Ieri sera a cena con alcuni notai la conversazione è caduta sul tema della deontologia professionale e del potere dei rispettivi Consigli Nazionali dei Giornalisti e del Notariato.
Chiedevo quale fosse una delle più recenti vicende legate a provvedimenti disciplinari tra notai, essendo la materia per me assai oscura. Visto che l’Ordine dei Giornalisti – dicono in molti – vive quasi esclusivamante per difendere la professione sul piano della deontologia, ero interessato a capire che cosa accadesse nella più ricca e blasonata categoria d’Italia.
Risposta: il caso di un’espulsione di un notaio che ha assunto un procacciatore d’affari. Questa pratica è vietata in Italia e all’estero perché non garantisce l’indipendenza del notaio. In altre parole, essendo coinvolte due o più parti, non è corretto che il professionista propenda per una di esse, quella appunto che ha subito il fascino dell’imbonitore e sperato nelle sue promesse. Questo notaio ora [giudicato da un magistrato] è fuori gioco, deve cambiare mestiere.
Ora, posto che comunque della radiazione dall’Albo dei giornalisti c’è chi se ne fotte allegramente, mi sono chiesto se in realtà gran parte della stampa nostrana non sia malata nel profondo proprio per l’esistenza sotterranea di molti “procacciatori” che impongono notizie, priorità nell’agenda dell’informazione, interessi privati nei processi di mediazione verso la sfera pubblica. E per la tacita connivenza di quei Consigli che non hanno potere (o interesse) per denunciarne l’esistenza.