Forza lavoro che si porta via a gratis

Queste le impressioni di Paul The Wine Guy, che non conosco.

In soli 5 anni i blogger si sono perfettamente integrati nel rutilante mondo del giornalismo da 4 soldi: presenziano, ricevono comunicati stampa, patteggiano omaggi, vendono opinioni, si scambiano inviti, si organizzano fra loro. Una piccola forza lavoro che si porta via a gratis o quasi.

P.S. A parziale correzione di quanto scritto, posso dire che  questo certamente non riguarda soltanto ciò che accade oggi. Già nel 2003 – quando il mio editore decise che era il momento che gli facessi causa per un licenziamento illegittimo – al mio posto, alla rivista Internet News, la prima ad avere fatto un ampio servizio sui blogger in Italia (a firma del mio ex collega Andrea Bagatta, anche lui buttato fuori in malo modo), non arrivarono altri redattori: gli spazi della rivista si riempirono via via grazie alle collaborazioni esterne di nuove firme sconosciute, come Antonio Sofi, Massimo Mantellini, Luca Conti, Giuseppe Granieri, Paolo Valdemarin ecc. Vi dicono qualcosa questi nomi? :-)

Ultima modifica: 2008-05-09T14:24:22+02:00 Autore: Dario Banfi

15 commenti su “Forza lavoro che si porta via a gratis”

  1. E’ vero, era sconosciuta a me, per quel che può contare.. (il più letto “quotidiano web”, a ogni modo, non era Punto-Informatico, se intendi questa testata. Lo era come testata verticale, dedicata alla tecnologia..). Ma il punto, forse ti sfugge – lo capisco – è un altro.

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  2. Dario, senza entrare nel merito della citazione da cui parti e con tutto l’affetto che ti porto, trovo che il tuo post scriptum strumentalizzi in modo poco corretto una vicenda che incidentalmente riguarda da vicino anche me e alcuni miei rapporti professionali.

    Che il mancato apporto di due terzi della redazione di quella rivista sia stato inevitabilmente compensato da maggiori spazi per i collaboratori esterni è un fatto, scorretto e malaugurato almeno quanto il vergognoso e ingiustificato allontanamento che vi ha visti protagonisti.

    Ma non vedo che cosa c’entrino in tutto questo – e soprattutto che cosa dovrebbero dimostrare – i nomi delle persone che tiri in ballo, che sono stati collaboratori della rivista al pari di altre centinaia di persone che si sono succedute nei dieci anni della sua storia. Nemmeno tutti, peraltro: non mi pare che Luca Conti e Paolo Valdemarin abbiano mai firmato un pezzo su IN.

    Al pari di tutti gli altri collaboratori, queste persone sono state chiamate per raccontare alcuni nuovi spunti di Internet che stavano raccogliendo interesse in quel periodo, così come in precedenza altri nomi più o meno degni hanno parlato di programmazione, comunità virtuali, e-business e quant’altro – senza che nessuno abbia mai avuto a che ridire sulla lobby dei programmatori xslt:fo, per dire. Erano collaboratori, sono stati inquadrati come collaboratori, sono stati pagati come collaboratori eccetera. Che cosa c’entrano i blog e i blogger in questo, scusa?

    Siccome poi non è stata nemmeno una machiavellica strategia presa ai piani alti per chissà quale complotto editoriale, ma più semplicemente una mia iniziativa, presa e portata avanti da solo, e di cui – aggiungo – vado anche piuttosto fiero, a maggior ragione mi pesa la tua maliziosa allusione.

    Si potrebbero dire molte cose sulle banalità che si ripetono a ogni pié sospinto a proposito di blogger e giornalisti. Questa proprio non mi sembra una di quelle.

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  3. Solo per far presente che quando Internet News mi chiese di scrivere per loro io avevo fatto l’editorialista per Internet Magazine per oltre un anno e scrivevo da molti anni di tecnologia sul web (sul piu’ letto quotidiano web per la precisione) e da molti anni tenevo una rubrica analoga alla radio Svizzera. Quindi forse la mia firma era sconosciuta piu’ a te che ad altri. saluti

