni di Rifondazione Comunista con l’articolo “Il salario minimo di Veltroni è solo precario?” (in formato .doc anche qui), che scrive:
” […] Tale proposta non riguarderebbe coloro che sono privi di lavoro e che lo cercano, ma coloro che già lo hanno, seppure in modo precario. In sostanza saremmo all’interno di una fissazione legale di un minimo salariale […] Se si trattasse di decidere che l’applicazione dell’articolo 36 della nostra Costituzione – che prevede il diritto per il lavoratore a una retribuzione che assicuri a sé e alla famiglia “un’esistenza libera e dignitosa” – debba essere affidata alla fissazione legale di un minimo di retribuzione, magari su scala oraria, saremmo nel campo di proposte che il nostro partito ha esplicitato da anni. Ma se, invece e come sembra, la proposta di Veltroni è circoscritta al lavoro precario, siamo in una situazione completamente diversa. Vorrebbe dire che anziché combattere la precarietà la si sancirebbe dotandola semplicemente di una minima rete di protezione salariale“.
Per il PRC è una proposta incompleta perché ribadisce come l’accesso al Welfare avvenga sostanzialmente appartenendo già al mondo del lavoro: “Se non lavori non hai la pensione, la sanità, le forme di sostegno al reddito“. In sostanza, abbiamo in Italia un accesso lavoristico al Welfare e nessun “reddito di cittadinanza” [si legga a proposito questo bel documento “Oltre il reddito di cittadinanza, tra utopia e realtà“, (.Pdf) di Italo Nobile]. I due temi comunque sono continugui, non sovrapponibili tout court. Alfonso Gianni sbaglia a pensare che uno escluda necessariamente l’altro.
Di parere opposto è Tito Boeri (si legga l’editoriale “Mille euro al mese“, pubblicato il 15.02 sulla Stampa), sostenitore da tempo dei minimi salariali, controparte logica di nuovi contratti unificati, come il contratto unico:
“Il salario minimo serve a proteggere le categorie maggiormente a rischio di emarginazione e sfruttamento e non rappresentate dal sindacato, come molti lavoratori con contratti flessibili e immigrati. Il salario minimo riduce il numero di working poor, di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà nonostante abbiano un lavoro, un fenomeno crescente in Italia. […] Un salario minimo fissato a un livello non troppo alto può creare più occupazione, come avvenuto negli Stati Uniti. L’esperienza dei paesi latino-americani ci dice che non è affatto ovvio che crei lavoro nero; potrebbe avvenire esattamente il contrario, come nel Regno Unito.
Per Tito Boeri il sindacato si è sin qui opposto perché teme che tolga rilevanza alla contrattazione collettiva. In realtà, coprirebbe i lavoratori tagliati fuori proprio da quest’ultima: “Semmai il salario minimo riduce l’eccessiva interferenza della giurisprudenza nella libera contrattazione fra le parti a livello di azienda“.
Nello schema che vede nel precariato il doppio binario di incertezza (quello relativo al reddito e l’altro alla continuità dell’impiego) il salario minimo è una buona idea, ma che ancora una volta risolve le cose a metà. Non elimina la discontinuità. Innalza soltanto il livello di povertà e di reddito.
Humanitech sostiene la proposta di salario minimo di Veltroni (su base oraria, però, così mettiamo d’accordo anche chi ritiene che le consulenze, i part-time o i progetti siano esclusi), ma riteniamo che siano opportuni sia un passo avanti verso meccanismi di stabilizzazione basati su fattori temporali (per esempio, un trade off tra periodi di prova allungati e premi di fine corsa per i lavoratori flessibili, come ipotizzato nel contratto unico alla Boeri-Garibaldi) sia un approfondimento di temi più ampi, meno legati al salario, per offrire coperture minime di reddito a tutti, in periodo di disoccupazione – sempre sulla base di “premi” per chi aumenta la propria occupabilità, magari con formazione continua.
