Mahlericordi

Gustav MahlerAi tempi del Liceo feci una cosa piuttosto strana, andai al Conservatorio di Milano a cercare lo spartito della prima sinfonia di Gustav Mahler, volevo imparare la musica a partire da un’opera che avevo praticamente memorizzato per intero all’orecchio. Erano anni in cui mettevo insieme la dissonante melodia di Fra martino diventata marcia funebre (cfr. il video qui sotto) con la lettura di T. Mann e F. Nietzsche, mescolando un po’ cultura di inizio ‘900 con la musica Rock degli anni ’80, in un mix ingovernabile di contaminazioni emotive. Per un figlio di operaio cresciuto in ambienti cattolici era la scoperta del pensiero altro, della coscienza infelice, della decadenza intrinseca nell’orizzonte della cultura borghese e l’emergere di domande a cui non sapevo ancora rispondere.

Mahler per me fu la porta di ingresso al metodo critico e di sospetto, decostruzionista (imparai in seguito) e di critica sociale, con cui sono cresciuto negli anni dell’Università. Mi attraeva e spaventava insieme la musica di questo boemo dai tratti molto simili fisicamente ai miei. Non calmava, non faceva stare seduti, spingeva a correre, a cercare.

Gustav Malher Dario Banfi

Far risuonare il senso del tragico con la più ampia composizione orchestrale possibile (le vignette sui feuilletton di fine ‘800 prendevano letteralmente in giro Mahler per la sua mania di grandezza, disegnando elefanti e giraffe tra i suoi orchestrali e batterie di ottoni senza precedenti nella storia della musica), con una musica dai più considerata decadente, era il segno sprezzante del genio che sapeva quanto poteva valere nel tempo l’inizio della fine, la proposizione di un modo sofferto e divertito di andare oltre e contro, superando la cultura positivista, la musica romantica, ogni filosofia metafisica. Era dissacrante, nuovo, diverso. La sua Prima sinfonia fu un disastro nell’opinione pubblica. Io l’adoro.

Quando mi feci prestare da un amico benestante (figlio di un senatore) il cofanetto con una trentina di opere in vinile di Mahler, dirette da Raphael Kubelik – neppure uno dei migliori interpreti, considerato col senno di poi, ascoltando Bruno Walter o Karajan – attraversavo proprio quel momento dell’adolescenza in cui si comprende come il tragico, l’infedele o l’inattuale accompagnino sempre i cambiamenti e la crescita della persona. E Mahler fu illuminante: allora come oggi sono convinto che andrebbe fatto ascoltare nelle scuole, proprio quando si è adolescenti, per smuovere e convincere, trascinare fuori dalla pigrizia della mente, facendosi sedurre dall’estetica del mostruoso, che travolge con gli ottoni e seduce con un adagietto, che ti scuote e poi accarezza.

Io diciannovenne lessi al tempo, sul giornale, che un ricco manager americano era riuscito a dirigerla quest’opera, la Prima di Mahler, pagando per un giorno la conduzione credo, se non ricordo male, della Boston Symphony Orchestra. Era il vezzo di un amante (molto ricco) del compositore boemo e lo invidiai molto. C’era anche la foto di quel maledetto stravagante travestito da Leonard Bernstein. Io invece ero soltanto un normale studente senza quattrini, piuttosto invasato per quel tipo di musica: beh, nulla mi impediva di fare qualcosa di simile.

Decisi allora che forse avrei dovuto imparare la musica, quella con la M maiuscola. Non sarebbe stato difficile seguire uno spartito e leggere la scrittura musicale dopo averne assimilato già tutte le note all’orecchio. Bastava prendere in prestito il testo, accendere il giradischi, seguire la sinfonia, mi dicevo. Quando mi presentai alla biblioteca del Conservatorio mi dissero, però, che no, quella trovata del prestito a casa degli spartiti musicali non era consentita! Tanto più ai non studenti. Pensate alla scuola italiana, di cui oggi si discute negli Stati Generali della conoscenza: contempla mai lo spazio per i freelance?

Si trattò per me di una di quelle sliding door che a volte non girano e tutte le volte che ascolto Mahler mi chiedo che cosa sarebbe accaduto nella mia vita se davvero avessi voluto andare fino in fondo per quella strada. Una cosa l’appresi comunque: c’è notevole differenza tra apprendere e autoapprendere. Lo stesso discorso può valere oggi per me per la programmazione informatica – è curioso che la cultura hacker sia stata definita dal mondo mitteleuropeo e berlinese come quella di digital bohemien, di ciberneciti boemi, della Boemia, come Mahler – per la scrittura professionale o giornalistica, per la creatività. Spesso sono costruiti recinti tra le due strade, formalizzati e fatti di insegnamenti e regole. Certificazioni e privilegi. In altri casi la separazione è molto labile e non è detto che l’autoapprendimento sia del tutto sconsigliabile e si debba abbandonare la strada per paura di non farcela.

In seguito, all’Università, seguii per esempio un corso di Storia della Musica dedicato a Mahler, con un docente che si fingeva direttore d’orchestra mentre ascoltavamo musica riprodotta da un mangianastri in una saletta poco illuminata. Una tristezza infinita, deprimente. Per fortuna in bibliografia d’esame c’era Quirino Principe. Mi ripresi poi con un corso di Filosofia Teoretica dedicato alla fenomenologia della Musica, con stupendi studi e lezioni di Giovanni Piana, ma ebbi la netta sensazione che non bastassero.

Oggi ancora manca qualcosa nella mia formazione alla musica, che risponda a quella passione che mi fece andare senza pudore da neofita a chiedere gli spartiti di una delle opere sinfoniche più complesse mai scritte. Quello che mi manca nasce forse dalle mie paure, ma credo certamente che sia nella stessa musica di Mahler, che per quanto si ascolti ripetutamente sfugge e si allontana. E’ come una prova d’esame all’orecchio: pare sempre che ci sia tutto e invece no, ancora non si comprende. E non capisci se scivola via perché sei tu, che pur conosci la lingua ma non la sai parlare, o sia il testo a non farsi leggere mai del tutto.

Basta seguire l’Ottava Sinfonia, o saltare senza pudore ai più noti Terzo movimento della Prima o al Quinto della Quinta, per capire. C’è forza, ampiezza e insieme delicatezza e cura, impeto e impegno, irriverenza e sacro. E’ il Titano che suona insieme all’angelo. Vorresti non finissero mai, come la carezza di una madre, la buona lettura di un romanzo, lo sguardo di un bambino o un giorno di sole, quando hai la certezza di essere giovane e dimentichi invece che sono passati giusto cent’anni.

Ultima modifica: 2011-05-18T16:44:26+02:00 Autore: Dario Banfi

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