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  4. Sergio sai che non ho nulla da dire sulle scelte tue, sulla professionalità o preparazione delle persone che hanno scritto su IN.. Chiariamoci. Quando ho scritto, non pensavo a te, altrimenti l’avrei scritto. E’ solo una stanca (sì, forse sono provato da questa giornata) considerazione che fa eco alla valutazione più generale sul fatto che nel mercato del lavoro giornalistico un collaboratore costa infinitamente meno di figure inquadrate. That’s it. E che oggi come ieri va di moda pescarli tra i blogger. Volevo solo dire – indipendentemente da te, e dalle firme citate, che stimo – che non è una novità. Come sai la mia carriera si è interrotta tempo fa (oggi posso parlarne senza problemi) e non per motivi di malizia tua, ma ammetterai che una seria considerazione sul costo del lavoro va fatta quando si parla di indipendenti… Non mi costa nulla cancellare i nomi, ho solo citato il mio caso, più che il loro. La considerazione – credimi – non era ad personam..
    Ancora più chiaramente, generalizzando: i costi di produzione oggi in molti casi li supportano gli esterni. In molti casi (come nel mio) sono e sono stati blogger ad ammortizzarli.

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  5. D’accordo sul problema di sistema, un po’ meno sul modo in cui i blogger continuano a entrare nel tuo discorso. Dici blogger, dici persone. Dici niente, di fatto. Sui nomi specifici, sì, li ho trovati inopportuni e fuorvianti. Ma vabbé, la giornata è stanca e succede. :)

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  6. Ohi, Andrea, vedo ora il tuo intervento, il commento precedente evidentemente era per Dario. Io la metafora la vedo diversa: lo spazio pubblico si è allargato. Ieri avevamo l’esclusiva del racconto pubblico, oggi no. È una professione per cui non esiste mercato protetto: che fai, gli dici “zitti tutti, questo è compito nostro”? Avevamo una delega, non c’era alternativa; oggi qualche delegante comincia a ritirarla o a ridurla o a discuterne i particolari. Il fine non è dare lavoro a noi: è raccontare meglio la complessità, comprendere in modo più ampio e aperto. Altro che vino. Se un blogger oggi ci frega il posto è, il più delle volte, perché è più bravo di noi. Oppure, talvolta, perché proprio noi giornalisti ne abbiamo fatto un fenomeno da baraccone da rivendere a buon mercato sui nostri stessi prodotti. Lasciate perdere le degenerazioni markettare e certi facili entusiasmi: passeranno. Avete visto di peggio, tutto sommato: siamo sopravvissuti alla new economy. Resta l’opportunità di sistema: lo spazio pubblico si è allargato. Serviamo ancora, ma dobbiamo evolvere. Se proteggiamo il nostro orto siamo finiti, se cresciamo ci sarà ancora lavoro per tutti. Lo scontro non serve. Rivendicare gli spazi ancora meno. Montarsi la testa con quattro regole di buon senso, che spesso neppure noi applichiamo ancora meno. Incolpare chi oggi ha le tecnologie per riprendersi uno spazio sociale che era suo fin dal principio è sterile. Il giornalismo oggi sta malissimo per colpa sua, per lo più. Il pubblico, i lettori li abbiamo depressi noi. Ci si stavano rivolgendo contro già prima di riscoprire la propria voce pubblica, figurati adesso. Il nostro vino spesso sa di poco, raramente è fatto a regola d’arte. Abbi pazienza, ma se il vino di tuo zio è più buono io, quando ne ho l’occasione, non me la perdo una delle sue bottiglie. Il mercato, le procedure, le garanzie e tutto il resto si adegueranno. :)

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  7. Visto che sono stato tirato dentro, addentriamoci! Credo che a parte la punta di risentimento di Dario, inutile e – conoscendolo – penso più legata alla stanchezza che ad altro, comunque il suo post mette l’accento su un tema che è sempre tabù sui blog. Mio zio fa il vino, e lo vende, e lo può vendere a un prezzo inferiore a quello del produttore di vino che gli sta a 50 metri perché tanto mio zio lo fa la domenica e alla sera, che gli frega se guadagna 10 invece che 20? Il problema è che il produttore invece lo vende a 20 per starci dentro e perché magari ha studiato per fare quello, ed è andato per due anni in una cantina con uno stipendio da fame a imparare il lavoro. Il vino di mio zio è buono, ma non è professionale. Il vino di mio zio viene oggi bene, domani un po’ meno bene. Mio zio è esperto di vino, ma non è un professionista. Il professionista ottiene il suo vino sempre in maniera analoga, nel miglior modo possibile, come gli hanno insegnato lo studio teorico e la pratica e le conoscenze e gli aggiornamenti continui. Voi assumereste mio zio come enologo in una cantina? E allora perché un blogger deve prendere il mio posto di giornalista, magari sentenziando a destra e a a manca e finendo con il fare l’editorialista per un quotidiano? Sergio e Massimo, vi stimo e vi seguo sia pur a distanza. Riprendete il dibattito sui vostri blog e aprite un dibattito sulla questione. Potrebbero venirne fuori delle belle. fatemi sapere, magari è la volta che apro un blog…