Caro Dario,
mi associo totalmente al tuo pensiero…
Anna
senza nulla voler togliere ai precari, 1000 o 1100 euro sono più di un terzo livello metalmeccanico. Si dovrebbe innescare una spirale ascendente per tutti i CCNL?
Questo però come tutelerebbe le partite iva individuali, che sono le nuove forme utilizzate dai datori di lavoro per comprimere i costi? Anche per queste verrebbe imposto un importo minimo?
@ Tambu non ho risposta.. dovrei fare parte della segreteria politica del PD per capire meglio.. :-) tieni conto però di alcuni elementi di costo generale. Una retribuzione netta di un dipendente è il frutto di una differenza tra costi lordi legati anche a mensilità aggiuntive, premi e soprattutto contribuzione e TFR che per gli atipici non sono equiparabili. Il modo giusto per valutare è pensare al costo orario lordo oppure alla retribuzione totale annua lorda (cosiddetta RTA), ma che per un atipico spesso non esiste perché presta opera per periodi inferiori a un anno…
@ andrea Non li tutela. Non so tecnicamente quale formula Veltroni poi vorrà adottare, ma se le Partite IVA vendono consulenza in termini di ore li tutelerebbe. Se invece vendono a progetto i casi sono due: 1) falsa autonomia, ovvero impiego del lavoratore come un “dipendente atipico”, che è ampiamente irregolare, ma molto diffuso. In questo caso se si richiede una presenza continuativa, un orario ecc.. allora solitamente si calcolano fissi mensili, che renderebbe il modello dei minimi applicabile (tieni conto che a livello di ispezioni dell’INPS quando si trovano situazioni limite, irregolari ecc.. si usa sempre il modello della parificazione tra autonomi e dipendenti di livello più basso per stabilire eventuali sanzioni sui contributi non pagati…); 2) reale autonomia. In questo caso la trattativa è privata e difficilmente si potranno fissare dei minimi. I tariffari dei liberi professionisti sono di fatto scavalcati, figuriamoci se sarà possibile stabilire qualcosa del genere per il lavoro autonomo in generale. In realtà credo addirittura che sia incostituzionale stabilire dei minimi per accordi economici che avvengono su base privata tra le parti.
Vabbe’, ragazzi, ma siamo in campagna elettorale… ovvio che le sparino GROSSE…
Il problema della sinistra, per me, è che devono sempre dimostrare a loro stessi che si sentono alternativi…
L’anno scorso c’hanno rotti i maroni con i pacs come fosse stato un problema fondamentale, con la gente che non arriva alla fine del mese…
Adesso parlano di salari minimi per i precari, come se il vero problema non fosse che i salari dei non-precari (statali, operai ecc. che sono la stra-grande maggioranza) continuano a non bastare per arrivare al 27 del mese.
Ma se devo decidere, penserò prima a rimettere in sesto la maggioranza con politiche adeguate o no?!?
E che ca55o!!!
Non è che io sia per la destra, ma certo questa sinistra non mi merita.
Chicco su una cosa concordo. Uno il mio voto se lo deve meritare.
A prescindere se sia o meno possibile conciliare reddito di cittadinanza e minimo garantito ai precari, a me sembra che entrambe le soluzioni non risolvano il problema di fondo che è quello di garantire un potere minimo di acquisto più che un salario, cosa che neanche la contrattazione collettiva è riuscita a garantire in questi anni.
E questo di problema si può risolvere solo con un accordo con gli imprenditori, non mettendo mano al denaro pubblico.
PS: Dario, complimenti per la qualità dei contenuti che pubblichi. è un lavoro veramente meritorio il tuo.
Hai ragione Ubik. E’ proprio per questo che in questi giorni, in cui si ridiscute il modello di contrattazione collettiva c’è chi riporta sul tavolo strumenti come la scala mobile o la parametrizzazione dell’inflazione. Sono discorsi che vanno in parallelo.
p.s. Grazie per l’apprezzamento.