Lavoro, tecnologia ed eterogenesi

È un po’ filosofeggiante come intuizione. Serpeggia nella mia testa da qualche mese e ve la scrivo senza pensarci troppo (abbiate pazienza) ma tanto è sabato, non c’è molta gente in giro da queste parti.

Avete presente la teoria marxista sull’eterogenesi dei fini? Il buon vecchio Karletto sosteneva che nel processo di lavoro che ha come finalità la creazione di capitale (per magnare la pagnotta) accade spesso che il capitale diventi non più il fine ma il mezzo indispensabile per alimentare nuovo lavoro. In altre parole, si determina un’inversione di rotta: si lavora per continuare a lavorare [non a caso il free tax day è in luglio e non il primo gennaio!]. Si fatica non più soltanto per sostentarsi, ma per oliare gli ingranaggi.

Ieri ho letto queste poche righe di un post di Giuseppe Granieri, in cui si dice che online, tra i blog

[..] stia emergendo una cultura diversa del fare rete. Un approccio molto strumentale alla circolazione dei link e all’incremento di visibilità, che sostituisce quella che in realtà potrebbe essere una tendenza (persino etica) a provare a fare cose belle insieme..

Mi si è chiarito (meglio, ho trovato conferma di) un fatto: l’evoluzione tecnicistica del mondo della conversazione basata su blog è a forte “rischio eterogenesi”. Nasce grazie alla tecnologia, ma finisce per parlare di tecnologia. E di come questa consenta di dialogare. Quando il fine della (propria) scrittura online è indeterminato, o molto debole, il meccanismo appare quasi automatico e si è più soggetti alle dinamiche del Web. Senza un imprinting forte, ci si perde nel mare magnum, si pesca qui e là e alla fine ci si aggrappa alle tecnologie per rimanere a galla. Un esempio sono quei nugoli di blogger che scrivono di tecnologia per “migliorarla insieme” e poter scrivere domani ancora di un’altra nuova tecnologia e così migliorarla insieme. Alla fine inseguono il fantasma. Lo sviluppo del Web – d’altra parte – si indirizza proprio verso questa direzione: l’autoalimentazione dell’ipetertesto. Link farming, citazioni vuote, aggregatori senza filtro semantico (e mi verrebbe da inserire anche Second Life, appunto perché “second”, o chi scrive opinioni senza argomentarle..) e via discorrendo sono soltanto l’anticamera dello svuotamento di un fine, quello posto nell’intenzionalità prima di chi “mette del suo” online. Di chi opera e fa un lavoro di “traduzione” del proprio mondo.

Sarò pedante, l’ho già scritto, ma credo che l’unico modo per invertire la tendenza a lasciarsi assoggettare dalla tecnologia blog (e non blog) è di fare prevalere la “competenza sociale”, ovvero la capacità di riportare il discorso online al mondo reale sulla base di ciò che ciascuno ha appreso e sa fare. Occorre contrapporre il sapere-vuoto (replicabile all’infinito, linkabile) al saper-fare. Mettere competenza, tradurre capacità. Per i più sofisticati, argomentare! “Fare cose belle insieme“, dice Giuseppe. Oppure – a me piace pensarla così – rendere trasparente la propria indipendenza dal mezzo, facendo prevalare ciò che sta fuori dal Web, la società reale, il mondo civile, il lavoro di ogni giorno.

Ultima modifica: 2007-09-08T17:22:15+02:00 Autore: Dario Banfi

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