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  8. @ andrea – Va che non c’è mica risentimento. Potete crederci o meno a me piace/interessa ragionare sui modelli produttivi, sui costi, su come si fa a ottenere del buon vino a 10 euro. O venderlo gratis. Mi interessa ragionare su come entra il “basso costo” nel mercato o come tenere alta la qualità da indipendente in un mercato che punta al ribasso.. Dello spazio pubblico, della qualità ecc.. questo mi frega relativamente. O meglio mi interessa valutarli come elementi di una deregulation (economica, principalmente) che impatta sull’esercizio di una professione, di un mestiere. E’ un po’ come capire che effetto avrà la Bolkenstein sui dentisti italiani o sulle cooperative di chi fa pulizia, per intenderci. Mi interessa la questione di mercato, ragionare sul rapporto tra “forza lavoro” e “va via quasi a gratis”, ecco.

    @ Sergio i nomi sono nomi di blogger che hanno firmato su IN e versioni successive. Solo questo. E che tengono a vendersi come blogger, non come giornalisti. Se ho offeso qualcuno per inopportunità :-) chiedo venia.

    Sulla rivendicazione di spazi non è questo il punto. Ognuno si prenda/conquisti i suoi, c’è spazio per tutti. E’ il costo dell’idraulico polacco che mi crea qualche perplessità. Se l’editorialista-blogger prende 100 euro a pezzo (e nessuna contribuzione pagata), lo fa come doppio lavoro e si è pagato la giornata per andare a sentire Al Gore con ferie/ROL coperti da un ente pubblico e un treno a proprie spese (o al contrario sarà chiamato a fare il pezzo successivo perchè è già stato a Roma a sentire Al Gore a proprie spese), qualche ragionamento sulla professione e sul mercato – non su di lui – sarà pure lecita, no? Non la sto mettendo sulla bravura o le etichette, sono per la competizione meritocratica.. (chi legge questo blog lo sa).

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  9. Scusate se mi intrometto in ritardo.
    Credo che vi stiate scontrando (mi riferisco a voi giornalisti) con un problema, che definirei volentieri piaga, con cui noi grafici/fotagrafi abbiamo a che fare da qualche anno. L’avvento del social network o dei blog per il giornalismo è assimilabile (prendete tutto con le dovute pinze) all’acquisto in massa di personal computer e fotocamere digitali per la grafica e la fotografia. Ora tutti sono grafici, webdesigner, fotografi. Come se avere una Ferrari facesse del proprietario un campione di F1. Come dice Dario si tratta di una competizione (che sul piano qualitativo raramente c’è) scorretta. Non perchè si toglie mercato ai professionisti (se una persona lavora meglio di me è anche un professionista migliore, nonostate faccia il farmacista di lavoro vero) ma perchè si rovina il mercato, si abbattono i prezzi (non pagando le tasse e facendolo la domenica si può tirar giu qualcosina) ma soprattutto si diseduca al bello imbrattando gli spazi virtuali e non con prodotti oggettivamente brutti.
    Per certi versi tagliare le gambe ai professionisti rischia di far abbassare il livello e per tornare alla metaforia di Bagatta avere una cantina piena di vini mediocri piuttosto che una bottiglia di buon vino.
    Adesso non arrabbiatevi, vogliamoci bene, dai.

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  10. Vi scopro – con un po’ di sorpresa, conoscendovi piuttosto bene – tutti e tre inossidabili conservatori (ma mica ci stiamo arrabbiando, Ale, confrontiamo punti di vista diversi). D’accordo sul problema di mercato e sulla necessità di salvaguardare la professionalità e la qualità. Abbiamo invece idee diverse solo sui mezzi da utilizzare e sulle strade da prendere. Perché per me il fatto che un sacco di gente in più giochi al piccolo giornalista, al piccolo fotografo e al piccolo grafico sono un bene. Di più: è la prima buona cosa che vedo succedere da tanto tempo a questa parte nelle nostre professioni. Se la qualità è scarsa è perché la comunicazione s’è arroccata per decenni dentro i suoi quattro cantoni, escludendo quel pubblico che pure ne era fondamento e costituzione. Sono convinto che il giornalismo sarà migliore se tante più persone sapranno che cosa significa scrivere un articolo; se tante più persone avranno pitturato a mano il loro disegno; se la rete pullulerà di pessime foto di brutti gatti. Non riesco a pensare di imporre la qualità per contratto nazionale, per ore settimanali di lavoro e per competenze stabilite per legge, scusate. Certo, serve anche questo. Ma non solo questo. Peraltro fin che a essere imbrattati sono gli spazi virtuali, allora il problema non si pone proprio, perché lì c’è spazio per tutti e ciascuno di noi è filtro per se stesso.

