[Nasce – e non so se riuscirò a tenere fede a questo impegno – una microrubrica dedicata al Master in Giornalismo Investigativo (Mgiv), modulo Analisi Investigativa, per il quale ho vinto una borsa di studio. Di seguito impressioni, racconti d’aula e altro, che lascio a voi classificare…]
Tornare sui banchi è dura – 12 ore in due giorni! – soprattutto se togli telefono fisso e la tensione di dovere produrre qualcosa entro le prossime due ore, ma se la materia è buona, il docente docet e non si parla di come pettinare le bambole, grazie a dio hai l’impressione di non buttare via il tempo, una sensazione assai spiacevole, che da freelance temi possa assalirti come una scadenza di pagamento dell’Iva quando hai il conto in rosso.
Mgiv/ 1 – Analisi delle fonti aperte su Internet e Sistemi criminali 1
Venerdì 30. Poco, ma era un battesimo d’aula per me. Ho filtrato poco perché in verità, senza falsa modestia su taluni temi, soprattutto tecnici, ne so molto. La parte migliore delle ore di Leonida Reitano dedicata all’Analisi delle fonti aperte su Internet è l’illustrazione di una disciplina assai poco diffusa in Italia denominata OSINT (Open Source Intelligence), intorno alla quale esiste (per me una scoperta) una letteratura sconfinata. Si veda il lavoro di Robert David Steele, per esempio. E’ un mare magnum, che va dalla classificazione delle fonti aperte alla compilazione di piani di information retrieval, portali Internet per condividere documenti, ecc.
L’applicazione strumentale (uso di motori di ricerca, tracerouting, analisi di IP, Whois ecc.) è stata invece deludente, almeno per quanto conosco già di queste tecniche. Assente l’analisi di reti fuori da protocollo http (!), dove si trovano oggi, per esempio, i dati sulle retribuzioni degli italiani o informazioni sulle magagne di Lombardo. Piacevole l’excursus sulla pianificazione del percorso di ricerca e della corrispondente costruzione di mappe concettuali – basate su Cmap – per ricostruire temi complessi, come per esempio le relazioni tra clan mafiosi.
Sabato 31. Persona squisita Enzo Ciconte, che ha recentemente pubblicato un testo sulla ‘Ndrangheta, e che tiene l’aula per sei ore parlando a braccio di sistemi criminali. Parte dalla storia meno recente, per farci capire origini e motivazioni, intrecci politici e sociologici, e approda ai giorni nostri soffermandosi sul periodo 1992-94 forse il più complesso per determinare le successioni del dopo-Riina, dove fanno da sfondo la nomina alla Presidenza della Repubblica, in cui Andreotti (come sostiene anche il film Il Divo) fu bloccato nella sua corsa – complice la mafia che mandò un chiaro segnale con l’uccisione di Salvo Lima – e l’intreccio tra tangentopoli e lotta alla criminalità organizzata. Cita il caso Bellini-Gioè (.PDF), forse il più misterioso, e arriva ad oggi, spiegandoci le ragioni della sentenza Dell’Utri, citando l’eroe Vittorio Mangano e altri.
Tre punti sono poi messi a fuoco. In primo luogo i valori individuali che reggono i sistemi criminali di mafia, ‘ndrangheta e camorra. Sono regole non scritte (trovate anche su carta durante l’arresto dei Lo Piccolo) che fanno dell’obbedienza e del silenzio una religione, e vietano a persone in divisa, a omosessuali e a familiari disonorati di fare parte dei clan. La meritocrazia esiste? Certamente – lo testimonia l’ascesa di Totò Riina – anche se è sovrapposta ai legami di sangue. Diverse sono le scelte di ‘ndrangheta e mafia, quast’ultima, per esempio, è più aperta a strutturare il potere come sistema non soltanto familistico. Vanno comprese differenze e strutture dei clan per capire e per scriverne correttamente. Esistono “valori” comuni, ma strategie differenti.
