Estremi rimedi

Ritorniamo seri. Sono giorni che gli operai (della Thyssen e non solo) sono al centro dei take d’agenzia perché finiti in questa o in quell’altra lista politica. E mentre quasi tutti dimenticano chi si è tolto la vita perché stritolato dal sistema d’impresa (quella moderna, precarizzante) e parla del beau geste di Diliberto che lascia spazio a un operaio come capolista oppure è pronto ad alzare la bandiera del Partito Democratico come nuova forza che sa rappresentare il mondo reale fatto di operai e capitani d’industria, lavoratori e Colanninni e Caleari, non si legge una sola pagina sulla più evidente delle trasformazioni in atto, ovvero sul fatto conclamato che il conflitto sociale non riguardi più il lavoro salariato, ma la precarietà.

Non è un caso che da alcuni anni a questa parte, e così sarà anche per il prossimo appuntamento, al Primo Maggio non sfilano più i lavoratori, ma i precari. Sono loro a fare notizia. È un tema complesso – se lo si legge per esempio come fa Toni Negri che parla di “forza lavoro fuoriscita dal capitale” (una lettura forse non del tutto corretta) – ma che diventa quanto mai urgente. Che sia una nuova versione della Teoria degli opposti estremismi?

La politica oggi ci sta dicendo che una sintesi tra le istanze di chi opera nel contesto nel lavoro dipendente sia possibile. Possono essere rappresentate in Parlamento l’una a fianco dell’altra. I difficili rinnovi dei contratti non riguardano più l’inconciliabilità delle richieste, ma la sostanziale inutilità sul piano dell’efficacia e dei modelli di contrattazione. La grande, interessante, silenziosa, apertura che sta emergendo è invece legata alla contrapposizione tra dipendenza e indipendenza dal capitale e dall’impresa e come quest’ultima distribuisca il rischio nei suoi margini esterni, nel mondo degli atipici, autonomi e sulle microimprese, tutte forze che assumono rischi e non godono di uno stato sociale adeguato.

Oggi il conflitto è tra sistema d’impresa e Welfare. La prima deve sfruttare gli angoli ciechi della seconda, se è vero, come sosteneva ieri sera il leghista Castelli a Porta a Porta, che il costo del lavoro dipendente è così elevato perché è alta la spesa pubblica. O la si abbassa oppure si insiste su chi non beneficia dei sistemi di protezione che lo Stato fa pagare alle imprese. In altre parole sui precari, sugli autonomi di seconda generazione e sugli atipici. Chi li rappresenta oggi? Chi difendeva Luigi Roca?

Ultima modifica: 2008-03-14T16:13:27+01:00 Autore: Dario Banfi

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