Più di dieci anni fa ebbi la fortuna di incontrare per lavoro l’amministratore delegato di Landor Italia. Per chi non conoscesse Landor può tranquillamente guardarsi intorno a 360 gradi, sapendo che l’80% dei marchi che vede è assai probabile che li abbia disegnati proprio questa società. Design e brand sono la linfa vitale del suo business, ma ciò che ricordo, a distanza di tempo e con piacere, è un aneddoto relativo a un clamoroso fail, un perfetto fiasco, che mi raccontò questa persona durante un’intervista.
A memoria non so dire se riguardasse la società o la concorrenza: la vicenda mi colpì indipendentemente dal protagonista. Chiamata a disegnare un nuovo marchio e tutto il sistema di branding associato, la società di consulenza di questa storia venne ingaggiata da una grande compagnia aerea che voleva rifarsi il look, per così dire. Dopo poco tempo l’agenzia presentò il suo progetto. Si trattava di un avveniristico marchio, sfavillante e geniale su fondo nero. Per illustrare meglio il risultato vennero costruiti prototipi di aeroplani con il nuovo marchio, ma senza neppure iniziare il meeting, il cliente, vedendo i modelli piazzati in bella vista sul tavolo in sala riunioni, impallidì e ritirò immediatamente il mandato alla società di consulenza.
Che cosa accadde? Un fatto semplicissimo, che si può intuire contando quante compagnie aeronautiche al mondo dispongono di velivoli neri. Il nero, notoriamente, attrae la luce, che assorbe calore e a sua volta, per velivoli che stanno nel 98% del tempo sopra le nuvole, significa surriscaldamento e possibilità di generare malfunzionamenti di impianti elettrici. L’errore, di conseguenza, fu di tipo ingegneristico, non prettamente estetico.