La seconda questione: dove cercare informazioni non condivise, open source? Quando si può capire di avere centrato un bersaglio importante durante le inchieste? Risposta: quando ci si trova di fronte al silenzio! Per Enzo Ciconte esistono quattro forme di silenzio dovuto alla a) complicità; b) paura; c) condivisione; d) vergogna. La criminalità organizzata [qui Ciconte cita Camilleri], è diversa dal semplice balordo che intimorisce con la pistola, perché è in grado di mettere in ginocchio spiegando le proprie “ragioni” e minacciando verbalmente, esponendo semplicemente le regole del Sistema: rispetto, silenzio e obbedienza.
La terza faccia del poliedro raffigurato da Ciconte è il legame paradossale che esiste tra gli estremi, tra evoluzione storica e casi singoli o tra bassifondi e alta società. L’emergere dei sistemi criminali al Sud non è slegato dalla trasformazione dei poteri politici locali nel corso della storia: caporalato e tassazione impopria (mafiosa) dell’interscambio delle merci hanno da sempre sporcato la transazioni, sia che si trattasse di rapporti di lavoro sia di imprenditoria privata o di commercio. Il sistema è attecchito rapidamente per una volontà di emergere di sogggetti deboli, ai confini della società, ma al tempo stesso assoldati da chi stava e sta oggi ai vertici di politica ed economia per la tutela di interessi privati. La volontà di detenere il potere come riconoscimento sociale ed esercizio della forza fa da trait d’unione. Oggi i rapporti sono molto più articolati, ma pur sempre radicati in un’antropologia della debolezza: il mafioso è un poveraccio che deve tenere alto il proprio nome. Emergere per via illecita, perché incapace con altri mezzi.
Un’ultima nota di Ciconte tocca il tema della politica: “Non esistono partiti della mafia, ma soltanto persone che hanno con essa una connivenza“. E’ un falso mito che talune organizzazioni politiche prendano ordini dalla criminalità, ma è molto più reale di quanto si immagini il dialogo tra mafiosi e politici, come ha dimostrato il caso Cirillo. Certi sistemi, paradossalmente molto più diffusi di Al-Qaeda, come l’Ndarngheta, sono in gran parte sconosciuti. Spesso però basta guardare ad alcuni passaggi storici per ritrovarne le radici, capire dove rifioriranno clan e criminalità. La diffusione al Nord della mafia è un caso emblematico (tra breve, una puntata Rai di Lucarelli su questo tema..): i soggiorni obbligati di molti criminali, per esempio di uno dei fratelli Salvo a Sassuolo (MO) negli anni Ottanta, o di un’intera comunità ndranghetista a Buccinasco (MI), dicono molto di ciò che sta avvenendo oggi in Italia e nel mondo.
Di sfuggita, in una pausa caffé, chiedo a Ciconte che cosa pensi della sparata di Beppe Grillo sul fatto che la diffusione dei dati sulle retribuzioni degli italiani fatta dall’Agenzia delle Entrate favorisca la criminalità organizzata. Il commento, molto educato: “Un’incredibile sciocchezza!“. Resta senza risposta, invece, una domanda dell’aula sulla presunta vicinanza alla mafia dell’attuale ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che nel 2002 ha baciato un boss al matrimonio della figlia (fatto che non ha avuto conseguenze giudiziarie). E’ l’unico silenzio di Ciconte, durante la bella lezione. Un silenzio appunto, ma di altro tipo perché è storia troppo recente. A volte soltanto quando sono sedimentate, archiviate al Casellario giudiziario o altrove le nostre peggiori vicende italiane possono essere raccontate [Cirillo, per esempio, ha consegnato la sua verità a un notaio, per svelare i retroscena della liberazione soltanto dopo la sua morte]. Altre volte interviene invece il cronista in tempo reale…
Alla prossima lezione, dunque.