[Riprende la Rubrica “Paternità & dintorni”, curata da Livio Martucci, papà in congedo parentale. Ecco la sua esperienza..]
All’inizio scegliere di prendere la paternità (congedo parentale) assentandomi per alcuni mesi dal lavoro mi sembrava inopportuno, esagerato, impossibile! Perché? Ma come perché? Intanto le possibili ripercussioni sul lavoro (ne parlerò meglio in un altro post). E poi il modello consoldidato è: la mamma a casa ad accudire e allattare la figlia e il papà che continua ad andare in ufficio, semmai cercando di tornare prima per stare insieme al suo tamagogi perchè dopo le 8.00 dorme. Già, ma i modelli spesso non sono appaganti, piuttosto sono facili da indossare, salvo scoprire col tempo che stringono in vita propio dove risiede l’anima.
E se volessi vivere pienamente l’arrivo della creatura? E se penso che mia moglie abbia bisogno del mio aiuto dopo una gravidanza non proprio facile? E se ritengo che la relazione e la presenza del padre con il neonato sia importante quanto quella della madre? Vi garantisco che quando parli con amici e parenti di questa scelta di fare il papà a tempo pieno scopri che è un tabù. L’atteggiamento di molte persone è “ah, vai a fare il mammo!”. Si, perchè lo stereotipo machista non ammette che sensibilità, ascolto, collaborazione e coccole possano essere declinate al maschile. Accudire un figlio a tempo pieno e prendersi una pausa dai combattimenti lavorativi non è concesso all’uomo-guerriero salvo compromettere la sua integrità mascolina e la professionalità. No, io vado a fare il papà.
Io penso, invece, che la triade mamma-papà-figlio sia una relazione negoziale: ruoli e relazioni si definiscono dinamicamente sulla base della personalità e aspirazioni di ciascuno dei 3 componenti e non possono più essere improntanti a modelli, soprattutto a quelli tradizionali in cui vigeva una relazione preferenziale tra mamma e figlio mentre il papà aveva un ruolo secondario. Anche perché questo ha sempre alimentato un solido alibi per i padri per non prendersi le proprie responsabilità, per esempio cambiando il proprio stile di vita per fare spazio al nuovo arrivato.
Comunque alla fine ho scelto di prendere il congedo parentale per 4 mesi, da Giugno a Settembre. Tutto rose e fiori nel prendere questa decisione? No, per niente. Ma delle spine ne parliamo nella prossima puntata.
Per oggi mi fermo qui. A voi la parola.
P.S. Se volete, anche Angela ne discute qui.
Livio Martucci
Ciao Livio, bel post. Aggiungo una rapida osservazione. Come sai anch’io vivo a stretto contatto con mia figlia. Noi lavoratori autonomi abbiamo molti meno diritti sulla paternità (anzi nessuno!), ma la flessibilità che ci è consentito di ritagliare nei tempi di lavoro offre grandi vantaggi nella costruzione di una relazione familiare più rispondente alle necessità reali. Un grande deficit legislativo in un certo senso si è trasformato in un piccolo vantaggio. Credo che non sia soltanto una questione di cultura e di machismo – che come dici giustamente è la prima ragione che crea squilibri, alibi e grava pesantemente sul ruolo della madre alla fine – ma in buona parte c’entra anche come si è configurato il diritto del lavoro in Italia..
Ciao Livio, ciao Dario: ho postato finalmente sul tema …ovviamente a modo mio. La paternità mi interessa anche perché io, per vicende della vita, sono anche un po’ “padre” in quanto madre single e per di più alquanto sommersa dal lavoro al Messaggero, che mi tiene inchiodata dalla mattina fino alle undici e mezza di sera! Ma sono pronta a mischiare le carte, e voi? Io ho messo il link al post di Livio.
A presto angela
Ciao Livio,
credo che il discorso si possa allargare anche al congedo parentale facoltativo. Sei mesi a partire dalla fine del congedo obbligatorio fino al compimento del 7° anno di età del bambino (retribuito al 30% fino a 3 anni, non retribuito da 3 a sette anni).
La tua esperienza mi ha portato ad integrare le poche ferie a disposizione ad agosto con il congedo facoltativo (anche se la riduzione dello stipendio non aiuta).
Credo però che i propri figli e la propria donna debbano essere in cima ai pensieri di qualsiasi uomo.
Virgilio
Dario sia pure importante non credo che in questo caso il primo punto sia il diritto, sai perchè? Per noi lavoratori dipendenti la legge che consente il congedo parentale c’è (L. 53 8 Marzo 2000) ma non la conosce nessuno e la utilizzano pochissimi lavoratori. Sapete che quando ho cominciato a informarmi su questo strumento legislativo mi sono rivolto a 2 diverse realtà sindacali. La prima mi ha detto di non conoscere lo strumento, la seconda mi ha sconsigliato di prendere il congedo parentale perchè poi si viene discriminati! Ed era una donna!
