Il digitale non cancella lavoro ma diritti

In contemporanea su Sole e Corriere oggi due articoli ricordano come sia attuale la trasformazione del mondo del lavoro e la sua migrazione verso le tecnologie digitali.

Figure richieste ItalyDa una parte Luca De Biase sostiene (articolo in .PDF) che il digitale non distrugga il lavoro, ma traslochi l’occupazione. Cancella posti, ma ne crea altri. Dall’altra Ivana Pais che anche le Agenzie per il lavoro si stiano dando da fare per cercare figure “high skilled” nel segmento 2.0 e per questo chiama in causa l’ultimo monitoraggio europeo sulle Job vacancies.

In realtà occorre aggiungere qualche pezzo in queste due analisi. Non che siano sbagliate, ma non dicono tutto. Da una parte, per esempio, manca una valutazione sui processi di frammentazione dei sistemi di organizzazione del lavoro (cosiddetto “post-fordismo”) ai quali si accompagnano oggi radicali trasformazioni legate alla condizione del lavoratore, alla metamorfosi dei diritti legati al sistema di Welfare e alle condizioni socio-economiche. Cambia il lavoro, cambiano i compensi, cambiano i diritti.

Se fai diventare un operaio che sta in linea alla produzione di elettrodomestici un pickerista che lavora a tempo, su chiamata, in un centro di logistica con cuffiette per il picking vocale di scatolame vario sui pallet, hai certamente creato una trasformazione come minimo a somma zero, ma hai deregolamentato molto del vecchio sistema e tolto qualche diritto al lavoratore. Entrate nei magazzini dei grandi distributori della GDO per credere. Io ci sono stato, per fare analisi sui software. Ottimi, eccezionali. In mano a extracomunitari che lavoravano in gironi danteschi (e non vi dico che casino, come una legge del contrappasso tecnologico, per inizializzare il riconoscimento vocale…).

Facciamo un altro esempio più vicino alla Knowledge society.

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