Ieri alla presentazione dei dati sulle professioni creative [vedi post successivo, tra breve] mi è capitato di sentirmi quasi “a casa”, tra figure che lavorano e pensano al mercato così come lo affronto io. In particolare c’è un aspetto che mi conforta, ed è la visione dell’attività professionale come a un insieme di opportunità “a portafoglio”. Mi spiego, usando la bella metafora di Gianni Lombardi, del Capitolo Freelance di ADCI.
Un lavoratore dipendente vive e lavora per la propria azienda. Sta in una botte di ferro, ma quando questa incomincia ad arruginire sono guai. E se arruginisce in fretta, ci si trova in poco tempo senza nulla. Unica carta in mano, bruciata, fa perdere l’intera partita. Per un freelance, lavoratore indipendente e autonomo, esiste invece un insieme di clienti. Perso uno, non significa necessariamente perderli tutti insieme. Sì, ci saranno annate migliori e periodi di bassa, ma uno stop completo è difficile che accada. Certo poi i rischi sono alti, è faticoso rimettere in gioco sempre idee per rilanciare i propri servizi e capitano bidoni anche ai freelance, ma la ruggine riusciamo a togliercela di dosso piuttosto in fretta.
Sulla base di questa riflessione, sono andato a verificare quanti committenti ho avuto dall’inizio del 2004, anno in cui ho seriamente iniziato l’attività di lavoro autonomo. Beh, sono stati 27! Con alcuni ho concluso i progetti, con altri si è parzialmente raffreddata l’attività, ma senza interruzioni brusche. In tre casi ho cortesemente reclinato l’invito per nuove attività, perché troppo oberato.
Soltanto con un cliente mi è capitato di essere tagliato fuori, e in maniera anche piuttosto volgare. Lavorando per un’agenzia, è cambiato l’account sul loro cliente e senza preavviso sui cambi interni, il nuovo responsabile con messaggio via Blackberry, mandato mentre guidava, un’e-mail priva di motivazioni, mi informa che non scriverò più testi per loro. Tempo zero di preavviso, nessuna telefonata. Ai freelance capita anche questo, va messo in conto. Non sono certo offeso, troveranno altri più bravi.
La contrapposizione, a ogni modo, è tra due filosofie completamente differenti. Da una parte ci sono le pareti di un contratto nazionale, un mansionario sempre uguale, gerarchie, carriere e una botte di ferro. Dall’altra un insieme di clienti e fonti di reddito, competenze poliedriche da mettere in gioco di volta in volta, in maniera diversa, capacità specifiche da tenere obbligatoriamente vive, e una libertà d’azione che non si trovano così facilmente all’interno delle imprese. Sono due forme differenti di “ammortizzatore da rischio”. Il primo strutturale, il secondo individuale. Paracaduti diversi per il mercato del lavoro. Il primo, però, se non si apre…
Da ex lavoratore dipendente e ora più o meno freelance (nel senso che ci sto provando, ma che non sempre è facile, soprattutto non vivendo a Milano) devo dire che mi ritrovo pienamente in questo post.
Per me la scelta è stata anche e soprattutto una questione di stimoli. Non riesco a cristallizzarmi in una realtà, ho bisogno di imparare, studiare, fare sempre cose nuove. E essere freelance lo permette, anche se a volte è una fatica. Soprattutto perché in questo paese c’è ancora una mentalità vecchia in cui la compresenza e il contratto in esclusiva dominano.
La tua visione mi sembra un po’ troppo manichea e soprattutto vale solo in quei settori dove ci sono “pari opportunità”.
In settori come l’informatica il 90% dei lavoratori sono o dipendenti o finti lavoratori autonomi monocliente che sommano gli svantaggi del lavoro dipendente (gerarchia, scarsa motivazione, scarsa flessibilità, ecc.) a quelli del lavoro autonomo.
la question filosofica qui semmai è se esiste il “libero arbitrio”.
Mah, non sono così certo che tutti gli informatici siano monocliente. Hai ragione, dipende dai contesti e dal contenuto professionale espresso con il proprio lavoro, ma per quanto può valere la mia conoscenza del lavoro autonomo, posso tranquillamente dirti che una buona maggioranza opera con un numero superiore a 3-4 clienti. Lo sostiene anche NIDIL nei suoi rapporti annuali sugli atipici (in generale, però, non unicamente del mondo ICT) in cui distingue monocommittenze da pluricommittenze e queste sono in netta maggioranza.
Quanto al libero arbitrio.. beh, si apre una discussione interessantissima…
Mi dispiace ma hai una visione semplicistica del lavoro.
A volte puo’ accadere cosa dici, ma il piu’ delle volte si lavora a monocliente, e quando finisce, finisce e basta. Ci sono persone che su partia iva sono rimaste a casa 1-2 anni.
Forse anni fa’ era diverso, ma ora e’ un guaio
Claudio