Una moda recentissima, testimoniata da molti commentatori del mercato del lavoro (e soprattutto della Legge Biagi), giornalisti e autori di libri, è di considerare la flessibilità come una condizione dello spirito, una qualità legata all’impegno che – se sincero – verrà premiata. Per loro l’happy end è sempre prima dei titoli di coda che chiudono la saga della precarietà e la ribattezzano, ex post, “flessibilità”. Una logica un po’ “hegeliana”, un po’ ruffiana. Purtroppo, però, non sanno mai indicare quanto durerà il film e come mai per qualcuno la sintesi non arrivi mai.