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  11. Sergio,
    metterei maggiormente a fuoco la differenza che c’è tra il coltivare un hobby e lavorare. Io trovo belle le foto brutte, con lo stesso spirito con cui ammiro i primi passi goffi di un bimbo, sono sincero e serio. Penso anche che in un modo o nell’altro sia necessario incominciare. Ci tengo però a tener ben separati i dilettanti allo sbaraglio dai professionisti. Non credo di doverti spiegare il perchè, ma lo faccio ugualmente. Se i clienti (quelli che pagano) sapessero realmente scegliere ciò che è meglio per la loro attività o distinguere ciò che è ben fatto da quello che non lo è non staremmo nemmeno qui a discutere perchè chi non è in grado di otternere un livello tale da poter richiedere il pagamento della propria parcella continuerebbe a coltivare un hobby. Sembra quasi che se Napoli è ricoperta di spazzatura sia un bene perchè chi ha la fortuna di imbattersi in un angolino ripulito lo saprà apprezzare maggiormente.
    Professionalmente non mi pongo il problema. Il problema non è la possibilità di fare, non ho mai sostenuto le lobby, il problema è che non basta poter acquistare gli “atrezzi” di lavoro per diventare capaci. Di questo passo se le sedie da dentista improvvisamente costassero 100 euro avremmo un proliferare di studi dentistici e via dicendo. Non basta. La qualità non è mai stata così scarsa come negli ultimi anni.
    La pubblicità sforna film brutti, senza sense of humor, privi addirittura di un’idea creativa. C’è un perchè, a mio avviso. Le agenzie, quelle nate italiane e quelle internazionali aperte in Italia fanno fare le campagne da ragazzini molto scolarizzati, assolutamente poco pagati (quelli fortunati) e totalmente privi di esperienza. Reggono i “cani grossi”, i direttori creativi (molti veramente bravi) i direttori generali, e reggono i loro super stipendi. I clienti (quelli danarosi) fagocitano i poveri agnellini inesperti dati loro in pasto e gli fanno fare ciò che vogliono. Torno a ripetere che i clienti sanno cosa vogliono ottenere ma non sanno come ottenerlo. Risultato: caduta inarrestabile verso il basso della qualità. Qualche anno fa la bubblicità era una rottura di coglioni divertente, oggi è rimasta solo la rottura di coglioni. L’esperienza non è in vendita, la parola gavetta è in disuso ma è ancora molto importante. Quando un bimbo gioca cresce, ma sta comunque ancora giocando. Fare delle distinzioni tra chi gioca e chi fa sul serio non è un atteggiamento conservatore, se vuoi è un modo di evidenziare dei modelli di riferimento che da che mondo è mondo non hanno mai fatto male a nessuno.

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  12. Non ho mai sostenuto che chi coltiva un hobby equivalga a un professionista consumato. Né valuto meno che orripilante lo scadimento che ben noti tu. Ma se non coltivando la pratica e alimentando la bellezza imparandola a riconoscere dallo sporcarsi le mani in prima persona e nemmeno con i recinti professionali, a me non vengono altri modi per migliorare la situazione. Se non agendo alla base, dalla scuola, dagli imprinting culturali di base; ma è un altro discorso che ci porterebbe lontano.
    Siamo andati parecchio lontani dallo spunto iniziale di Dario. Alla fine non ho grandi verità. Sono solo refrattario a giudicare a prescindere come negativa l’onda creativa che negli ultimi anni si sta muovendo in Rete. Dove c’è di tutto, sia il pessimo sia il sublime, con tutte le vie di mezzo del caso. E dove stanno accadendo molte cose interessanti anche e soprattutto in chiave professionale. Non riesco a rifiutarla a prescindere perché pessime industrie (come quelle del nostro professionismo) la usano malamente per tagliare lavoro o far scadere ulteriormente la qualità.
    Ora ci beviamo su? :)

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  13. Beh, se ci beviamo su andrà senzaltro meglio!
    Anzi se ci beviamo su abbastanza finiremo col parlare dell’argomento preferito da noi uomini non appassionati di calcio.

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