Questo è il risultato di cultura prevalente e di atteggiamento personale. Questa volta il legislatore è stato molto innovativo! Livio
Angela, mischiare le carte è poi la cosa concreta da fare nel rapporto di coppia. Ammetto che in certi momenti è duro, perdere i propri “privilegi” di maschio non è facile. In questo periodo di congedo dal lavoro il rimescolamento avviene 24h su 24, prendersi cura della casa tutti i giorni è molto impegnativo nonostante io sia esentato dal lavoro in ufficio e condivido il tutto con mia moglie. Però è un momento di grande intimità. Livio
GENITORI VS AMANTI
Intimità…bella parola. Ammetto che è un concetto da me un po’ idealizzato, visto che ho vissuto una lunga convivenza senza figli e poi, invece, ho avuto una figlia senza convivenza. Però è un concetto che mi spaventa anche un po’. Allora farò una domanda che getterà un po’ lo scompiglio: ma tutta questa intimità, tutta questa presenza, tutto questo essere , diciamolo, mammo, fa veramente bene al rapporto di coppia? Non è che poi alla fine ci si sente tanto bravi genitori, magari un po’ parenti (scusate il gioco di parole con parents), ma molto poco “amanti”? Io credo che anche questo sia un rischio, e lo dico da donna.
Più che un rischio è una certezza che si diventi poco amanti tra marito e moglie se non altro che il tamagogi ha le sue richieste pressanti e lascia molto poco tempo per il resto…
Ma la cosa è anche più ampia perchè prima facevamo una vita simile ai nostri amici single. Adesso siamo in 3 (e c’è il gioco delle alleanze), con un doppio ruolo (es. marito e papà), ci confrontiamo sul tema dell’educazione che mette in luce le diversità, etc. Diciamo che il rapporto moglie-marito è da ritrovare e ridefinire. Ma intimità è anche il rapporto con la figlia, il vivere il nostro essere genitori nella quotidianità. Livio
Bella la pagina di Livio, soprattutto perchè inusuale nel mondo degli uomini e, in particolar modo tra i papà. Ho tre figli piccoli e da loro sono stato sollecitato a riflettere a fondo su quale padre volevo essere per loro. naturalmente la riflessione è partita dal rimettermi in contatto con il bambino che sono stato e con il padre che ho avuto. ora che lavoro quasi a tempi pieno sul tema della paternità, mi rendo conto che ciò che racconta Livio è una splendida eccezione alla regola che vuole gli uomini “sconnessi” rispetto alla loro esperienza genitoriale. Sì avete letto bene: “sconnessi” da leggersi come “non connessi”, spesso in fuga. Le ragioni sono sociali, culturali, ambientali, chi lo sa forse anche genetiche. Ma la crisi profonda della società che ha sempre più bisogno di “ruolo paterno” implica che noi uomini non possiamo più stare alla finestra a vedere i nostri figli che nascono e crescono. Serve esserci e serve la voglia e il desiderio profondo di volerlo fare…anche perchè, alla fine di tutto, è la cosa più bella (lo so anche faticosa!) che ci può capitare.
Benvenuto Alberto! Il fenomeno di “connessione” di cui tu parli credo che lentamente e silenziosamente stia aumentando. Almeno me lo auguro ed è anche per questo che esiste questa rubrica. Certo che il silenzio che c’è sulla paternità, tranne qualche eccezione, mi ha piuttosto stupito. Visto che ti occupi di questo tema nel tuo lavoro secondo te perchè c’è questa “reticenza” maschile a parlare della paternità? Livio
Avete mai visto come gli uomini si annunciano la loro paternità? Appena uno dice “Sarò padre” gli altri uomini gli danno una grande pacca sulla spalla e, dopo i complimenti di rito, cominciano a fare l’elenco di tutto ciò che il futuro padre non potrà fare più. Scatta subito un invito a “godersi” la vita nell’immediato, perchè la nascita del bambino renderà impossibile quasi tutto, gioia compresa. Se avete visto Shreck III, l’incubo di Shreck all’annuncio che diventerà padre, ne è un ottimo esempio. Per le donne è tutto diverso: l’annuncio di un figlio genera immediata solidarietà e con naturalezza nelle relazioni al femminile si costruisce subito “un cerchio intorno alla mamma” focalizzato sulle emozioni, le sfide e le molte speranze e gioie che un figlio porta con sè.
Molti uomini trovano restrittivo questo modo di comunicare tra maschi, ma nessuno riesce a cambiare lo schema. E’ un problema socio-culturale che solo i neo-papà possono “modificare”. a tutti i papà con cui lavoro dico che noi siamo un capitale sociale e che la nostra nuova “emozionalità” che scardina stereotipi e modelli ormai superati deve contaminare il mondo della relazioni tra uomini. C’è un nuovo padre che chiede di essere visto, ascoltato, aiutato e accolto all’inizio del terzo millennio. Dargli voce è compito di tutti. soprattutto di noi papà che ci crediamo. alberto